Beati Paoli

di Luigi Natoli

prologo, capitolo 5

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Don Raimondo aveva licenziato tutta la servitù antica e affezionata alla Casa Albamonte, trattenendo soltanto Maddalena, per non urtare la duchessa sua cognata; tuttavia le aveva imposto di non vegliare più, la notte, nello stanzino dietro la camera della padrona. Questo divieto fu per Maddalena tanto doloroso quanto un licenziamento.

Don Raimondo sostituì la servitù licenziata con poche persone: appena quattro portantini, quattro staffieri, un cameriere e un ristretto servizio di scuderia. Tutta gente nuova, che pareva assai devota al cavaliere Albamonte.

Il cameriere si chiamava Giuseppico; era un majorchino, vissuto gran tempo in schiavitù sulle galere tunisine, poi riscattato o liberato e pareva godesse una grande fiducia. Aveva un volto scuro, magro, nervoso, gli occhi neri, ma cupi e le sopracciglia folte, ispide, congiunte come un solo arco: un aspetto fosco e poco rassicurante. Parlava poco e aveva maniere rudi e selvatiche.

Donna Aloisia, alla quale Maddalena aveva timidamente comunicato quelle notizie, ne era rimasta sorpresa e ne aveva domandato spiegazione a don Raimondo: ma la risposta, se le chiuse la bocca, la empì di sgomento.

"Non ho voluto comunicarvi la notizia, per un riguardo alla vostra salute e perché, dopo tutto, avete diritto a tutto il rispetto che merita il vostro grado. Ma sua Eccellenza il Vicerè ha creduto, nella sua saggezza, affidare a me la tutela del duchino, vostro figlio e mio nipote, e converrete con me che, dovendo fino alla maggiore età governare la casa, avere cura del pupillo, amministrare e conservare il patrimonio, è giusto che mi circondi di persone di mia fiducia.

Per istinto, donna Aloisia strinse al petto il suo bambino come se qualche pericolo ignoto lo minacciasse; sentiva che lei e la sua creatura erano in balia di quell'uomo, che non le aveva ispirato mai fiducia e del quale aveva avuto sempre paura, e si domandò per quale diritto, ella, che era la madre, veniva posta nella condizione di una semplice nutrice: si domandò con un senso di terrore se don Raimondo non si sarebbe arrogato an che il diritto di toglierle il figlio per farlo allattare da altra nutrice, col pretesto che ella fosse ammalata. Era necessario guarire e avere l'aria sana e forte.

La febbre le era andata cessando, per quella crisi interiore che aveva, per così dire, imposto con la forza della volontà a tutto il suo sangue, a tutto il suo organismo di guarire. Ma era ancora debole, come prostrata dal terribile colpo ricevuto e incapace di lottare, o almeno, inchiodata come era, di potere disporre di tutte le sue forze fisiche.

In quei giorni era stato battezzato il bambino, senza pompa per il lutto della casa: l'aveva battezzato in camera di donna Aloisia il parroco di S. Ippolito; donna Aloisia aveva voluto che il figlio rinnovasse il nome del padre. Egli si chiamò dunque Emanuele. Don Raimondo aveva voluto tenerlo a battesimo: ciò ombrò la fronte di donna Aloisia, la quale non potè frenare un brivido, quando vide il suo figlioletto sulle braccia del cognato e le parve di scorgere sul suo volto un freddo e ambiguo sorriso.

Da quel giorno ella vegliò più che mai sulla sua creatura. La notte in ispecie, dacchè era stato vietato a Maddalena di dormire nello stanzino contiguo, donna Aloisia aveva delle sùbite paure, che la facevano balzare sul letto.

Una notte le sembrò di udire come un lieve rumore di piedi nudi e di vedere al tenue lume della lampada entrare nel fondo della camera un'ombra.

Gridò: "Chi è?"

Non rispose nessuno: l'ombra si dileguò. Donna Aloisia non chiuse occhio per tutta la notte e la mattina confidò il terrore di quella apparizione a Maddalena.

"Io voglio che tu dorma qui, in camera mia."

"Eccellenza, il signor cavaliere me l'ha proibito..."

"Ma dunque io non ho più il diritto di comandare i miei servi?"

Maddalena giunse le mani: "Oh, Eccellenza, e che non farei io per contentarla?.. Ma ora" aggiunse con dolore "il padrone è lui e se trasgredisco mi caccia via, e vostra Eccellenza non avrà più accanto una persona devota e fedele..."

"Non giungerà a questo..."

"Me l'ha minacciato, Eccellenza."

Donna Aloisia si coperse il volto con le mani, come per nascondere il rossore che le saliva sul volto. Quella condizione umiliante, mentre la mortificava, avvalorava i suoi sospetti e le accresceva la paura del cognato. Maddalena ne ebbe pietà.

"Accada quel che può accadere, Eccellenza, farò di tutto per venire stanotte... E se non potrò entrare non abbia paura di nulla; io veglierò in qualche stanza vicina. Mi nasconderò..."

Don Raimondo fu quel giorno più corretto del solito: le domandò come avesse trascorso la notte, se si sentiva bene e se era sicura di potere allattare il piccolo Emanuele.

Ella rispose a monosillabi. I sospetti le facevano sembrare insidiose tutte quelle domande e le pareva di scorgere in fondo alla premura del cognato come una lieve punta di ironia. Si pose in guardia. La sera si fece portare il piccolo Emanuele nel letto, celandolo sotto le coperte come per sottrarlo alla vista altrui; lo avrebbe fatto dormire con sè, sotto l'usbergo del braccio materno. E non dormì; appena chiudeva gli occhi, balzava come colpita da un improvviso terrore e guardava in fondo alla camera negli angoli bui. I vagiti del piccino, svegliatosi a un tratto, la fecero trasalire; il fatto ordinario assumeva in quell'ora e in quelle condizioni di spirito un aspetto pauroso.

Per assicurarsi che Maddalena vegliava lì presso, la chiamò: "Ci sei, Maddalena?"

Tese l'orecchio; sentì di sotto la porta dello stanzino una voce soffiare: "Dorma tranquilla."

Si rassicurò: Maddalena era di là e lei non era più sola.

Maddalena infatti si era nascosta nello stanzino dove aveva dormito per tante notti e vegliava. Dopo quello scambio di parole un gran silenzio si era fatto nel palazzo; forse anche donna Aloisia dormiva. Perduta nell'oscurità, Maddalena occupava il tempo recitando il rosario; mezzanotte era sonata all'orologio della Pannaria; altri orologi più lontani l'avevano ripetuta e per un istante la notte si empì di quello scampanio: poi tutto ritornò in silenzio. Ad un tratto la buona donna gelò, un tremore la prese alle gambe: si lasciò cadere per terra, rannicchiandosi sotto una tavola. Aveva veduto un lume attraverso la porta e udito girare cautamente la chiave nella serratura.

La porta dello stanzino si aprì. Due uomini con una lanterna entrarono senza fare rumore.

Maddalena riconobbe con terrore don Raimondo e Giuseppico.

Il servo aveva in mano una bottiglia uguale a quella che donna Aloisia teneva sul tavolino da notte; entrambi si avvicinarono alla tavola sotto la quale si era rannicchiata Maddalena e vi posarono la lanterna. Maddalena tratteneva il respiro e forse ciò non le riusciva difficile, perché il terrore l'aveva tramutata in una statua e la sua vita pareva si fosse arrestata. Soltanto i suoi occhi erano vivi; avevano anzi moltiplicato la virtù visiva.

Ella vide don Raimondo e Giuseppico zitti, senza fare rumore, quasi sfiorando il terreno, avvicinarsi alla porta che dava nella camera. Giuseppico aveva la bottiglia in mano. Si era tolto le scarpe.

Nell'atto che stendeva la mano alla porta, don Raimondo gli domandò con un soffio di voce: "Sei sicuro che non farà rumore?"

"L'ho ben unta d'olio" sussurrò Giuseppico.

Lievemente egli cercava di aprire.

Don Raimondo chiuse la lanterna e lo stanzino piombò nella oscurità.

"Hai aperto?" mormorò con un filo di voce.

"Non ancora..."

Ma ecco improvvisamente una voce rompere il silenzio: "Maddalena!... Maddalena!..."

Donna Aloisia s'era destata come se i suoi nervi avessero vibrato all'impercettibile rumore. Maddalena aveva sentito come un impulso a rispondere, ma si frenò per la paura d'essere scoperta; d'altronde sentiva che don Raimondo e Giuseppico erano stati anch'essi colti da un brivido di paura e non osavano andare oltre.

"Maledizione!..."

"Aspettiamo che s'addormenti..." Stettero ancora in silenzio.

"Maddalena!" chiamò ancora una volta donna Aloisia, con voce quasi tremante.

Don Raimondo disse con voce quasi insensibile: "Andiamo."

Aprì la lanterna e si allontanò con la stessa circospezione di un gatto in agguato; Giuseppico lo seguì con la bottiglia in mano. Uscirono, richiudendo lievemente dietro di sè la porta.

Maddalena cercò di adunare tutta la sua sensibilità nell'udito e li sentì allontanarsi; allora balzò dal suo nascondiglio, si avvicinò alla porta della camera, e mormorò con voce ancora commossa e che si sforzava di rendere tranquilla: "Dorma tranquilla, Eccellenza; io sono qui..."

"T'ho chiamato!..." rimproverò donna Aloisia; "perché non hai risposto? Dove eri?"

"Qui; m'ero un po' mezz'addormentata... Stia tranquilla."

Non volle comunicarle ciò che aveva veduto e che ancora la faceva tremare, per non spaventarla; ma si perdeva intanto in un mare di congetture e di supposizioni, di domande e di risposte, di dubbi e di sospetti. Perché volevano penetrare nella camera? Che cosa c'era in quella bottiglia che il fosco servo non aveva mai abbandonato? Contro chi erano diretti? Pensava che era sola; sola a vegliare sopra quelle due creature, la vita delle quali, e qui non c'era dubbio, era gravemente minacciata. Era sola ed era una povera donna, che da un momento all'altro poteva essere cacciata via o soppressa; e contro di lei c'era un uomo, don Raimondo, che rappresentava l'onnipotenza impunibile, e un braccio, Giuseppico, che rappresentava il delitto immisericorde, cieco, bestiale.

Tremava, la povera Maddalena, sotto il peso del tremendo, enorme mistero di quella notte, che soltanto i suoi occhi avevano penetrato. La sua scoperta la spaventava; ella sola, in quel gran palazzo, sapeva che don Raimondo e Giuseppico, il padrone e il servo, tramavano un assassinio; ella sola vedeva le loro braccia armate, sollevate sul capo di una donna inerme e di un bambino; ella sola possedeva l'orribile segreto di quelle anime perverse.

Comprendeva ora perché don Raimondo avesse licenziato la vecchia servitù, fedele alla memoria del morto duca e devota alla giovane vedova; e mai come ora sentiva quanto grave fosse la mancanza di Andrea. Andrea era lo scudo e la spada della difesa. Dov'era Andrea? Come avvertirlo? Come adoperarlo? E come sottrarre quelle povere vittime al pericolo che incombeva sopra di loro?

Si domandava: "Avvertirò domani la padrona? E che le dirò? E poi?".

Si stringeva la fronte tra le mani. "Sì, e poi? Che cosa avrebbe fatto donna Aloisia? Avrebbe prestato fede a una povera serva? E aveva essa il diritto di accusare un signore, anzi il suo padrone? Ed era un'azione lecita fare la spia?" Il pregiudizio, connaturato nel suo sangue, che bisognava tacere, tacere sempre e provvedere a sè, le faceva sembrare vergognoso ogni passo: la paura di una debolezza da parte di donna Aloisia, di qualche tremendo castigo da parte di don Raimondo, la paura, anche maggiore, che la sua impudenza potesse togliere alle due vittime inconsapevoli una difesa, tanto più sicura, quanto più occulta, tutte queste idee, tutti questi sentimenti ed altri ancora, la persuadevano a tacere.

Era meglio.

Tacere e vigilare senza essere veduta nè sospettata; ecco il partito da scegliere e scelto.

Passò la notte in questo almanaccare, sobbalzando sospettosa a ogni lieve rumore, temendo di vedere comparire da un momento all'altro i due scellerati. Quando le campane del convento della Mercede suonarono, respirò di sollievo e senza fare rumore lasciò lo stanzino, se ne andò nella sua cameretta posta all'altro capo di un corridoio, e aspettò che facesse giorno per riprendere il suo servizio, come se nulla fosse. Un solo dubbio aveva: se era stata veduta; ma si rassicurò quando, destatasi tutta la casa, in nessun volto scoperse quel non so che di curioso o di malizioso che è per noi come un'accusa.

Questa sicurezza le permise di poter simulare una tranquillità che non era in fondo al suo cuore.

Quando le parve ora, entrò in camera della duchessa.

Donna Aloisia la rimproverò, non aspra, ma con un tono di rammarico che trafisse il cuore della povera Maddalena. Ella inventò una scusa per giustificarsi, cercando di tranquillarla. Donna Aloisia le disse che quella notte nel sonno aveva provato l'impressione che dietro la porta dello stanzino vi fosse gente.

"C'ero io, infatti" disse Maddalena, sforzandosi di sorridere, ma impallidendo.

"Lo so; ma a me pareva che fossero uomini e non uno solo. Mi pareva come se volessero aprire. Che paura! sudavo freddo..."

"Vostra Eccellenza ha fatto certamente un cattivo sogno..."

"Lo credo... Tu non ti sei allontanata mai, non è vero?.."

"Oh no!..."

"Va bene, così; quando io ti so lì accanto, sto più tranquilla..." Poco prima di mezzodì, col pretesto di andare a confessarsi, Maddalena uscì dal palazzo e si recò nella chiesa della Mercede. Non aveva la sicurezza di potervi incontrare Andrea, ma sperava di incontrarlo o di vederlo anche da lontano o per lo meno di incontrare qualcuno che potesse rintracciarlo. Il vicinato lo conosceva per tutta la strada di S. Agostino e per il Capo: non era dunque difficile trovare un amico. La fortuna la favorì.

Appena uscita dal portone, avvolta nel manto nero, una donna che se ne stava seduta lì dinanzi, con un gran canestro di uova sopra uno sgabello, la chiamò. Era una contadina di Monreale che veniva ogni giorno a vendere uova nel mercato del Capo e da dieci anni occupava quel posto e conosceva il palazzo. La vista della cameriera della duchessa le destò la curiosità; voleva sapere notizie della signora. A Maddalena non spiacque l'essere stata chiamata e fermata, perché ciò le dava agio di indugiarsi per la strada. Rispose come poteva alla contadina che pareva ripetesse tutti i pettegolezzi del mercato intorno agli avvenimenti della "torre di Montalbano". Il nome di Andrea cadde da sè nel discorso.

"Il povero giovane non sa darsi pace, d'essere stato cacciato via così. Ieri appunto, parlandone, gli veniva la voglia di piangere..."

"Dove l'avete veduto?"

"Qui; ci passa spesso..."

"Ah!... Mi fareste un favore?"

"Due, anche..."

"Se lo vedete oggi o domattina, ditegli che io gli ho da parlare di una cosa molto importante..."

"Che cosa?"

"Ve lo dirò poi..."

"Volete che lo mandi su?"

"No... Non può... Fate così, ditegli che venga dal vicoletto..."

La contadina la guardò con aria furba e un po' risentita: "Ohè, dite un po', cotesti incarichi non potreste darli ad altri?"

"O zia! che vi passa per la te sta?... Per la santa giornata d'oggi, vi giuro... io sono una ragazza onesta!... Si tratta di un'opera santa e Dio ve ne compenserà... Ve lo giuro..."

Maddalena ritornò subito a casa, soddisfatta. Le pareva di essere più sicura adesso che poteva avere l'aiuto di Andrea, giovane audace e de voto. Era quasi certa che la stessa sera Andrea sarebbe venuto dal vicoletto, sul quale si affacciava la finestra della sua camera: però non trovava ancora in che modo Andrea avrebbe potuto difendere donna Aloisia.

Venne la sera; la notte distese le sue ombre, ma Andrea non si fece vedere. Maddalena si sentì stringere il cuore; assicurò la duchessa che sarebbe rimasta nello stanzino e andò a nascondersi. Questa volta buttò sul tavolino una coperta come se qualcuno ve l'avesse lasciata, in modo che un lembo, cadendo dal davanti, vi formasse un migliore nascondiglio: si tolse le scarpe e si cacciò sotto il tavolino. Il vestito scuro confondendosi con la coperta e con l'ombra, la rendeva veramente invisibile.

Dal suo nascondiglio udì gli orologi, chiari e distinti nel silenzio notturno. Via via che il tempo passava e che la mezzanotte si avvicinava, ella si sentiva invasa dalla paura e un tremito indomabile le percorreva la persona. I dodici tocchi lenti e lugubri caddero nel suo sangue come dodici onde di ghiaccio: ella sudava freddo. Poco dopo udì lo stesso rumore della sera innanzi, lieve e guardingo: vide aprire la porta ed entrare don Raimondo e Giuseppico, ma non erano soli; una donna era con loro. Quella donna aveva la sua statura e vestiva di scuro; nella penombra poteva essere scambiata per lei. Maddalena rabbrividì; le parve che il cuore le si fermasse per lo spavento. Come nella notte precedente, don Raimondo depose la lanterna sul tavolino e la chiuse, men tre Giuseppico tentava di aprire l'uscio che metteva nella camera. Nessuno fiatava, si potevano quasi udire le pulsazioni violente dei cuori. Un quadrato di fioca luce che si disegnò nel l'ombra indicò che l'uscio si era aperto. Maddalena vide la donna, lieve come un fantasma, entrare nella camera: qualche cosa che brillava nelle mani le rivelò la bottiglia. L'uscio si richiuse senza rumore dietro di lei. L'attimo che trascorse parve un secolo.

Maddalena si sentiva inchiodata per terra, incapace del più lieve movimento; non aveva più sangue nelle vene, tale e tanto era il terrore angoscioso di quel momento; udì la voce di donna Aloisia, domandare: "Sei tu, Maddalena?"

E la voce della donna rispondere sommessamente: "Eccellenza, sì. Dorma tranquilla."

La voce era così sommessa, che non poteva riconoscersi. Non udì più nulla. Rivide l'uscio aprirsi, la donna uscire con la bottiglia in mano e richiudere lievemente il battente.

Don Raimondo domandò a fior di labbra: "Fatto?"

"Eccellenza sì," rispose la donna allo stesso modo. Con la stessa prudenza, con lo stesso silenzio uscirono dallo stanzino, chiusero la porta e si allontanarono. Allora Maddalena fece uno sforzo, si alzò, corse, spinse l'uscio della camera ed entrò. Il cuore le scoppiava nel petto. Che cosa avevano fatto? Che cosa avrebbe trovato?

Si avvicinò al letto: donna Aloisia aprì gli occhi, la vide, e le domandò con sorpresa, mista a paura: "Che cosa c'è, perché sei tornata?"

"Niente," balbettò Maddalena convulsa, guardando la duchessa e il piccolo Emanuele: "niente, mi è sembrato che vostra Eccellenza mi avesse chiamato."

Vedendola senza sospetti e sorpresa, aveva provato un gran sollievo, ma dubitando sempre chi sa che cosa, guardava intorno. Gli occhi corsero alla bottiglia dell'acqua posta sul tavolinetto da notte. Un sospetto le attraversò la mente: era quella che aveva preparato lei, o era l'altra, quella che già aveva veduto in mano a Giuseppico e, poco innanzi, alla donna misteriosa? Rapidamente prese la bottiglia, corse nello stanzino e aperta la finestra ne vuotò il contenuto fuori. Stava per chiudere quando le parve di sentir aprire il portone; sporse il capo nell'ombra, riconobbe Giuseppico e la donna che uscirono e si avviarono verso la piazzetta del Capo, dove si dileguarono. Allora ritornò in camera.

Donna Aloisia stava lì, stupefatta, non sapendosi spiegare tutto quell'armeggio: sospettò e la paura le tremava negli occhi. Quando Maddalena rientrò, le chiese: "Ebbene? Che cosa è avvenuto?"

"Nulla, Eccellenza..." disse ancora convulsa la fedele serva; "ave vo dimenticato di... rinnovare l'acqua..."

"Non l'avevi portata or ora?"

"Sì... cioè, avevo sbagliato la bottiglia... Dorma bene, Eccellenza, non abbia paura di nulla!.. e, senta, Eccellenza, non beva nulla, non mangi nulla se non glielo do io..."

"Che intendi dire?"

"Niente... niente. Idee che mi passano per la testa... Desidero questa grazia... È un piacere che provo... Vostra Eccellenza riposi... riposi tranquilla..."

Se ne uscì, richiudendo l'uscio e la lasciò confusa, sgomenta, combattuta da mille pensieri, da mille sospetti, da mille paure. Donna Aloisia non dormì più per quella notte; ma neppure Maddalena dormì: la povera donna cadde sopra una sedia, sfinita, coi nervi sussultanti, e si abbandonò alle lacrime.

Intanto, nella sua camera don Raimondo, desto anche lui, passeggiava smaniando e si domandava: "Avrà ella bevuto?".

Accompagnato da Giuseppico, don Raimondo uscì dal palazzo a un'ora di notte d'Italia, voltò a sinistra, e per una strada di traverso, buia e tortuosa, giunse alla Pannaria dove era situato il Monte di Pietà e infilò un vicoletto, lungo ed angusto, vero brulicame di vite perdute nell'ombra. Giuseppico diradava le tenebre con la lanterna e la luce, percorrendo quelle vie quasi clandestine, ne andava rivelando le brutture e le miserie. Di tanto in tanto si fermavano: Giuseppico alzava la lanterna, si girava intorno come spiando, poi riprendeva il cammino. A metà dì quel vicoletto si fermarono un'altra volta.

"È qui" disse Giuseppico.

Chiuse la lanterna e picchiò tre volte a una misera porta.

Una voce domando: "Chi è?..."

"Sono io, Peppa la Sarda."

La porticina si socchiuse timidamente, poi, come rassicurata, si aperse. Don Raimondo e Giuseppico entrarono e la porta si richiuse. Allora, dall'ombra che lo avvolgeva, un uomo balzò agile come un leopardo e avvicinatosi alla porta vi appoggiò l'orecchio.

Era Andrea.