Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte prima, capitolo 2

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Padre Bonaventura: dei Minori conventuali rientrato da poco, era andato al coro per l'uffizio di Compieta; e Blasco, dovendo aspettare, sedette su un banco, in chiesa, dapprima per ammirarne le bellezze, poi a poco a poco, per una di quelle strane associazioni, delle quali il filo di congiunzione non appare subito, per abbandonarsi a una folla di memorie, che gli distesero sul volto un velo di malinconia. Forse l'immagine di quella chiesa, il lento e grave salmodiare dei frati nel coro gli destarono nel fondo della memoria le immagini sopite di un'altra chiesa e di altri frati; e la pallida e triste figura di padre Giovanni emerse dall'ombra dei ricordi confusi, chiara e distinta; e accanto a essa ne rivide un'altra di fanciullo decenne: la sua, vestito con l'abito nero dei Minori, come un novizio, intento a tradurre Virgilio o Cicerone o a recitare a memoria lunghi squarci di grammatica, sotto la minaccia di una ferula, ah! come frizzante sul palmo della mano! Voleva farne un frate, come lui, padre Giovanni, e invece!...

Brav'uomo! Un bel giorno un ordine del padre provinciale, lo mandò via da quel convento di Messina, e gli fu proibito di condurre con sè il piccolo Blasco. Perché? imperfettamente ricordava che le cure amorose del padre Giovanni per il ragazzo, avevano dato esca alle male lingue, e s'era parlato di scandalo. Forse opera di invidiosi. E dal 1698 egli non aveva più veduto padre Giovanni e non aveva potuto più saperne nulla... L'aveva ricercato a Messina; da Messina l'avevano mandato a Caltanissetta; da Caltanissetta ad Alcamo; qui se ne erano perdute le tracce; padre Giovanni era partito per andare a Roma, e non era più tornato. Era vivo? Era morto? Chi ne sapeva nulla?... Forse padre Bonaventura... Già, anche padre Bonaventura egli aveva dovuto cercare; ma era stato più fortunato; da Milazzo era passato a Palermo. - "Lo troverete a Palermo, nel convento di S. Francesco dei Chiovari, sano e vegeto, ringraziando Dio!".

Quante cose in quei quindici anni!

Intanto il coro cessò: i frati uscirono dai loro scanni, stupendi intagli dei primi anni del secolo XVI, avviandosi per il chiostro; Blasco si alzò, e domandò al primo che gli passò dinanzi, se, per caso, fosse il padre Bonaventura.

"No; il padre Bonaventura eccolo lì."

Glielo indicò; era un vecchio dai capelli d'argento intorno a un volto rubicondo e pienotto; alto e ben piantato, con le sopracciglia folte, lunghe, cadenti sopra gli occhi, due cespugli candidi, sopra un fosso.

"Se me lo permette, vorrei parlarle" disse Blasco avvicinandoglisi.

Il frate lo squadrò: "Me? Volete me?"

"Se lei è padre Bonaventura, sì..."

"Padre Bonaventura sono io, ma non ricordo di avervi mai veduto..."

"Lo credo bene, per ba... scusi! stavo per dire la brutta parola in chiesa; dicevo, dunque, che neppure io avevo mai veduto vossignoria, prima d'oggi; ma ciò non importa. Io debbo consegnarle una lettera che in verità vo portando addosso da un po' di tempo..."

"Ah, sì... una lettera? Di chi?"

"Di padre Giovanni da Randazzo..."

"Oh!... oh! oh!..."

Il frate diede in una risata, che gli fece tremare il ventre.

"Ma se il padre Giovanni da Randazzo è morto da cinque anni!.."

"Ah! è morto?... Oh pover'uomo, quanto mi duole!..."

"Come, non lo sapevate?"

"No, padre; da quando mi diede la lettera, non l'ho più visto..."

"Scusate, e quando vi diede dunque la lettera."

"Uhm! quindici anni addietro!..."

"Come?"

"Quindici anni; sì, signore..."

Padre Bonaventura lo guardava stupefatto, ma Blasco aveva la faccia più sincera e più semplice di questo mondo, non trovando nulla di strano in quello che diceva.

"Quindici anni! quindici anni!!.

Come si fa a tenere in tasca una lettera per quindici anni?"

"Eppure è così."

"E avete potuto conservarla?"

"Sfido io!... Questa lettera rappresenta per me tutto un archivio di documenti!.."

"Ah!.."

Si erano avviati verso la sagrestia, e il padre Bonaventura si era seduto in un seggiolone di cuoio accanto a un tavolo sul quale il frate laico aveva acceso due candele. Con un gesto aveva invitato Blasco a sedere in un altro seggiolone, e ora lo guardava con una grande curiosità, sembrandogli, quanto aveva udito, una cosa inverosimile.

"E questa lettera, dunque?"

Blasco trasse dalla tasca delle larghe brache un involtino legato con un filo di spago; lo svolse e ne cavò una scatoletta legata anch'essa con un altro filo; l'aprì con cura, e ne levò un foglietto di carta ingiallita, ripiegato e sigillato con cera, la soprascritta del quale, sbiadita, si leggeva appena. Padre Bonaventura si pose gli occhiali sul naso. Non c'era dubbio; quella era veramente la scrittura di padre Giovanni da Randazzo, e la lettera era diretta a lui: Al Molto Reverendo padre don Bonaventura di Licodia, dell'Ordine dei Minori Conventuali nel Convento di Milazzo.

"Sentiamo," disse; e non senza commozione il frate ruppe il sigillo di quella lettera che gli sembrava giungesse dall'oltretomba.

Lesse a mezza voce, senza articolare bene le sillabe, con una specie di brontolio, che diventava più lento e come stupito.

Andò sino in fondo, fermandosi con meraviglia, e mormorando: "Toh! toh! toh!..."

E guardato il giovane gli domandò: "E voi, figlio, sapete cosa contiene questa lettera?"

"Precisamente no. Lei capirà che quando padre Giovanni me la diede, sul punto di andarsene, io non contavo che dieci anni; ricordo, però, che il mio buon maestro mi disse: "Bada bene, figlio, a non perdere questa lettera e portala a padre Bonaventura; egli ti aiuterà a trovare la tua famiglia"."

Il frate lo ascoltava in silenzio, ma sul suo volto era diffusa una grande commozione; disse: "Vuoi sentire quel che scrive?"

"Magari! Se c'è qualcosa che può mettermi sulla strada..."

"Forse. Ascolta."

"Molto reverendo padre e amico carissimo, Sul punto di partire da questo convento, per malevolenza altrui, della quale ringrazio Iddio, perché mi sottopone a crudeli prove, scrivo la presente, che affido al piccolo Blasco, nella speranza che egli possa portarvela presto, perché abbia la vostra protezione, ora che gli viene a mancare la mia. Voi sapete in quali luttuose circostanze questo povero ragazzo trovato da noi, e come egli sia solo al mondo, almeno fino a che il padre non lo riconoscerà. Se non mi avessero così acerbamente staccato da lui, mi proponevo di compiere la educazione di Blasco, e presentarlo al padre in condizioni da ottenergli un vantaggio un ufficio nella Gran Corte, come si addice alla sua origine; ma disgraziatamente debbo interrompere l'opera mia' Blasco non può seguirmi, ma voi, amico e fratello carissimo, potete sostituirmi, perché anche voi avete la vostra parte nell'opera miracolosa che ha lasciato questo fanciullo tra i viventi, per permissione della Divina Provvidenza.

Perciò ve lo affido. Io spero di andare a Roma per difendermi dalle calunnie, se Dio vorrà; nè so quale sarà la mia sorte; ma so che nelle vostre mani Blasco starà meglio che nelle mie, e la vostra parola sarà più efficace per farlo riconoscere dal padre suo, e fargli avere quell'avvenire che la povera sua madre gli desiderava.

Vi abbraccio con fraterno affetto e sono Vostro aff.mo FRA GIOVANNI DA RANDAZZO".

Blasco aveva ascoltato la lettura con profonda commozione, e i suoi occhi si erano inumiditi.

"Vi sono molte cose" disse "che non capisco e che ignoro... Io non ricordo mia madre... L'ho conosciuta? Sono vissuto con lei? Perché mio padre mi ha abbandonato? Chi è mio padre? Come mi trovai affidato a padre Giovanni?"

"Non ti disse mai nulla dunque egli?"

"No; mi prometteva sempre di raccontarmi tutto, quando sarei cresciuto."

"Ma come mai non sei venuto prima? Come mai hai tenuto addosso questa lettera per quindici anni? Come mai non ti sei affrettato a portarmela, come era desiderio di padre Giovanni?"

Il giovane non rispose subito; forse seguiva qualche pensiero; poi, scossa la folta capigliatura, sorrise mestamente e disse: "Infatti... Lei ha ragione. Se io venissi direttamente da Castiglione, la cosa sarebbe strana, ma io vengo da Tunisi."

"Da Tunisi?"

"Appunto. La Spagna però non fu che l'ultima mia tappa..."

"Ma come mai?..."

"È una lunga storia... Gliela racconterò dopo. Le dico soltanto che, partito padre Giovanni, io mi sentii tutto solo nel convento di Castiglione e dopo qualche giorno me ne fuggii a raggiungere padre Giovanni, e andarmene con lui; invece accadde tutto a rovescio. Mi allontanai dalla Sicilia, ma non per mia volontà; andai errando di qua e di là, senza poter tornarmene indietro... Ma le racconterò. Ora, padre, una cosa mi preme più di ogni altra: sapere chi sono, se debbo continuare a chiamarmi Blasco da Castiglione, o se posso pretendere un casato; sapere tutto il mistero della mia nascita, della mia infanzia avvolta nell'ombra... e prima di tutto, padre Bonaventura, dov'è mia madre..."

"E morta," mormorò il frate, alzando gli occhi con rassegnazione "morta da lunghi anni, figlio mio..."

"E mio padre?.."

"Morto anche lui."

La voce del frate si era fatta cupa per mestizia. Nella sagrestia erano soli; le tenebre l'invadevano e celavano gli alti armadi di legno scolpito, anneriti dal tempo. Soltanto le due candele accese rischiaravano in un lato l'ampia stanza, d'una luce rossastra, che illuminava i volti dei due interlocutori e il Cristo sanguinolento. Un braciere di ottone ardeva presso di loro, e mitigava il freddo dell'aria. Intorno era un gran silenzio.

Padre Bonaventura riprese: "Tutte le volte che, per un caso, io mi trasporto con la memoria a tanti anni addietro, mi sento opprimere dalla tristezza, perché mi si presenta agli occhi uno spettacolo di orrore..."

Tacque, come per riordinare i suoi ricordi: Blasco lo guardava con l'anima negli occhi; ciò che aveva spesso tormentato la giocondità della sua giovinezza avventurosa, finalmente stava per essergli rivelato.