Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte prima, capitolo 13

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Donna Gabriella La Grua-Albamonte, duchessa della Motta, aveva venti anni; bruna, coi capelli nerissimi, gli occhi ancora più neri, profondi, ombreggiati da lunghe ciglia vellutate, le labbra tumidatte con gli angoli segnati da una lieve peluria di pesca; aveva nella mobilità del volto tutte le espressioni del fascino: vivacità, malizia birichina, tenerezza, languore, passione, le quali si alternavano, si confondevano, talvolta specchio fedele dei vari stati per i quali passava l'animo suo. Era piccolina, sottile, ma non magra, e, nonostante la rigidezza delle vesti, voluta dalla moda, aveva nei movimenti seduzioni feline. Pareva che il desiderio e la voluttà l'avessero plasmata, e si fossero dilettati di lasciare la loro impronta sul suo corpo, per tormento degli uomini.

A diciotto anni era uscita dal monastero per sposare don Raimondo che non aveva mai conosciuto, e che non le destò nessun sentimento, e diventò duchessa della Motta per volontà dei parenti, che vedevano tutto il vantaggio che veniva alla famiglia da quel matrimonio.

Non provando nessun sentimento per don Raimondo, non provò nessuna gioia del matrimonio. Del quale furono felici soltanto le suore, che per esso si liberarono di una educanda irrequieta, curiosa, audace, e spesso imbarazzante con le sue domande e con le sue investigazioni.

Don Raimondo non la sposò per amore: alla sua età e col suo temperamento l'amore gli si mostrava sotto le vesti di un notaio, e non aveva altra voce tranne quella delle formule sacramentali dei contratti. Donna Gabriella era figlia unica e don Raimondo aveva visto in quelle nozze un eccellente affare per unire al suo l'ingente patrimonio di donna Gabriella.

Le due nature erano del tutto diverse, anzi inconciliabili, e l'antitesi si rivelò ben presto, fin dai primi giorni di matrimonio, ma non addolorò nessuno dei due; parve anzi che entrambi fossero soddisfatti di non avere scoperto il menomo legame intimo fra i loro spiriti, come se ciò li rendesse indipendenti e liberi. D'altronde le occupazioni di don Raimondo erano tali, che egli non vedeva la moglie se non nelle ore del desinare e della cena e la notte: cosicchè donna Gabriella restava sola e padrona di sè, e non s'accorgeva d'essere maritata che solamente in queste ore.

E non erano per lei le più belle.

Passava la giornata abbigliandosi, andando a visitare le sue amiche, andando a passeggio e tenendo conversazione nella sua casa, e non tralasciando nessuno spettacolo, nessun divertimento. Quando non aveva dove recarsi, leggeva i romanzi di madamigella de Scudery, che passavano per capolavori.

Una volta la settimana andava al monastero di Montevergini a visitare la figliastra, una ragazza di dieci anni, bionda e fine, che pareva di cera, e che non le dava nessun fastidio.

Possiamo aggiungere che la sua bellezza sensuale e piena di promesse l'aveva circondata ben presto di adoratori, come una cerbiatta fra una muta di cani; ma o sdegno, o piacere di regnare su tutte quelle anime bramose, o freddezza di sentimenti, o tutte queste cose insieme, le impedirono una scelta; nessuno potè vantarsi di aver ottenuto il più lieve favore, che non fosse compatibile con la fedeltà coniugale; cosicchè si venne formando in torno a lei, pur così civettuola e avida di piacere, una fama disperante di onestà, che disanimava i più audaci.

Fra i quali, ed era anche il più insistente, il principe di Iraci, che ancora non intendeva confessarsi sconfitto, forse perché credeva che la bella dama gli usasse qualche preferenza. Ed egli la seguiva dovunque come una ombra, sommesso, sospiroso innamorato, ma pertinace e quasi puntiglioso. La sua ricchezza, l'antica nobiltà di origine normanna, la potenza avevano certo solleticato la mente di donna Gabriella, cui riusciva ardita la servitù di quell'uomo, a quella di tutti gli altri.

Se non che gli incidenti occorsi a Blasco avevano un po' diminuito agli occhi suoi la grandezza del prioritario era nell'audacia e nella sprezzosa noncuranza di quel giovane, piovuto da chi sa dove, un sapore di nuovo; o qualcosa di violento che contrastava con le preziosità molli e frivole della società di quel tempo; un'affermazione di vita fra le svenevolezze di tale finzione regolata da etichette e convenienze, che non poteva non impressionare l'animo mobilissimo ed eccepibile di donna Gabriella. Le parve un personaggio romanzesco e quando seppe che, contro ogni sua aspettazione Blasco veniva accolto e ospitato nella "torre di Montalbano", ne prese una gran gioia, come di un segreto desiderio improvvisamente appagato.

Blasco diventò il suo cavaliere, l'ignoto e povero cavaliere montanaro ebbe le dolci e ambite preferenze della bellissima dama, sopra i nobili e potenti e illustri signori che invano avevano sollecitato il favore di un sorriso particolare.

Angelica, sdegnando il fiore dei paladini, non si invaghì forse di Medoro oscuro soldato?

Quella sera, per la prima volta, essi si trovavano soli in carrozza. Soli, nonostante il frastuono di migliaia di voci e il prorompere dell'allegrezza popolare.

L'incidente del lacchè fu una parentesi che si affrettarono ad obliare, per riprendere il corso dei loro silenziosi pensieri: giacchè, salvo qualche parola vaga e frivola ed estranea al loro occulto pensiero, le loro anime parevano cercare e godere di quella solitudine interiore, così piena di dolci ed eloquenti silenzi.

Per la prima volta ancora donna Gabriella sentiva confusamente che oltre ai piaceri di quella innocente civetteria che appagava la sua vanità di donna seducente, vi erano altri sentimenti più profondi e più seri, che la conturbavano e le davano un certo smarrimento, ma la empivano di una gioia più intensa, nella quale pareva che la sua vita si accrescesse e completasse.

Spesso durante il tragitto, quando le sembrava che Blasco guardasse altrove, ella si ritraeva un po' indietro, e voltava il capo per guardarlo; e lo guardava lungamente, fissamente, sentendo invadersi gli occhi di uno strano languore, e il sangue correre in un dolce flutto, e le membra prese da un desiderio indefinibile. Ma non appena Blasco si moveva, ella arrossiva e riprendeva la sua posizione rigida e quasi indifferente. Ma una volta fu sorpresa in quella contemplazione da Blasco: i loro sguardi si incontrarono: essi trasalirono, e per la prima volta donna Gabriella abbassò gli occhi dinanzi a un uomo.

Scendendo dalla carrozza, e appoggiando la mano sul braccio di Blasco, ella tremò: non disse nulla fino alla porta principale del Duomo, ma dinanzi al magnifico portale parve presa da una sinistra paura alla vista della folla che gremiva la chiesa, e mormorò: "Torniamo in carrozza, c'è troppa gente..."

Rifecero la strada in silenzio. Sentivano che c'era fra loro qualcosa che li imbarazzava.

"Volete che aspettiamo l'uscita del re?" domandò Blasco aiutandola a montare in carrozza.

Ella esitò un istante e rispose: "No: accompagnatemi a casa. Questa folla mi soffoca."

Blasco diede l'ordine al cocchiere, aggiungendo: "Va' per la strada fuori le mura di Porta d'Ossuna..."

Donna Gabriella non udì; ma quando vide che la carrozza si avviava verso Porta Nuova, domandò vivamente: "Dove va?"

"A casa; soltanto per evitare la folla che vi dà fastidio, gli ho ordinato una strada solitaria. Avreste paura?"

"Con voi... no."

L'ombra che li avvolgeva nascose la commozione che le si diffuse sul volto a quelle parole fiorite improvvisamente sulla sua bocca.

Allora le strade non erano illuminate; qua e là, dinanzi alle edicole sacre splendeva una lampada, come un piccolo occhio aperto nell'ombra, che a malapena gettava un lieve bagliore in un piccolo cerchio. I due lacchè, procedendo di trotto con le torce a vento in mano, illuminavano il passo ai cavalli, ma la carrozza restava sepolta nell'ombra.

Blasco vide in quell'ombra scintillare gli occhi di donna Gabriella. Che vi lesse? o che gli sembrò di leggere?

La sua mano, tastando sul sedile, trovò quella di donna Gabriella, e le si posò sopra timidamente: sentì che quella era gelida e tremante: "Dio!" mormorò "come siete fredda... perché?"

Ella non rispose. Blasco prese nella sua quella piccola mano gelata, stringendola dolcemente, e la sentì a un tratto infiammarsi, sentì che anche quelle tenere dita rispondevano con una timida stretta. Ebbe una vertigine.

"E sogno? E illusione?" mormorò.

Gli rispose un sospiro.

Egli trasse a sè la mano, premendola contro il suo petto, e sentì che la spalla di donna Gabriella si appoggiava alla sua. Allora sollevò la mano fino alla sua bocca e la baciò appassionatamente. Udì come un gemito sommesso, e sentì il capo di donna Gabriella piegarsi e abbandonarsi sopra la spalla.

Le sue labbra cercarono le labbra di lei, le trovarono tiepide, frementi, in un risveglio improvviso di sensi e di desideri...

Dal Duomo le campane squillavano e popolavano l'aria notturna di ritmi: pareva che celebrassero lo schiudersi di quel cuore, rimasto ancora vergine e vuoto, all'amore trionfante. Ella amava per la prima volta, e ardente e trepidante suggeva con le labbra la prima gioia.

Due idilli così, nella stessa notte, quasi alla stessa ora si svolgevano fra quei personaggi, che un fugace incidente aveva posto di fronte: e su l'uno e su l'altro l'amore agitava due fiaccole diverse.