Beati Paoli

di Luigi Natoli

prologo, capitolo 8

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Mezzanotte era suonata allora allora. Nel palazzo dormivano tutti e le stanze erano buie e deserte.

Don Raimondo uscì cautamente dalla sua camera con una lanterna cieca e, fermatosi sulla soglia, chiamò sommessamente: "Giuseppico... Giuseppico..."

Udiva in un angolo un russare basso e lungo; difatti il servo dormiva sopra una sedia, avvolto nel mantello, con la testa china sul petto e le gambe allungate. Don Raimondo gli si avvicinò e lo scosse leggermente per una spalla: "Su, andiamo..."

Il servo balzò in piedi, stropicciandosi gli occhi feriti dalla viva luce della lanterna e balbettando qualche parola. In silenzio, tutti e due attraversarono le stanze, come due ladri guardinghi, evitando il più lieve rumore; entrarono in un corridoio e lo percorsero fino in fondo. C'era una porta, Giuseppico cavò di tasca un ordigno, lo cacciò nella serratura per forzarla, ma la porta cedette subito e si aprì.

Don Raimondo sollevò la lanterna, il servo guardò e disse: "Non c'è..."

"Non c'è?"

"Eccellenza no; guardi..."

Era una cameretta con un lettuccio, un cassettone e poche sedie: da chiodi piantati qua e là pendevano vesti femminili; il lettuccio era vuoto.

"Dev'essere dalla duchessa; quasi quasi ne ero sicuro;" mormorò dispettosamente don Raimondo.

Rifece il corridoio, seguito da Giuseppico; all'altra estremità v'era la porta dello stanzino dove Maddalena aveva già passato alcune notti a guardia della padrona. Dallo stanzino, socchiudendo lievemente la porta che dava nella camera di donna Aloisia, poteva vedersi se v'era Maddalena. La porta dello stanzino era chiusa di dentro, segno evidente che c'era qualcuno: per quanto spingessero senza fare rumore, essa non cedette, nè il ferro di Giuseppico fu più fortunato: la porta doveva essere chiusa con un catenaccio.

"Maledizione!" mormorò don Raimondo.

Ostinarsi e cercare di forzare la porta era lo stesso che destare donna Aloisia e denunziarsi: bisognava rimettere la partita. Intanto tutti quegli indizi: la porta insolitamente serrata di dentro, la presenza di Maddalena in camera della duchessa, quell'avere portato via il vassoio con la cena, tutto ciò convertiva sempre più in certezza il suo sospetto, che Maddalena fosse padrona del suo segreto e lo riconfermava nel suo disegno, che bisognava sbarazzare la via da quel testimonio pericoloso.

"Andiamo," disse cupamente.

Ma non si erano ancora mossi, che don Raimondo come colpito improvvisamente si fermò, e rapidamente chiuse la lanterna, spingendo Giuseppico contro la parete. Infatti nello stanzino si udì un lieve rumore, come di un passo breve e guardingo che si avvicinava alla porta. Don Raimondo tratteneva il respiro e con la mano aperta, distesa, premeva l'addome di Giuseppico, come per impedirgli di parlare. Si udì lievemente tirare il catenaccio e la porta socchiudersi a poco a poco. Nel buio profondo del corridoio, si indovinò che la porta si apriva da un fioco barlume, come di luce riflessa, che attenuò l'oscurità. Parve a don Raimondo che un'ombra si opponesse a quel barlume; evidentemente qualcuno si affacciava e non poteva essere altri che o donna Aloisia o Maddalena; più probabilmente questa. Nell'uno o nell'altro caso l'occasione per agire senza essere veduti, misteriosamente, nell'ombra, si offriva a lui, quando già disperava. Egli era quasi appoggiato allo stipite, non doveva che allungare il braccio e avrebbe potuto improvvisamente ghermire quell'ombra. Ma la fortuna pareva volesse secondarlo. La porta si aperse ancora di più: l'ombra si mosse innanzi e si udiva appena il lievissimo rumore del piede cauto e circospetto. Don Raimondo provò la sensazione della vicinanza di un corpo; allora strisciando lungo la parete si interpose fra l'ombra e il vano della porta e aprì la lanterna.

Era Maddalena.

Ella mandò un grido di spavento, che si tramutò subito in un rantolo strozzato.

Giuseppico le era balzato sopra afferrandola per la gola; fu un dibattersi breve, violento, affannoso; sotto la stretta, il rantolo diveniva più rauco, ed il corpo guizzava, contorcendosi terribilmente.

"Sbrigati!" ringhiò don Raimondo.

"La bestia ha il cuoio duro!" rispose anelando il servo che, gettata per terra Maddalena le era montato sul ventre con le ginocchia.

Di là, dalla camera, la voce di donna Aloisia chiamò: "Maddalena!"

"Su, presto!" incitò don Raimondo.

"È fatta" rispose l'altro rialzandosi.

La voce di donna Aloisia ritornava a chiamare: "Maddalena!..."

"Portala via!" ordinò don Raimondo, temendo che la duchessa, insospettita, li sorprendesse.

"Portala via subito nella sua camera!"

Ma Giuseppico si era appena chinato, che donna Aloisia si affacciò sulla soglia, il suo grido di spavento fece sobbalzare i due uomini; don Raimondo prontamente chiuse la lanterna e il corridoio piombò nell'ombra fitta, ma non così rapidamente che donna Aloisia non riconoscesse Maddalena distesa per terra e non vedesse quell'uomo curvo sopra di lei.

Non riconobbe bene i due uomini, ma intuì, che commettevano qualche scelleratezza. Il terrore l'invase. Il repentino passaggio dalla luce all'oscurità più profonda le parve come se d'intorno a lei subitamente si facesse un vuoto spaventevole, nel quale ella veniva lanciata. Le tenebre erano piene di pericoli misteriosi e terribili, dei quali la vista di Maddalena era un esempio. Ma non vide soltanto sè, tra quei pericoli, vide anche la sua creatura. Questo pensiero, che nell'ombra una mano orrida, mostruosa, cruenta avrebbe potuto calarsi sopra la culla, le infuse il coraggio della paura. Si precipitò nella sua camera chiudendo dietro di sè gli usci; prese dalla culla il piccolo Emanuele che dormiva placidamente e avvolgendolo in uno scialle uscì nell'anticamera, con l'idea di fuggire senza sapere dove o per lo meno di destare il palazzo. Attraversò due o tre stanze buie, inciampando nei mobili, smarrita nelle tenebre che l'avevano disorientata. Girando si ritrovò dinanzi alla sua camera: era ritornata indietro, credendo di andare sempre innanzi. Si fermò: le parve di udire voci di persone nella sua camera. Tese l'orecchio: un brivido le corse per le vene. Si celò dietro un'ampia tenda, lasciandosi cadere per terra, rimanendo interamente celata e guardò da uno spiraglio dentro la sua camera. Ella vide distintamente due ombre aggirarsi e avvicinarsi alla culla...

Don Raimondo e Giuseppico entrati nella cameretta, deposero sul letto Maddalena, che non dava più segno di vita e aveva il volto paonazzo, la lingua gonfia e sporgente, gli occhi fuori dell'orbita. Metteva ribrezzo e terrore.

"Sei ben sicuro che sia morta?" domandò don Raimondo, rischiarando quel volto col fascio luminoso della lanterna.

"Per san Iacopo" grugnò il malfattore: "non vede, vostra Eccellenza?"

Appoggiò l'orecchio al cuore di Maddalena, e si rilevò crollando le spalle.

"Altro che morta!" aggiunse.

Don Raimondo non sapeva staccare gli occhi da quello spettacolo mostruoso e terrificante, come se quella immagine di morte violenta lo incatenasse. Pensava. Bisognava far sparire quel cadavere che poteva chiamare la giustizia in casa, e condurre alla scoperta del suo delitto; bisognava farlo sparire entro la notte stessa.

Sì, sì. Era necessario. Non vi erano poco lontano gli orti, nei quali si poteva seppellire un cadavere? Gli orti? No; c'era di meglio. Nel suo agrumeto, fuori della Porta d'Ossuna, non aveva egli scoperto un sotterraneo vasto e profondo? Una domenica in cui vi si era recato a diporto, perché era un vero luogo di delizia, s'era accorto che una buca, in un angolo, si era, forse per le piogge o per altro, allargata, apparendo di forma circolare e come scavata nel tufo, di cui era formato il sottosuolo. Chinatosi, aveva veduto che lì sotto era vuoto. Forse una grotta naturale, o una di quelle grotte trogloditiche, delle quali nelle campagne circostanti c'era qualche esempio. Chi sarebbe andato a cercare Maddalena in quell'antro, del quale egli avrebbe potuto coprire l'unica apertura visibile? Chi avrebbe immaginato il mistero che le viscere della terra avrebbero seppellito per sempre?

Intanto guardava Maddalena, illuminandola con la lanterna. Gli sembrava che quegli occhi orribili e pieni di sangue lo guardassero, con un senso di terrore e nel tempo stesso di feroce ironia.

Ebbe paura.

"Andiamo" disse a Giuseppico "andiamo dall'altra; è meglio sbrigarci, adesso che ci ha veduti."

Rifecero il corridoio camminando cautamente, per non fare rumore, penetrarono nello stanzino, fermandosi ogni istante e tendendo l'orecchio per essere sicuri di non fallare. Don Raimondo aveva chiuso la lanterna; spinse lievemente la porta della camera e sporse il capo. Poi entrò: Giuseppico gli tenne dietro.

Rimasero stupiti. Don Raimondo credeva di trovare la duchessa levata, pronta a difendersi, o a gridare; invece non vide alcuno.

"Non c'è" mormorò.

In quel punto, donna Aloisia si nascondeva dietro la tenda agghiacciata dallo spavento, poichè dallo spiraglio aveva riconosciuto i due scellerati.

Trattenendo il fiato, premendosi il figlio al petto quasi per proteggerlo, e nello stesso tempo per frenare i battiti violenti del suo cuore, vide don Raimondo avvicinarsi al letto, e lo udì mormorare: "Non c'è..."

Poi lo vide avvicinarsi alla culla, chinarsi, esclamare stupito: "Non c'è neppure il bambino! ..."

A donna Aloisia si rizzarono i capelli sul capo: se la sua creatura in quel momento avesse vagito o dato un segno di vita, erano perduti: tutta la sua volontà si era addensata quasi per imporre a quel piccolo corpo dormente il silenzio più profondo. Per attutirne il respiro gli aveva quasi nascosto il capo sotto il suo braccio, e lei stessa tratteneva il fiato.

Don Raimondo e Giuseppico si guardavano con uno stupore indescrivibile. Dove era andata? Certamente li aveva conosciuti e aveva capito quello che che avevano fatto. Questa idea rendeva don Raimondo ancora più feroce e risoluto. Era necessario rintracciare donna Aloisia e sopprimerla, se non volevano essere perduti. Girando la lanterna don Raimondo si accorse che la porta degli appartamenti era aperta.

La supposizione più naturale era che donna Aloisia fosse uscita di là, forse per fuggire.

"Andiamo a cercare, non può essere che per le stanze!"

Gli premeva trovarla. Una specie di febbre si era impadronita di lui; c'era dello spavento, del dispetto, della bramosia di uccidere, fusi insieme. Ogni minuto che trascorreva gli pareva un'ora e la lunghezza del tempo gli faceva credere che andava incontro ad una catastrofe irreparabile.

Tenendo alta la lanterna si avvicinò alla porta, proiettando di sulla soglia la luce intorno per la stanza. Donna Aloisia al vederlo avvicinare si sentì morire: adesso si sarebbero accorti di lei. Si rannicchiò ancor più dietro la tenda, stringendosi alla parete, serrando i denti che volevano battere, per paura che la sentissero.

Fortunatamente ella rimaneva nel cerchio d'ombra che la lanterna si lasciava dai lati. Non la videro.

"Andiamo!" incitò don Raimondo.

Attraversarono la stanza; Giuseppico passando urtò la tenda dietro la quale stava donna Aloisia, a cui il terrore pareva avesse arrestato la vita. Ella li vide passare nell'altra stanza li vide sparire; e allora uscì come una pazza dal suo nascondiglio, rientrò nella sua camera, chiuse l'uscio a chiave spingendovi dietro un seggiolone, poi corse a serrare a catenaccio la porta dello stanzino che dava sul corridoio, serrò quella della camera, e sentendo che il pericolo si era allontanato, abbracciò e baciò singhiozzando il suo Emanuele.

Ah! cercavano dunque anche lui! Le parole di Maddalena, i suoi atti che parevano inesplicabili, tutto ciò che era avvenuto in quei giorni, ogni cosa ora si spiegava, e la empiva di un alto spavento. Maddalena! Che cosa avevano fatto di lei? Inorridiva e si sentiva venir meno all'immaginarlo; ma certo la stessa sorte aspettava lei. Altrimenti perché avrebbero soppresso la povera Maddalena?

"Ah, povero figlio, solo senza aiuti, senza protezione, nella vasta casa paterna! Come salvarlo? Come?".

Un pensiero improvviso e terribile le illuminò la mente: più che un pensiero, forse una di quelle intuizioni rapide e complesse, che racchiudono tutto un ragionamento.

Corse ad aprire il balcone; tutto era buio profondo e silenzio. Dal cielo fosco cadeva ogni tanto qualche gocciolina; il freddo era sensibile. Ella scandagliò l'altezza, poi con una fretta febbrile rientrò, trasse dal cassettone quattro o cinque di quelle fasce forti e lunghe che servivano a fasciare il neonato, le legò fra loro, ne formò una corda abbastanza lunga, e ne assicurò uno dei capi alla ringhiera di ferro del balcone. Poi avvolse Emanuele in un manto di lana e lo legò all'altro capo della fune.

Il piccolo vagì.

Donna Aloisia gli spense i vagiti coi baci e con le parole più dolci, come se quella carne di pochi giorni avesse potuto capirla. Temeva che quel vagire la scoprisse. Si segnò devotamente, invocò Dio, e cominciò a calare cautamente il piccino, giù, nell'ombra. Egli vagiva ancora.

Donna Aloisia sentì il piccino toccare il fondo. Allora, commossa, provò il nodo sulla ringhiera, si assicurò che era solido; scavalcò la ringhiera, e si lasciò scivolare lungo la fune che vibrava al suo peso. Per poco non schiacciò Emanuele.

Liberò il piccino dalla legatura, lo baciò, soffocando un singhiozzo di gioia, e stringendoselo al petto, per attutirne i vagiti, si slanciò per la strada che le si dilungava dinanzi, nera, deserta, fredda, spaventevole.