Beati Paoli

di Luigi Natoli

prologo, capitolo 9

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Dove andava? Non lo sapeva ancora: il solo pensiero che ella aveva formulato, era quello di fuggire per sottrarre sè e la sua creatura alla morte sicura, che aveva veduto balenare sul loro capo. Per ora non doveva che allontanarsi da quella casa nella quale si annidava il delitto: poi avrebbe pensato. Avrebbe chiesto ospitalità in casa di qualche signore, donde sarebbe partita per la provincia presso i parenti.

Abituata a uscire sempre in portantina o in carrozza, donna Aloisia conosceva poco le strade; di notte, l'oscurità gliele rendeva affatto irriconoscibili, sicchè andando, ella non seguiva un suo itinerario, ma prendeva a caso questa o quella strada che, a suo credere, la sottraeva meglio alla "torre di Montalbano".

Era così arrivata al crocicchio del Capo. Dinanzi si dilungava nera e senza fine la strada di S. Agostino; a destra scendeva in giù la strada di S. Cosmo. Ella piegò a destra. Il freddo le sferzava le gambe nude; la fanghiglia le invischiava le pantofole, ma non se ne curava. Stringendo il suo Emanuele, al quale, per chetare i vagiti, aveva dato a succhiare, correva sola, sperduta, col capo nudo, mal vestita, cinta di paure, per quella strada i cui vicoli laterali, neri e profondi, le aumentavano il terrore.

Qualche cane randagio destato a quella corsa, ringhiava, le latrava dietro, la rincorreva per un tratto, destando altri latrati lontani. Ella si sentiva come inseguita da una muta di cani invisibili, nella notte che le ingombrava il cuore e le circondava la persona.

Il suo coraggio cominciò a vacillare. Dove andava?

Adesso una rete di strade si diramava, dinanzi, ai lati: strade ignote, che alla sua fantasia eccitata e commossa, apparivano piene di minacce e di pericoli. Ave a perduto una pantofola nel fango e andava col piede nudo, zoppicando, lacerandoselo tra i cocci sparsi per la strada.

Cominciò a piovere.

Allora ebbe paura per il piccino: come difenderlo?

Le case erano chiuse, immerse nel sonno. Una chiesa era alla sua destra.

Alzò gli occhi sulla croce di ferro che la sormontava e, raccolte le sue forze, gridò nel cuore della notte: "Aiuto!... Aiuto!..."

La voce le si spense in un singulto e si sentì venire meno; chiuse gli occhi e cadde distesa. Emanuele vagì disperatamente...

Due uomini avvolti in ampi mantelli uscivano da un vicolo li accanto; uno di loro teneva in mano una lanterna per rischiararsi la via. Allo svoltare dell'angolo, videro per terra quel corpo, di fra le cui vesti uscivano quei vagiti che li avevano sorpresi.

Quello che portava la lanterna vi rivolse la luce.

"È una donna!" esclamò.

"Qualche poveretta della campagna che viene a morire di fame in città" aggiunse l'altro.

Si chinarono e l'osservarono meglio.

"Diamine!" esclamò il primo "non è una contadina; guardate: biancheria fine... Che si tratti di un delitto?"

La esaminarono; no, non v'era alcuna traccia di violenza. Come mai quella donna, che alle fattezze, alle mani, alla biancheria appariva una dama, si trovava a quell'ora da lupi, abbandonata, priva di sensi, in una strada, mezzo vestita, con un bambinello avvolto in fasce finissime?

Qui c'è un mistero!" disse il primo.

"Intanto" aggiunse l'altro "non possiamo lasciarla qui per terra..."

Emanuele continuava a vagire.

Disse il primo: "Prendete il piccino, poveretto avrà freddo..."

L'altro lo tolse, lo dondolò un pochino, lo avvolse nel mantello per quietarlo, intanto che 'il primo, chinatosi su donna Aloisia, presala per mano la scuoteva dolcemente.

"Signora!... signora!... Perdinci! è assiderata!... Bisognerebbe portarla in qualche posto."

"Portiamola a casa mia. Aspettate, lasciate che porti il bambino e vi aiuterò a sollevarla."

Rientrò nel vicolo e ritornò poco dopo. "Su" disse "solleviamola."

La presero uno dai piedi, l'altro dalle ascelle, e la portarono via; a una diecina di passi dall'angolo del vicolo v'era il portoncino aperto, e sulla soglia una donna ancora giovane, che reggendo con un braccio Emanuele, con l'altro teneva alta una lanterna per fare luce.

Come vide donna Aloisia esanime, livida, esclamò con sincero dolore: "Oh, poveretta!"

Salirono su per la scala di pietra, attraversarono due stanzette e deposero donna Aloisia sopra un letto.

"Lasciate fare a me" disse la donna "ora è affare mio: piuttosto voi riscaldate qualche pannolino e un po' di vino buono..."

Venti minuti dopo, donna Aloisia aprì gli occhi istupiditi e senza conoscenza; percepiva però confusamente di trovarsi in un luogo sconosciuto; guardò quelle tre persone, che dritte, in piedi attorno al letto, pareva spiassero ogni suo movimento.

"Signora, signora," disse la donna "come si sente?"

Parve che il suono di quella voce la riscuotesse; fissò gli occhi sulla donna, dapprima con sospetto, poi con aria di smarrimento: a un tratto si levò a mezzo il letto, con gli occhi sbarrati, il volto contraffatto da un'angoscia improvvisa profonda e gridò:

"Emanuele!... la mia creatura!... mi hanno rubato la mia creatura!. Emanuele!"

"Eccola, signora..." disse dolcemente la donna, mostrandole il piccino, al quale aveva amorosamente porto il seno, che la povera creatura suggeva avidamente. "Eccola; aveva fame, poverina!..."

Donna Aloisia glielo strappò quasi dalle braccia, lo tempestò di baci, lo inondò di lacrime e ricadde con lui sui guanciali in una crisi di pianto, soffocata da singhiozzi convulsi.

Quelle tre brave persone la guardavano commosse, in silenzio, pensando. Certo doveva esserle accaduta qualche cosa tremenda. Ma chi era? Donde veniva? La donna cercò di consolarla; le fece annusare una boccetta di aceto, gliene stropicciò sulle tempie.

"Non pianga..! si calmi, signora;... abbia pazienza!..."

Donna Aloisia levò il volto lacrimoso, e questa volta con una espressione di stupore sempre più crescente. Dov'era? Ella non aveva mai veduto quella camera dalle pareti tinte colore celeste; non aveva mai veduto quei quadri dipinti su vetro, chiusi in cornici di legno dorato; nè quel cassettone di noce dalle maniglie di bronzo, dritto sui quattro piedi sottili e ricurvi... E quel letto? Di chi era quel letto alto ed ampio di ferro battuto, col padiglione di mussola bianca? Poi guardò i suoi ospiti. Quella donna giovane, dai capelli neri, bruna, piacente ma energica, non era Maddalena; quegli uomini dal volto un po' duro dei quali uno assai più giovane dell'altro, ella non li aveva mai visti. Dov'era? Come era lì? Non si ricordava di nulla. Una nuova paura s'impossessò di lei, come al sopraggiungere di un tremendo pensiero.

Gridò: "Chi siete? Perché m'avete portato qui? Che cosa volete?"

La donna cercò di rassicurarla.

"Non abbia paura... Siamo buona gente, che non le vuole male... Si riposi, poveretta! Era tanto intirizzita!... Qui al calduccio, e quella creaturina si ristora anch'essa..."

Ma donna Aloisia non capiva: quelle parole le risonavano vertiginosamente nell'orecchio, come il rombo di cento campane. Guardava sempre più sbalordita e atterrita; un gran tremore le percorse le membra. Battendo i denti, balbettando strane parole, ricadde sul guanciale.

Il più vecchio dei due le posò una mano sulla fronte: "Brucia!" disse.

"Se mandassimo per il medico?" obiettò la donna.

L'uomo scosse il capo.

"A giorno fatto. Sarebbe meglio prima sapere chi è. Non si sa mai se possiamo tirarci addosso qualche guaio, tanto più che si tratta evidentemente di una dama.

"Certo c'è del mistero..."

"Ma noi non abbiamo fatto alcun male, anzi..." osservò la giovane donna.

"È vero," disse l'uomo anziano "ma senza volerlo ci siamo cacciati dentro qualche intrigo di signori, ai quali non piacerebbe avere testimoni. La carità è una buona cosa, ma ci vuole prudenza... E poi... chi sa?"

Seguiva forse un pensiero segreto, e guardò il giovane con una espressione particolare, che questi parve comprendere perfettamente.

Successe un momento di silenzio. Donna Aloisia restava immobile con gli occhi chiusi, senza dare altro segno di vita, salvo che il suo respiro che si faceva sempre più affannoso e difficile. Emanuele s'era addormentato. Un senso opprimente di tristezza pesò sulla camera.

Poi il più anziano disse: "Lasciatela stare, e soprattutto..."

Con un gesto espressivo significò alla donna che bisognava tenere la bocca serrata.

"Io tornerò verso quattordici ore. Vedremo quello che ci sarà da fare..."

"Volete che vi accompagni?" domandò il giovane, vedendo l'altro prendere il mantello e il cappello.

"Non occorre. Datemi la lanterna. Del resto sono in buona compagnia."

Si battè i fianchi; oltre la spada, infatti, al gonfiore del farsetto, si poteva riconoscere che aveva due pistole infilate alla cintura. Prese la lanterna, si congedò, e se ne andò: nella camera rimasero quei due giovani; evidentemente marito e moglie, seduti di qua e di là, guardando in silenzio donna Aloisia...

A quell'ora stessa, don Raimondo Albamonte accompagnato da Giuseppico e da altri due servi correva a destare il capitano di città, per denunciare che una banda di assassini quella notte aveva assalito il palazzo, strozzato la cameriera di donna Aloisia e rapito la duchessa col bambino.

Un'ora dopo, il capitano e un nugolo di birri e ufficiali invasero la "torre di Montalbano" che era sossopra per la spaventevole scoperta; nessuno aveva udito rumori, nessun grido era stato sentito; nessun indizio. A don Raimondo, fu chiesto se avesse dei sospetti, disse che di una sola persona poteva dubitare: un antico servo del morto duca, licenziato da qualche giorno, un certo Andrea, fuggito dalle galere, e capitato in quel tempo a Palermo.

All'alba la gran notizia ingrandita, arricchita di particolari fantastici e inverosimili, circolava per la città; squadre di cavalleggeri furono sguinzagliati per le campagne; il Vicerè stesso, domandate informazioni, volle dirigere le indagini della giustizia, dal momento che si trattava di personaggi così ragguardevoli. Da per tutto non si parlava d'altro, con uno sgomento, uno stupore grandissimo, non già per il fatto in sè, quanto per l'audacia dei malfattori, che avevano potuto compiere il misfatto a danno di una famiglia di signori potenti.

Intanto che le squadriglie percorrevano e frugavano le campagne, e che i corrieri straordinari partivano per le città e i borghi vicini, donna Aloisia agonizzava in quel letto non suo, nella camera celeste, senza avere ripreso conoscenza. Agonizzava nel silenzio e nel mistero.

L'uomo anziano, ritornando come aveva promesso, portò in quella camera, dinanzi a quel letto, la gran notizia che correva per la città; e tutti e tre, egli e i due sposi, si guardarono con uno stupore muto e significante, sorpresi dallo stesso pensiero, e guardarono donna Aloisia.

"Se fosse lei!" esclamò la donna "non sarebbe utile andare dal capitano di città, per raccontargli..."

Lo sguardo tagliente dell'uomo anziano le troncò la parola.

"Perché ci arrestino? No. No. Del resto, non ci vedo chiaro. Vi è qui sotto un mistero... forse qualche intrigo terribile... Ricordate le parole di questa povera donna? "Mi hanno rubato la mia creatura". Chi avrebbe cercato di rubargliela? A chi poteva interessare?

Si chinò, tastò il polso di donna Aloisia, e mormorò: "Mi pare che non ne abbia per molto tempo."

E rivoltosi al giovane, disse: "Andate a chiamare il padre Gregorio... che porti l'olio santo..."

Il giovane partì.

Verso ventun'ora donna Aloisia spirò, senza avere detto una parola. per padre Gregorio, per i becchini e per il cappellano della chiesa di S. Cristoforo al Capo (chiesa ora distrutta, dove fu seppellita) ella non fu che una lontana parente della giovane donna, venuta dalla provincia per curarsi di una malattia.

Quando i confratelli di S. Cristoforo portarono via la bara, la giovane donna prese in braccio il piccolo Emanuele, e lo baciò con le lacrime agli occhi.

Il marito disse: "Povero orfanello, eccolo solo al mondo!..."

"Solo?" disse la donna "e non ci siamo noi? Facciamo conto di avere due gemelli."

Il giovane domandò: "E che faremo dunque?"

"Aspettare e tacere" rispose l'uomo anziano.

La sua voce aveva l'autorità di un ordine; il giovane chinò il capo e accarezzò la testa di Emanuele.

E poichè egli cominciò a vagire, la moglie gli porse il petto mormorando: "Prendi, povera creatura, ce ne sarà anche per te."

FINE DEL PROLOGO