Beati Paoli

di Luigi Natoli

prologo, capitolo 4

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In quel momento un giovane con le vesti a brandelli, i capelli e la barba incolti, si presentò al palazzo.

I servi lo respinsero. C'era altro per la testa in quel momento.

"Come?" gridò egli "non mi riconoscete dunque? Sono Andrea."

"Andrea?"

Lo guardarono bene, lo riconobbero, lo trassero dentro, ripetendo fra lo stupore, il piacere, il dolore: "Andrea? Come ti sei ridotto così...?"

La voce si diffuse tra la servitù: "È tornato Andrea!"

Accorrevano uno dopo l'altro in cucina, dove avevano condotto il nuovo arrivato, per vederlo, pieni di stupore e di piacere e ognuno esclamava: "Andrea!... come sei venuto? Donde? Ah! in quale momento capiti!... Ah! il povero padrone! il povero padrone! Come è andata?... Eri con lui?.. Non è vero, ch'eri con lui?"

Il cuoco gli aveva posto dinanzi di che rifocillarsi; Andrea mangiava come un affamato e rispondeva a monosillabi a tutte quelle interrogazioni. Maddalena era venuta anche lei, commossa.

"Ah, se sapeste, la povera padrona!."

Lo informavano, parlando tutti in una volta; la padrona si era sgravata; "Un bel bambino, se lo vedeste; tutto il ritratto del padrone, buona me moria. Ma la notizia della disgrazia!.." Adesso stava col medico! povera signora! che febbre!... Che dolore!.. Aveva preso il maneggio don Raimondo... Ma bisognava che egli raccontasse come era accaduta la disgrazia del padrone...

"Quando la signora duchessa saprà che ci siete voi... Poverina che colpo!... Oh, ma certo che vorrà sapere ogni cosa! La preparerò io, a poco a poco."

Don Raimondo fu avvertito che era arrivato Andrea, uno dei valletti che avevano seguito "fuori regno" sua Eccellenza il duca, santa memoria. Questa apparizione di un uomo che era stato presente alla morte di don Emanuele, lo sorprese e lo sconcertò senza saperne la cagione, tuttavia mostrò un grande interesse di vederlo. Anch'egli si domandava donde e come era venuto Andrea; pensò che poteva essere benissimo lui il rematore liberato dalle galere toscane, che aveva dato a Firenze la notizia della sciagurata morte del duca.

Ordinò che gli mandassero Andrea.

Il giovane, che si era rifocillato, ebbe appena il tempo di indossare un vestito più decente e si affrettò a riverire il cavaliere Albamonte. Gli disse che era arrivato da poche ore, con una tartana, da Napoli; a Napoli era venuto da Firenze, viaggiando un po' a piedi, un po' a cavallo, per carità. Appunto da lui il governatore di Livorno aveva saputo la cattura della tartana di Marsiglia e la morte del duca. Don Raimondo voleva sapere come era andata ogni cosa. Il racconto di Andrea riconfermava con maggiori particolari quello che gli aveva detto il Vicerè. Se qualche ombra di dubbio poteva essere rimasta nel cuore di don Raimondo, il racconto di Andrea glielo dissipava.

"Prima di morire, sua Eccellenza il duca volle che io gli togliessi dal collo una catenina d'argento con un piccolo medaglione e mi disse: "Andrea, se mai tu sarai riscattato o potrai fuggire, va' a Palermo e da' questo medaglione alla duchessa, perché lo metta in collo al mio figliuolo!". E l'ho qui, Eccellenza; ho serbato quel ricordo del mio buon padrone e sono venuto soltanto per ubbidire alla sua ultima volontà..."

"Disgraziatamente" disse don Raimondo, "la signora duchessa è gravemente ammalata e non potrà riceverti. Dammi quel medaglione, penserò io a darlo alla duchessa."

"Vostra Eccellenza perdoni," rispose Andrea; "io debbo eseguire gli ultimi ordini del mio padrone, scrupolosamente; se non potrò per ora, vuol dire che aspetterò. Sono già tre mesi che ho quel deposito, potrò tenerlo ancora qualche giorno. Aspetterò, Eccellenza.

Don Raimondo si morse le labbra.

"Fa' come vuoi," rispose; "ma ti avverto che aspetterai un pezzo."

Andrea si chinò, uscì, andò a sedere nell'anticamera, dove un minuto dopo lo raggiunse Maddalena. Stettero un pezzo a discorrere; fra loro c'era stata sempre una certa simpatia; come Andrea era il servo di fiducia di don Emanuele, così Maddalena era la cameriera di fiducia di donna Aloisia e questa loro condizione li aveva messi accanto, li aveva uniti nella devozione ai loro signori. Ora, rivedendosi dopo tanti mesi e in momenti dolorosi, si narravano i loro dolori e si riconfortavano vicendevolmente.

Il dottore don Domenico, uscendo in quel punto, interruppe i loro discorsi.

Maddalena gli domando: "Vossignoria perdoni; come ha trovato la signora duchessa?..."

"Eh! non c'è da stare contenti... La cosa è grave..."

"Crede vossignoria che la signora duchessa abbia a soffrire se vedrà questo giovane qui?..."

Don Domenico che non lo conosceva, la interrogò con gli occhi: "E perché dovrebbe soffrirne?"

"Andrea qui, era il lacchè di sua Eccellenza il signor duca, e ne raccolse le ultime volontà... È arrivato da qualche ora."

Don Domenico lo guardò con benevola curiosità, poi, come rispondendo a se stesso, disse: "Chi lo sa?... Forse potrebbe... Sì, sì, una reazione."

Se ne andò mormorando queste parole, che Maddalena interpretò a suo modo.

"Adesso lo dirò io a sua Eccellenza..."

"Il cavaliere don Raimondo mi ha quasi dissuaso."

"Lasciate fare a me. Scommetto che la signora duchessa avrà qualche consolazione a vedervi."

Donna Aloisia era ancora abbattuta dal duro colpo; la febbre ardeva nel suo sangue, ma sembrava più calma. Una parola le aveva dato una gran forza.

Il medico le aveva detto: "Pensi, Eccellenza, che ora resta lei sola a quella creatura e che se una disgrazia dovesse cogliere vostra Eccellenza, quell'orfanello resterebbe in balia del caso. Bisogna che vostra Eccellenza si conservi per la sua creatura. È il modo migliore di onorare la memoria del virtuoso ed illustre signor duca."

Conservarsi per il figlio! Sì, lei lo voleva, con tutto il cuore, con tutta la forza della sua volontà. Quell'idea, compenetrandosi in tutto il suo spirito, promoveva una grande reazione e a poco a poco le infondeva una forza nuova. Vivere! voleva e doveva vivere!... Non udiva ella i vagiti del piccino?

Maddalena era ritornata in camera, pronta ad ogni cenno. Donna Aloisia le ordino di recarle il bambino; voleva tenerlo con sè, stretto al suo cuore.

Maddalena condusse il discorso abilmente; nel darle il bambino, pronunciò un augurio: "Che possa crescere bello, rigoglioso, a consolazione di vostra Eccellenza, e degno figliuolo di un signore valoroso e grande; e che l'anima santa del padre vegli sempre sopra di lui!

Donna Aloisia con gli occhi pieni di lacrime, baciò teneramente il figlio.

"Oh, Maddalena," mormorò "quale sventura è questa!..."

"Vostra Eccellenza si consoli, perché il signor duca ha fatto una morte gloriosa e gode in cielo il premio della sua fede..."

Donna Aloisia ignorava ancora in quali circostanze fosse morto il marito; le parole di Maddalena, se le richiamarono altre lacrime, le destarono il desiderio di sapere almeno come e dove fosse morto don Emanuele.

"Tu lo sai?" domandò a Maddalena.

"Eccellenza, sì. Ma c'è chi lo sa meglio di me."

"Don Raimondo?" mormorò con un accento di inesplicabile avversione.

"No, Eccellenza, qualcuno che fu presente e raccolse le ultime parole di sua Eccellenza il duca..."

"Dov'è?" gridò donna Aloisia vivamente, e tentando di sollevarsi; "Dov'è? Voglio vederlo, subito... È qui?"

"Qui."

"Chi è, Maddalena?... Dimmi chi è..."

"Vostra Eccellenza lo conosce, è uno dei più devoti servitori... il più devoto, forse..."

"Andrea?"

"Appunto, Eccellenza."

"Andrea! qui?... Ma va', va'! fallo venire... subito!..."

"Se vostra Eccellenza si agita così, avvelenerà quell'innocente. Ha sentito il medico?.."

"Starò tranquilla; va'!"

Poco dopo Andrea, condotto da Maddalena, entrò visibilmente commosso; frenando a stento un nodo di pianto, andò a inginocchiarsi dinanzi al letto di donna Aloisia e le baciò la mano.

"Andrea!" mormorò la duchessa col volto inondato di lacrime.

Per un istante la commozione impedì a tutte e tre di parlare; quanti pensieri, quante immagini nel silenzio che accomunava quelle tre anime!

Donna Aloisia per la prima disse: "Raccontami tutto, Andrea."

Egli narrò come erano partiti da Marsiglia, nei primi di ottobre, per ritornare a Palermo. Avevano il vento prospero, il mare tranquillo: avevano navigato senza alcun incidente, avevano preso acqua ad Ajaccio e ripreso il viaggio, quando all'altezza del capo Asinara, due galere algerine, che forse si tenevano nascoste fra gli scogli di cui è frastagliata la costa, assalirono la tartana. Il duca, seguendo gli impulsi del suo cuore generoso voleva ordinare la difesa, ma la ciurma e altri viaggiatori si opposero: era lo stesso che farsi massacrare inutilmente; preferirono arrendersi. Furono caricati di catene e la tartana rimorchiata. Le galere erano bene armate. Il duca e i suoi due valletti, fiutandosi in essi buona preda, erano stati trasbordati in una delle galere, la capitana, ma don Emanuele non era uomo da acconciarsi alla parte di prigioniero. Durante la traversata concepì un folle disegno; sollevare la ciurma dei galeotti, rompere i ceppi, piombare sull'equipaggio, uccidere il capitano, impadronirsi della galera e dare addosso all'altra. Cominciò a parlarne fra i galeotti, che non desideravano di meglio che riacquistare la libertà e una notte, mentre le galere filavano in silenzio a fanali spenti, egli e i due valletti poterono spezzare i ceppi, e balzati in piedi, gettarsi sopra le guardie che vegliavano nel castello di poppa, disarmarle e buttarle in mare. Allora si levò un grido: i galeotti cercavano di liberarsi; qualcuno che aveva spezzato la catena, ne brandiva i pezzi come un'arma. Echeggiarono dei colpi d'archibugio. Don Emanuele si slanciò contro il capitano, gli strappò la scure dalle mani e gli spaccò il cranio, ma si trovò circondato da una turba furibonda... Il grido, i colpi, richiamarono l'altra galera che si avvicinò rapidamente. La lotta fu breve, disperata: colpito da due archibugiate il duca stramazzò sulla tolda; l'altro valletto gli giaceva accanto morto; Andrea era ferito lievemente ad una spalla.

Il duca ebbe ancora alcuni istanti di vita: chiamò Andrea, gli disse: "Meglio morire, che andare in schiavitù. Di' queste parole al mio figliuolo quando lo vedrai e sarà grande. Porta il mio saluto a donna Aloisia... Dille che muoio pensando a lei...; e al mio figliuolo, digli... che porti sempre addosso il medaglione che da quarantasette anni mi pende dal collo... Prendilo e portaglielo".

Spirò poco dopo. I ribelli furono sottomessi, caricati di nuove catene, bastonati, tormentati con la fame per tutto il viaggio. Il giorno dopo, di sera, giunsero ad Algeri. Andrea, guaritosi, fu mandato a remare sulle galere.

Donna Aloisia ascoltò il racconto senza perderne sillaba; soltanto delle lacrime silenziose le scendevano giù per le guance e un lieve tremito del braccio le premeva al fianco la sua creatura.

Quando Andrea ebbe finito, gli domandò: "E il medaglione?"

"Eccolo, Eccellenza."

Se lo trasse dal seno e lo diede a donna Aloisia; ella lo baciò, piangendo, poi lo mise al collo della sua creatura mormorando: "Ecco, figlio mio, questa è la benedizione di tuo padre!... Che egli ti protegga sempre..".

Tutto quel giorno donna Aloisia stette tranquilla, immersa in una profonda malinconia, col figlio stretto al seno; il suo dolore s'era fatto più intimo, più pacato. Le pareva ora di doversi votare a quella creatura, come se in essa veramente vedesse rivivere il marito.

Quando la sera il dottore e don Raimondo vennero a visitarla, si stupirono di trovarla alquanto più sollevata. Don Domenico se ne augurò bene, ma don Raimondo aggrottò le sopracciglia come contrariato. Che cosa aveva operato quel miglioramento?

La spiegazione la diede donna Aloisia; ella stessa disse al cognato che aveva ricevuto altre notizie di don Emanuele...

"Andrea, forse?" esclamò don Raimondo.

"Ah! lo sapevate?" disse donna Aloisia.

"Sì, lo avevo già veduto, ma gli avevo proibito di entrare..."

"Perché?" domandò la duchessa non senza un tono di risentimento.

"Perché prevedevo che l'emozione vi avrebbe fatto male..."

"Invece," rispose donna Aloisia con un triste sorriso, "mi ha fatto bene, come vedete... Avreste dovuto farlo entrare più presto... dal momento che recava la benedizione del padre alla sua creatura..."

Un'ora dopo, circa, rientrato nel proprio studio, con aria trionfante fece chiamare Andrea e gli disse con asprezza: "Tu non hai più nulla da fare qui..."

"Mi manda via?"

"Non ho bisogno dei tuoi servizi..."

Andrea chinò la testa, come colpito; balbettò come scusa: "Se non mi avesse fatto chiamare sua Eccellenza la duchessa, io..."

"Non mi riguarda..."

"Ho ubbidito alla padrona..."

"Il solo padrone qui sono io!..."

"Vostra Eccellenza mi perdoni; perché non mi lascia vivere qui, in un angolo, accanto al mio padroncino?... Lo faccia per la memoria del signor duca."

"Vattene!" rispose seccamente don Raimondo e gli voltò le spalle.

Andrea capì che era inutile insistere. Col cuore stretto dal dolore uscì, ma si fermò un poco nell'anticamera, volendo, prima di andarsene, vedere Maddalena per avvertirla. Maddalena non fu meno sorpresa e addolorata; ciò che più la sorprendeva e l'addolorava, era quel tono da padrone che don Raimondo aveva assunto e che le sonava all'orecchio come una minaccia.