Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte prima, capitolo 4

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Blasco da Castiglione se ne tornava alla locanda del Messinese con la testa in tumulto. La dolorosa storia della madre aveva evocato dal fondo remoto della sua memoria immagini sopite e dimenticate e qualcuna di esse si associava alla narrazione del, frate e, probabilmente per via di essa, gli si schiariva meglio nella mente.

Del terremoto non gli era rimasta nessuna immagine; il suo cervello era troppo piccolo per comprendere tutta la grandezza spaventevole dell'immane disastro; ma ora, improvvisamente, gli era apparsa l'immagine dell'avo, con un giubetto turchino e un berretto bianco che più del volto gli si ripresentava nella memoria. E sua madre adesso la rivedeva; rivedeva più di ogni altro i grandi occhi neri e la bocca, il resto gli appariva più debole; poi, ecco balzargli dinanzi agli occhi la morta, pallida, con gli occhi chiusi...

Ma a queste immagini si sovrapponevano disordinatamente idee e fat ti, che egli si rappresentava: i due frati, Francesco Giorlanda, la caccia, la finestra ornata di garofani, il barone. Ah, il barone! Era suo padre!... Chi era e come era stato suo padre? Alto? Biondo? Ed era stato un uomo valoroso, audace, generoso?... Adesso, cessato il primo impeto di sdegno, sentiva un certo rammarico di non avere conosciuto suo padre: ora ne avrebbe evocato l'immagine. Ma forse nel palazzo c'era il ritratto; bisognava che padre Bonaventura gli rivelasse il nome, perché egli potesse rintracciarlo.

Tutte queste idee, queste immagini, questi rimpianti, questi desideri gli si addensavano nello spirito, mentre a passo affrettato, forse per bisogno di riposo e di raccoglimento, si recava alla locanda.

Quando vi giunse trovò il locandiere con un libraccio sudicio in mano e una penna d'oca: il quale vedendolo, gli mosse incontro, dicendo: "Scusate signore, volete favorirmi il vostro nome?"

Blasco glielo disse.

Il locandiere, chinatoglisi all'orecchio, nel dargli una lampadina di stagno, ad olio, gli domandò: "Ditemi un po', ne avete fatta qualcuna grossa? Sono venuti a cercarvi. Se volete un consiglio, sellate il cavallo e partite."

Blasco lo guardò stupito. Che significavano quelle parole e perché doveva partire? Chi era venuto a cercarlo? Egli non conosceva alcuno in Palermo, eccettuato padre Bonaventura, che aveva lasciato allora allora. Ci doveva essere qualche equivoco.

"Ma no," insistette l'oste "proprio cercavano di voi, il signor Blasco da Castiglione..."

"Ma che gente era?..."

"Non avete capito? I birri."

"I birri? Me? Bah!..."

Fece un moto di noncuranza e cominciò a salire la scaletta di legno che dalla sala a pianterreno conduceva al primo piano; ma in quel punto la taverna fu invasa da un gruppo di gente rumorosa, che fecero voltare il locandiere e Blasco.

Il locandiere mormorò: "Eccoli!... Non c'è più tempo!..."

Il caporale col piglio prepotente e odioso dei birri gridò: "Ebbene, dov'è cotesto forestiere?"

Blasco, prevenendo il locandiere, scese i due scalini e domandò con voce tranquilla e curiosa: "Ma è proprio me che cercate?..."

Il birro lo squadrò, e con lo stesso fare villano e violento: "Se siete voi il nominato Blasco da Castiglione, cerchiamo appunto di voi."

E fatto un cenno ai suoi uomini, aggiunse: "Legatelo."

Ma Blasco si gettò rapidamente verso l'angolo della scala, snudando il suo spadone e rispondendo: "Questo, bello mio, è un altro paio di maniche."

La rapidità della mossa, quella lama formidabile, la guardia sicura e ferma, l'aspetto del giovane, fecero istintivamente indietreggiare il caporale e i quattro birri. Blasco ne approfittò per stendere meglio la sua guardia.

"Caro caporale," disse motteggiando "tu mi capiti in un momento in cui ho tutt'altro per la testa che bastonare te e i tuoi mammalucchi.

Legarmi? Credi forse che io sia un salame, un cane, un malandrino? Chi ti manda?"

Ma il caporale si era ripreso e vergognandosi di quella prima incertezza o più dell'aria del giovane, incitò i suoi: "Che cosa fate lì? Prendetelo. E voi, badate a voi! Si tratta d'un ordine del capitano di città..."

"Salutatelo per parte mia, e ditegli che venga lui, se vuole; quanto a voi, giacchè lo volete, prendete!"

Accortosi che i birri cercavano di circondarlo, ma che per la ristrettezza dello spazio non potevano servirsi delle picche, Blasco fece cadere sopra le loro teste, le loro spalle, sulle loro braccia una furia così imparabile di piattonate, con un tale balenio di guizzi agli occhi, con una tale imprevedibile e incredibile velocità, che quelli se ne sentirono sopraffatti, vacillarono, indietreggiarono, si gettarono fuori della porta, col caporale alla testa, fuggendo vergognosamente, inseguiti dal martellare impetuoso, tempestoso delle piattonate e dalle risate di Blasco, alle quali faceva eco il locandiere, dall'alto della scaletta dove si era rifugiato. Ma fuori dalla porta s'era adunata della gente, attirata dal frastuono e i poveri birri furono accolti da una salva di fischi, urli, sberleffi, urtoni, che fu ventura se poterono sottrarsi con la fuga.

Quando li vide fuggire, Blasco tranquillamente ringuainò la spada e rientrò.

"Adesso andiamo a dormire."

Ma il locandiere lo fermò: "Vi pare prudente? Volete farvi prendere come un topo? Quelli torneranno più numerosi, faranno accorrere tutto un reggimento... Mettetevi in salvo. Per Sant'Antonio! un uomo del vostro merito non deve lasciarsi acchiappare... Ve lo dico io; circonderanno la locanda, vi assaliranno in venti, in trenta, in cento, io li conosco... vedrete che sono capaci di venire coi tamburi, i guastatori, e per poco non porteranno i cannoni! Andatevene: se volete vi dirò io dove.. Il cavallo ve lo rimanderò domani."!

Il locandiere aveva ragione. Dei popolani entrati per curiosità e per ammirare quel bel giovane, che aveva compiuto un gesto sì valente, rincalzavano. Era meglio cercarsi un altro alloggio per quella sera; lì presso, ai Lattarini c'erano altre locande, altri fondachi.

Un ometto che pareva un artigiano osservò: "Le locande non sono sicure. Glielo troverò io un ricovero se vuole."

"Sì, sì," dissero alcune voci e il locandiere stesso: "Andate con lui, giovanotto, andate con lui."

Blasco si lasciò persuadere e seguì l'ometto, che lo guidò per un vicolo, attraversò la piazza della Fieravecchia entrò nel vicoletto di S. Carlo, e aprendo una porticina disse al giovane: "Qui c'è la congregazione di S. Bonomo, e non verrà in testa a nessuno di venirvi a cercare. Del resto è luogo sacro."

"Grazie, caro brav'uomo. Ditemi ora chi siete, perché sappia almeno a chi devo gratitudine..."

"Io sono sarto: Michele Barabino; ai vostri comandi, se mai vi occorre qualche cosa."

"Grazie, maestro, grazie..."

"Bisogna accomodarvi alla meglio, per questa notte. Vi porterò un materasso e l'aggiusterete sopra i banchi della chiesa: domani poi si provvederà meglio. Domattina verrò a trovarvi di buon'ora."

Prese di sull'unico altare una candela, l'accese, la posò sul tavolino del superiore, posto in fondo alla chiesa, e ripetuto un saluto, se ne andò, lasciando Blasco solo, in quella chiesetta nuda, immersa nell'ombra, nella quale il Cristo prendeva un aspetto fantastico e pauroso.

Sonno non ne aveva. Si mise a sedere sul seggiolone del superiore, ampio e comodo, sprofondando lo sguardo nell'ombra come per seguire l'onda dei pensieri che l'aveva ripreso. Ma c'era troppo buio. Perché non avrebbe acceso le altre candele? Ce n'erano dodici sull'altare: si alzò, le accese tutte e la piccola chiesa della maestranza dei sarti si illuminò con grande soddisfazione di Blasco.

Non avendo nulla da fare, cominciò a esaminare ogni cosa: i banchi fissi alle pareti intorno, i quadretti della via Crucis, il confessionale, un quadro nero e mostruoso rappresentante forse San Bonomo, il notamento dei "confrati defunti", quello dei vivi; e in questo cercò il nome del suo ospite per così dire: era lì, in alto: maestro Michele Barabino "congiunto di mano destra", dignità che, equivalendo presso a poco ad una vicepresidenza, gli dava il governo della confraternita. Poi si mise a leggere le tabelle dei vangeli sui corni dell'altare. Il sonno non veniva e mastro Michele non ritornava. Bisognava passare il tempo in qualche modo. Quando non ebbe più nulla da vedere e da esaminare, riprese posto nel seggiolone, allungando le gambe e appoggiando le mani sul pomo della spada.

A poco a poco i suoi pensieri lo ripresero. I birri? Che volevano da lui? Giacchè era proprio di lui che cercavano. Come sapevano che egli era arrivato e si trovava nella locanda del Messinese? Veramente da quando era sbarcato a Trapani, seminudo, sudicio, non gli era accaduto nulla... nulla!... Rifaceva le sue tappe: da Trapani ad Alcamo, da Alcamo al villaggio di Partinico, da qui, su per i monti, a Monreale, da Monreale a... Ecco! lì aveva avuto un piccolo battibecco con due signori, ai quali aveva detto il proprio nome e cognome, e dato il nome della locanda... Ah! per bacco!... Erano stati loro, dunque? Due cavalieri?... Adesso ricordava la loro minaccia... Invece di mandare un cartello di sfida, mandavano il caporale e i birri: oh, miseria!...

La scoperta lo sdegnò; una vampa gli accese il volto: quella era un'offesa peggiore di qualunque altra.

"Ah, è così che intendono il dovere loro, lor signori? Ma sta bene!... ma io vi scoverò, io vi schiaffeggerò, io vi infilzerò come due allodole allo spiedo!".

Accompagnava le parole col gesto. Certamente quella non era condotta da cavalieri. Con chi credevano di avere da fare? L'avevano dunque creduto di così vile condizione da non essere degno di incrociare la sua spada con le loro? Ma chi erano costoro? Ecco una domanda che si rivolgeva per la prima volta; chi erano? come avrebbe fatto a scovarli e a dire loro quello che meritavano? Palermo era così grande; v'era tanta gente e i signori erano così numerosi!... Intanto, eccolo coi birri sulle piste, come un bandito, come un malfattore, senza aver commesso nulla!... Per bacco, c'era da pigliare il mondo a schiaffi! Altro che avventura! E pensare che egli, in fondo, era un nobile e forse di antica e gloriosa nobiltà, mentre quei due cavalieri altezzosi potevano ben essere due gagliozzi che avevano comperato un feudo con l'usura...

"Ma, non m'importa un fico secco!" concluse poi alzando le spalle e dando un altro avviamento ai suoi pensieri.

Lo stridere d'una chiave nella porticina per la quale era entrato lo destò. Venivano a cercarlo fin lì? Il sarto era una spia?

Si alzò pronto alla difesa: ma vide entrare il maestro, che, gettato sopra un banco un grosso involto, corse a spegnere le candele, gridando: "Ma siete impazzito? Questa luminaria, a quest'ora, farà accorrere la gente!".

"Oh, che c'è di male?"

"C'è che i vicini, a vedere dalla finestra tanto splendore, hanno pensato che forse la chiesa bruciava: e se non incontravano me, che ho inventato non so che storia, andavano a S. Carlo a suonare a stormo; avrebbero fatto accorrere popolo, soldati e birri, e voi sareste stato preso come un topo nella gabbia. Che bestialità! che bestialità!..."

"Avete ragione" mormorò Blasco confuso.

"Qui v'ho portato delle coperte... bisogna che vi contentiate di queste... per una notte, poi .."

"Oh, ho dormito per terra io!..."

"Domani..."

"Domani" interruppe Blasco "prima di venire qua, fatemi il favore di andare a S. Francesco, a cercare padre Bonaventura da Licodia e ditegli quello che mi capita, e che io non so spiegarmi; e pregatelo di trovare il modo o di venire qui, o, che è meglio, di farmi uscire..."

"Vi servirò. Ma mi raccomando: abbiate prudenza. Dormite bene e buona notte."

"A proposito, che ora è?"

"Saranno due ore e mezzo di notte. Buon riposo."

Blasco distese le coperte sopra un largo banco arrotolandole da un capo per farsene l'origliere; vi si sdraiò, gettandosi un'altra coperta addosso e s'addormentò profondamente.