Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte prima, capitolo 10

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Padre Bonaventura era ritornato appena dalla sua passeggiata, quando sentì picchiare con vivacità alla porta della cella; indovinando chi fosse il visitatore, andò ad aprire dicendo: "Entra, figlio."

Blasco entrò con la sua aria brava, e il frate, che non lo aveva ancora veduto nel nuovo abbigliamento, non potè trattenere una esclamazione di meraviglia.

"Gesù benedetto! Sembri un altro! Così stai bene, e domani potrò presentarti al duca e ottenerti la sua protezione..."

"Eh?!"

"Sono andato stamattina a parlare di te e ci sono tornato stasera a congratularmi con lui del pericolo scampato..."

"Un pericolo?"

"Sì: un galeotto, un evaso dalle galere, forse per vendicarsi della condanna ricevuta, gli ha tirato un colpo di pistola, senza però, grazie a Dio, colpirlo."

"E chi è questo signore?"

"Sua Eccellenza il duca della Motta..."

"Il duca della Motta!" gridò Blasco sorpreso di stupore ma col volto sfavillante di piacere.

"Lo conosceresti, forse?" domandò il frate stupito a sua volta.

"No, ma" e qui Blasco fece col cappello in mano un grazioso inchino scherzevole "ho l'onore di conoscere la signora duchessa, che è bellissima..."

"Blasco!" rimproverò il frate facendosi serio.

"Domando scusa!" rispose il giovane ridendo; "un'altra volta non mi lascerò scappare nessun giudizio... di questo genere."

"Come l'hai conosciuta?"

"Oh! soltanto di vista, badiamo: la duchessa della Motta è precisamente la dama che era in carrozza, quando il giorno del mio arrivo mi accadde quella piccola avventura. L'ho riveduta oggi alla passeggiata..."

"Chi ti ha detto che era la duchessa della Motta?"

"Un giovane signore, col quale ho già stretto amicizia, come se ci conoscessimo da un pezzo: il cavaliere della Floresta. Lo conosce, lei?"

"Di nome. È una famiglia ragguardevole. Caspita! signorino. Voi fate presto a prendere delle conoscenze. Bravo! Mi raccomando però prudenza e ricordati che si tratta del tuo avvenire. Fra due o tre giorni arriverà il nuovo re: naturalmente concederà delle grazie: capirai tutta l'importanza di avere un protettore come il duca della Motta, che è fra i più autorevoli deputati del regno, e lo vedremo presto presidente del patrimonio... Bisogna sapersene cattivare la simpatia. Io gli ho parlato di te, e non ti nascondo che ha una grande curiosità di conoscerti."

"È giovane il duca della Motta?"

"Quaranta o quarantacinque anni."

"Ma allora è il padre di sua moglie!"

Blasco tornava sempre col pensiero alla duchessa, senza volerlo.

Il frate disse: "La duchessa infatti è molto giovane; il duca, era già vedovo e padre di una fanciulla, che adesso avrà forse dieci o dodici anni. Se la duchessa non gli darà un erede, la casa degli Albamonte si estingue con lui..."

E poco dopo, come parlando a se stesso aggiunse: "Forse."

Ma Blasco non rilevò quel "forse" misterioso; il suo cervello era altrove; seguiva delle idee strambe: seconde nozze, giovinezza della duchessa, mancanza di eredi, differenza d'età, presentazione, conquista di simpatia, probabile familiarità, vicinanza; queste idee gli si collegavano con un sottile filo di logica, moltiplicandosi in immagini e in scene, rapidamente, confusamente.

La notte non dormì, meravigliandosi dell'inquietudine che gli dava la fissità di quel pensiero della duchessa e della prossima presentazione. Si ripeteva nella mente che avrebbe veduto ' la bellissima donna, che le sarebbe stato vicino, le avrebbe parlato...

E il principino di Iraci? Subito gli apparve : l'immagine di quel bellimbusto superbo, ma sotto un altro aspetto: quello di un competitore. Gli riusciva evidente adesso che quel giovane si aggirava intorno alla duchessa come un'ape intorno a un fiore, con l'avido desiderio di suggerne il miele. Un rivale dunque. Guarda un po' il caso!...

I suoi pensieri presero un altro cammino. Il principe avrebbe mandato a sfidarlo, ora, o sarebbe andato dal capita no della città per farlo arrestare un'altra volta? Egli era un gentiluomo, in fondo! Ecco riprenderlo la storia delle sue origini, che egli aveva ignorato fino a tre giorni innanzi, e nella quale c'era ancora un punto oscuro, e di nuovo il suo cruccio per quel padre anonimo che lo aveva balestrato nel mondo.

Verso l'alba la giovinezza ebbe ragione, ed egli si addormentò profondamente e forse il suo sonno fu confortato dalle visioni più dolci e ridenti per un cuore di venticinque anni; perché, quando la mattina dopo, verso quindici ore d'Italia, il locandiere venne timidamente a svegliarlo, egli aveva l'aspetto soddisfatto di un uomo felice.

Il locandiere aveva per lui una lettera e un'ambasciata: l'ambasciata era del padre Bonaventura, che lo aspettava nel convento; la lettera era del cavaliere della Floresta, che lo pregava se non aveva altri impegni, "di fargli l'onore di favorire a pranzo da lui".

Il cavaliere della Floresta non dubitava che Blasco fosse un gentiluomo; però per uno scrupolo verso il suo ceto, era andato quella mattina dal padre Bonaventura a informarsi; ne aveva avuto assicurazioni che avevano tranquillato la sua coscienza nobile, e che lo avevano animato a invitare a pranzo quel giovane nuovo amico, verso il quale, per altro, sentiva una viva simpatia.

Si capisce che quest'invito empì di gioia Blasco, parendogli come la sua entrata ufficiale nella società aristocratica e come un riconoscimento del suo rango, più che la presentazione al duca della Motta, verso il quale doveva tenere il contegno di un povero bisognoso di aiuti e di protezione; cosa che ripugnava non poco alla sua natura.

Il padre Bonaventura l'accolse con un rimprovero: "Figliolo mio, in primis ti fai aspettare, e quel che è peggio fai aspettare il duca della Motta; in secondo luogo pare che siamo da capo col principe di Iraci!..."

Blasco arrossì, si scusò del ritardo, poi sorrise.

"È venuto forse da lei quell'imbecille?"

"Il principe di Iraci" ammonì il frate "è un gentiluomo, e nobiltà di prim'ordine, e bisogna parlarne con rispetto. Non è venuto lui, certamente: ma io ho saputo quello che avvenne ieri dopopranzo. T'ho raccomandato prudenza, figlio mio; ma non mi ascolti... e non sai quali fastidi potrai tirarti addosso..."

"Bah!" disse Blasco con un gesto di disprezzo "se lei sapesse da quali imbrogli mi sono cavato, e quante volte mi sono battuto!..."

"Ma è qui l'errore, figlio mio. Non si tratta di duelli che del resto son cose contro la legge di Dio; si tratta di ben altro: gradi, preminenze, convenienze. Il mondo è così, bisogna accettarlo e rassegnarsi. Ma andiamo, è tardi..."

"Sì, andiamo. Non le nascondo che vorrei sbrigarmi presto, perché il cavaliere della Floresta mi ha fatto l'onore d'invitarmi a pranzo..."

"Ah sì?... Ma bravo, dunque!"

Il duca della Motta li aspettava nello studio. Al loro ingresso levò il capo per salutare i due visitatori, ma non aveva il padre Bonaventura finito di dire: ""Eccellenza, eccole il mio raccomandato"" che, dato uno sguardo al giovane, non potè trattenere un grido di stupore.

"Oh! lui?..."

Si rimise tosto, mordendosi le labbra, e aggiunse rapidamente: "È lui il giovane di cui mi parlava?"

"Eccellenza sì, il quale è ben lieto e fortunato di offrirle i suoi servizi."

Blasco stava in piedi, diritto, col cappello in mano, in un atteggiamento che contrastava con le parole umili del frate. Egli guardava curiosamente quel signore magro, pallido, dalle labbra sottili, dalle mascelle angolose, dalle mani lunghe, ceree, venose, provando un senso di avversione, quasi di ripugnanza, che gli impediva di sorridere e di mostrarsi quale il frate lo avrebbe desiderato, umile cioè e servizievole.

Anche il duca lo guardava con uno stupore sempre crescente, come se una apparizione inaspettata lo avesse sospinto verso cose obliate, quasi cancellate nella memoria.

Dopo un istante di silenzio domandò al frate: "È di Castiglione, questo bel cavaliere?"

Il frate si trovò un po' imbarazzato, e rispose evasivamente: "Infatti la sua parentela è di Castiglione."

"Quanti anni avete, signore?"

"Venticinque, Eccellenza" rispose Blasco.

Don Raimondo parve riandasse nel la memoria qualche data, forse trovò qualche coincidenza, impallidì, scosse il capo e, ripresa la sua maschera impassibile e fosca, disse: "Dunque, sentiamo un po' che cosa possiamo fare per voi."

Ma qualche cosa di freddo, di glaciale era caduto fra loro. Blasco non disse una parola: adesso guardava una porta e si domandava se di là non si entrasse negli appartamenti della duchessa, e perché la duchessa non si faceva vedere. Padre Bonaventura si sentiva anche lui impacciato, ma volle rompere quella freddezza.

"Vostra Eccellenza conosce le abitudini del signor Blasco, sa che è un gentiluomo, non occorre dunque, anzi sarebbe presuntuoso suggerire all'indulgenza di vostra Eccellenza che cosa sarebbe più conveniente..."

"Ah già!... Sapete, signore, che avete avuto una bell'audacia a bastonare le guardie del capitano di città?"

Blasco fece un gesto, come per dire che quelle erano cose insignificanti, una specie di abbicci al paragone di quello di cui era capace.

"Nè dico," riprese don Raimondo con un leggero rimprovero scherzoso. "nè dico della briga con uno dei primi "titoli" del regno, che è stata una audacia non minore."

Blasco sorrise, ma parve mortificato "Dio buono!" disse "ma quel signor principe, a quanto pare, è andato raccontando dappertutto una meschina questioncella..."

"Non è lui che l'abbia raccontata" disse gravemente don Raimondo "è la città che ne è rimasta stupita, e ne parla..."

"È una cosa di cui non vale la pena discutere; se il caso mi rincresce, gli è soltanto perché accaduto sotto agli occhi, e forse con disturbo di una dama; alla quale vorrei domandare perdono."

"Ah! c'era una dama?" domandò maliziosamente don Raimondo.

"No, Eccellenza; la dama passava con la sua carrozza, nel momento che io scambiavo qualche parola vivace col principe, e credo che ciò l'abbia spaventata, e me ne duole...."

"Prode e cavalleresco, come nel buon tempo andato; bravo!" disse don Raimondo. "Così mi piace. Vedremo, quando arriverà il re, nostro signore, di ottenervi qualche grado nell'esercito. Sua maestà è un re guerriero, lo sapete; ed ama i valorosi. Intanto, venite stasera a cena. Dove alloggiate?"

"Alla locanda del Messinese..."

"Oibò! un cavaliere come voi! Non avete parenti qui?"

"No, Eccellenza..."

"Come dissi a vostra Eccellenza, egli è solo" aggiunse il frate.

"E in questo caso, se a don Blasco non parrà che io pretenda troppo, sarei lieto di offrirgli ospitalità in questo palazzo..."

A Blasco brillarono gli occhi di gioia.

"In verità, Eccellenza..."

Padre Bonaventura parve commosso di quella generosità, e disse con accento di sincera gratitudine: "Vostra Eccellenza ci confonde; io non speravo tanto, ma a questa sua generosa offerta, mi pare che si com pia il voto della sventurata sua madre... Ella pregherà in cielo per vostra Eccellenza e per la sua famiglia."

Don Raimondo pensava fra sè: "La mia casa e la mia persona saranno custodite".

Ma il pensiero non trapelò sulla maschera cortese e liberale assunta da don Raimondo e il frate e Blasco ne furono sorpresi; Blasco diceva tra sè: "Evidentemente mi sono ingannato; nonostante il suo aspetto ripugnante, è un brav'uomo".

E padre Bonaventura da parte sua diceva mentalmente: "Sia lodata la provvidenza Divina. Dio è giusto e misericordioso".

Accompagnandoli fino alla porta, don Raimondo trattenne un istante il fra te, e senza parere di avervi interesse, domandò sottovoce: "Dica, padre; non mi ha detto dove è nato il giovane...."

Padre Bonaventura lo guardò con occhio scrutatore: i due sguardi si incontrarono e parvero leggersi.

"Blasco è nato nel castello della Motta."

"Ah! e lo sa?"

"Lo saprà quando vostra Eccellenza vorrà..."

"Sta bene. Allora non dica nulla..."

"Ubbidito."

Blasco che s'era fermato a guardare i ritratti dei duchi della Motta, appesi lungo le pareti del salone, ne guardava uno di un bel giovane vestito di corazza; e lo guardava con ammirazione, compiacimento e meraviglia.

"Guardi;" disse al padre che l'aveva raggiunto "si direbbe che quel bel signore in armatura sia il mio ritratto!"

Padre Bonaventura guardò e impallidì.

Disse: "Uhm! Non mi pare... Ma andiamo; è quasi mezzogiorno, e tu sei aspettato."

"È vero."

Quando si separarono, il frate, avviandosi al convento, diceva tra sè: "Quel ritratto... sarebbe meglio per ora levarlo di lì...".

Era il ritratto di don Emanuele Albamonte, duca della Motta.