Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte prima, capitolo 15

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Per tutta la mattina Blasco aveva evitato d'incontrarsi con donna Gabriella. Rientrando nella sua camera col cuore gonfio di gioia, dopo quel primo bacio rivelatore di una passione, che erompeva improvvisamente per sua propria virtù, si era buttato sul letto, abbandonandosi ai più dolci fantasmi, e costruendo i più pazzi e avventurosi disegni. Si era addormentato tra quei vaneggiamenti, che gli avevano empito i sogni di letizia.

Ma all'alba, svegliatosi, cominciò a fare i conti del giorno precedente, e a ripensare alla sua avventura. Interrogando se stesso, sentiva di amare profondamente donna Gabriella, di amarla con tutte le forze del suo cuore; e gli sembrava di averla amata da lungo tempo, di essere sempre vissuto di quell'amore, trovando quasi naturalissimo quel bacio appassionato che l'ombra della carrozza aveva circondato di mistero e di gioia. Che avrebbe fatto quella mattina? Che cosa si sarebbero detto, rivedendosi? Come si sarebbero riveduti? Quando? Questi pensieri lo ricondussero a considerare la sua posizione in quella casa, e a poco a poco gli empirono l'animo di un certo turbamento, e quasi di rimorso.

Donna Gabriella era moglie di un altro; e quest'altro era - tale appariva agli occhi di lui - un uomo generoso che lo aveva accolto in casa sua come un figlio, lo beneficava, gli prometteva protezione, lo lanciava nel mondo, gli affidava la sua casa, il suo onore... Ebbene, egli vagheggiava di violare quella ospitalità, tradire quella fiducia, vilipendere quell'onore, ricambiare la generosità e il beneficio con una perfidia.

Tutto ciò gli parve così spregevole, così disonorevole, che ebbe disgusto e orrore di ciò che pure lo aveva colmato di felicità. Sentì nell'intimo della sua coscienza onesta, che egli non avrebbe potuto bere tutta la coppa della felicità senza commettere un delitto; e per quanto gli esempi di una società senza scrupoli in materia d'amore, gli suggerissero cinicamente scuse e pretesti, e l'incoraggiassero, pure egli si ribellava all'idea di commettere un'infamia. Se non avesse avuto alcun rapporto con don Raimondo, se non fosse stato suo ospite, oh! allora gli avrebbe rapito donna Gabriella, senza neppure pensarci; e non gli sarebbe parsa una cattiva azione, anzi il pericolo che egli avrebbe corso, sarebbe stato il condimento più saporito della sua avventura d'amore. Ma in quelle condizioni egli non vedeva dinanzi a sè che una vita di infingimenti e di sotterfugi, di ipocrisia e di falsità, che erano ciò che più ripugnava alla sua indole aperta e alla sua lealtà. Egli aveva fino a quel giorno mantenuto illibata l'anima sua da ogni infamia; avrebbe ora macchiato il candore della sua insegna?

Ne arrossiva di vergogna al solo pensarlo. Ma intanto amava: e sulle sue labbra sentiva ancora il tepore e la fragranza di quelle labbra che gli avevano dischiuso il cielo delle gioie divine. Sentiva l'immagine di donna Gabriella fitta nel suo cervello, penetrata dentro il suo cuore, divenuta una col sangue; sentiva la sua vita legata, anzi fusa con quella donna adorata, e un dolore vivo e acuto cominciò a pungerlo; per la prima volta sentì l'anima sua dibattersi fra opposti sentimenti; vide sè contro sè; vide le sue mani spingersi a lacerare il roseo velo che pure s'erano affrettate a raccogliere; quel velo gli si era avvolto intorno agli occhi.

Che fare? Quale via seguire?

Capiva che ormai non gli restava che fare un passo per cogliere la rosa e che ciò sarebbe stato inevitabile e fatale; e non c'era che un modo solo di evitarlo: abbandonare quella casa. Abbandonarla? E come sarebbe vissuto lontano da donna Gabriella? Come del resto avrebbe giustificato il suo allontanamento?

Indugiò, alla solita ora, a recarsi a salutare donna Gabriella, e avrebbe voluto evitarla per tutto il giorno, fingendosi ammalato; ma e poi? Bisognava prendere una risoluzione e affrontarla coraggiosamente. Per un attimo gli balenò il pensiero di confessarsi col padre Bonaventura, ma subito lo scacciò, non sembrandogli corretto fare il nome di una dama, in una materia così delicata e compromettente.

Egli stava in questa perplessità, passeggiando per la camera e guardando ora sì ora no fuori della finestra, quando un lacchè venne a chiamarlo.

"Sua Eccellenza la signora duchessa ha domandato se il signor cavaliere è in casa."

"Ditele che mi affretterò a venire a prendere i suoi ordini."

Donna Gabriella aveva finito allora di abbigliarsi e gettava un ultimo sguardo sullo specchio; pareva un po' nervosa e impaziente, e le cameriere ne avevano avuto qualche saggio. Ella aveva supposto che Blasco avrebbe cercato quella mattina di vederla più presto, e lo aveva aspettato con non minor desiderio di quello che immaginava nel giovane. Dopo quel bacio, la febbre dei desideri le aveva acceso il sangue; i suoi sensi assopiti, destati dal soffio dell'amore, fremevano nella immaginazione e nell'aspettazione di altre gioie, alle quali ora tendeva la sua vita con tutti gli impeti dei suoi vent'anni. Perché non veniva Blasco? Perché indugiava? Come poteva resistere e frenare i desideri? Quel giorno aveva avuto maggior cura del suo abbigliamento, guidata da quel segreto istinto di graziosa civetteria, che suggerisce alla donna la scelta dei colori e delle forme più adatti a far risaltare le beltà naturali e a correggere i lievi difetti; e veramente era meravigliosamente bella e la sua bellezza acquistava un nuovo fascino per quel dolce pallore che le si diffondeva sul volto ombrato dalle lunghe ciglia nere, e dalle azzurre sfumature delle orbite.

Entrando, Blasco fu costretto a fermarsi per guardarla, estatico e commosso. Era tanto bella! e tuttavia egli era risoluto ad allontanarsene.

Donna Gabriella stavasene sdraiata in dolce abbandono, sopra uno di quei piccoli sofà, dei quali Luigi XIV aveva introdotto la moda. Il movimento del piccolo piede irrequieto tradiva l'impazienza dell'attesa; ma all'apparire del giovane il piedino si fermò, come nebbia allo spuntare del sole. Gli stese la mano, col gesto consueto, ma tremando, e con gli occhi umidi e sorridenti.

Blasco la prese teneramente e la baciò; ma il suo bacio non era insapore come quelli convenzionali, e le diede un brivido.

Si sentivano imbarazzati, e non trovavano la via di incominciare, e tuttavia le parole gorgogliavano nel loro cuore, ed essi sapevano quello che avrebbero voluto dirsi. Blasco non aveva cuore di manifestare i suoi propositi: dinanzi a donna Gabriella si sentiva avviluppato da una rete di fascinazioni, che gli spegnevano la fredda volontà: la passione lo pervadeva.

"Vi ho aspettato" disse arrossendo donna Gabriella.

Blasco si riscosse, fece uno sforzo sopra di sè, e con voce tremante da prima e più ferma a mano a mano che parlava, rispose: "Se avessi ascoltato la voce del desiderio, vi avrei chiesto la grazia di dormire anche dietro l'uscio della vostra camera, per udire, se non altro, il vostro respiro, ma..."

"Ebbene?..."

"Non so, Gabriella, come incominciare... Vi amo dal primo giorno che vi incontrai, senza sapere chi foste... E come una cosa santa, intangibile... alla quale non ci si deve accostare che con le mani pure..."

Ella sorrideva a quelle parole, che avevano suono dolce e carezzevole di baci; il suo cuore si gonfiava di gioia.

Nessuno le aveva mai parlato a quel modo.

Egli continuò: "Ora mi parrebbe di essere spregevole agli occhi vostri e agli occhi miei, se io contaminassi questo mio amore, con una condotta perfida e doppia... Io sento che non potrei vivere un'ora di più sotto questo tetto, nè sedere alla vostra tavola, dinanzi all'uomo che ha da Dio diritto sopra di voi, senza arrossire..."

Donna Gabriella impallidì, parendole di indovinare; un vivo sgomento le invase l'anima, domandò vivamente: "Che intendete dire?"

Blasco, non meno pallido, e con l'intima angoscia visibile, rispose: "Dico, Gabriella, che io debbo amarvi, perché non posso non amarvi, da lontano..."

"Volete partire?"

"E necessario..."

"Lasciarmi?..."

"È un dovere... Volete che il duca abbia diritto di chiamarmi traditore?..."

Ella chinò il capo dolorosamente. Quella idea non le era ancora balenata nel cervello. Abbandonandosi al l'amore vittorioso, qualunque altro sentimento che non fosse il suo amore, pareva abolito nella sua coscienza. Ora quelle parole la richiamavano alla realtà: ella non era libera; un giogo pesante le gravava sul collo e non poteva liberarsene.

I sogni fioriti per la virtù del suo primo bacio d'amore, si dileguarono all'apparire di quella maschera fredda e odiosa: la vita che le si era dischiusa ora per la prima volta, col suo divino fascino, si oscurava improvvisamente. Ella non vide che ombre e tristezze dintorno a sè. Singhiozzò e celò il bel volto fra le mani.

Il silenzio di quell'istante aveva qualche cosa di tragico.

Blasco combatteva dentro di sè una terribile battaglia, quasi vinto da quel singhiozzo e da quell'irrompere di dolore significativo.

"Gabriella!..." mormorò con irreprensibile accento, nel quale si fondevano insieme l'amore, la tenerezza, l'angoscia.

Ella fece un gesto disperato.

"Andate!..." disse con un filo di voce; "avete ragione... Andate!..."

E improvvisamente, come rispondendo a un pensiero, proruppe: "Ma perché... perché... allora!..."

Si alzò con un impeto selvaggio che rendeva più bello il suo volto sfolgorante, e preso per le mani Blasco, gli disse con veemenza: "Ah!... volete partire? Volete allontanarvi?... Ebbene anch'io me ne andrò... anch'io fuggirò da questa casa odiosa... Colpevole? Hai paura di apparire colpevole agli occhi di un uomo che non amo, che non ho amato mai, che ha imprigionato il mio cuore, la mia volontà, il mio avvenire? Ma colpevole già lo sei, lo sono anch'io... Da ieri notte siamo colpevoli, e stretti dalla medesima colpa... Ed io lo sarò sempre... Vuoi andartene? Ma anch'io voglio andarmene... qui non potrò più vivere... Oh, Dio! Eccolo, dopo avermi dischiuso il paradiso, dopo avermi rivelato che oltre questa vita fredda, monotona, bugiarda, v'è una vita vera, egli mi ricaccia indietro, nell'inferno!"

Blasco la supplicava: "Gabriella! Gabriella!" Quelle parole gli cadevano nel profondo dell'anima come stille di fuoco. "Non dite così!... non dite così, ve ne supplico..."

Ma ella continuava, convulsa, con gli occhi umidi di lacrime, il petto ansante.

"Io ho vent'anni... e non avevo ancora amato nessuno; avevo creduto che l'amore consistesse nel matrimonio o in quelle sciocche frasi che ho sempre udito ripetere; ma qui, qui dentro non avevo provato mai nulla... Ora sì, ora so che cosa è amore; lo so da ieri... lo so da questo dolore tremendo che mi dai; lo so da te, mio primo e solo e perfido amore!... lo so dagli spasimi, dai sogni, dalla disperazione. Oh, quale orribile risveglio!... quale orribile risveglio!..."

Si era lasciata cadere sopra il sofà, in uno scoppio di singhiozzi. Blasco si sentiva morire; le si inginocchiò dinanzi, le prese le belle mani fredde e convulse, baciandole teneramente.

"Gabriella! Gabriella... non mi straziate così!... Anch'io vi amo, come non ho mai amato... Se non vi amassi con tutta l'anima mia, se non vi adorassi, non m'imporrei un sacrificio superiore alle mie forze... Non a voi sola ho dischiuso le porte della felicità... le ho dischiuse anche a me... Io sento che lasciarvi, per me è morire! Siate forte... anche per me!..."

Senza avvedersene le cinse la vita con un braccio, traendola a sè, come per infonderle con le sue parole quella forza che a lui veniva mancando, e i loro volti erano vicini, quasi si sfioravano; se ne sentiva il tepore. Donna Gabriella lo guardò con gli occhi pieni di lacrime, lungamente, intensamente, con una passione angosciosa, poi, a un tratto, gli prese il volto fra le mani e con ardore disperato lo baciò in bocca. Egli si smarrì, gemette: "Gabriella! Gabriella!..."

Ma non si staccò, non si alzò; le sue braccia strinsero a sè con impeto quel corpo che vibrava di passione e di dolore, e le sue labbra si abbandonarono al desiderio.

Ella mormorò, quasi trionfando: "Lasciami, adesso... perché non mi lasci?..."

Ma egli non rispondeva: non poteva lasciarla. Il suo eroismo si era arrestato sgomento dinanzi a quelle lacrime, aveva vacillato al primo bacio; infine, era fuggito, inseguito, disperso dalla passione vittoriosa.

"Oh, Gabriella," disse "come potrò mai vivere lontano da voi?" Ella lo inondò delle sue più dolci parole. Perché voleva allontanarsi? Non vedeva dunque che il destino li aveva condotti nelle braccia l'uno dell'altra? Che qualche cosa, più forte di loro, sopra di loro, li guidava? Che era vano opporsi? Egli scuoteva il capo, ostinandosi a parole, ma riconoscendo in cuor suo che donna Gabriella diceva il vero. Certo, l'avrebbe amata sempre, con tutte le forze, ma gli ripugnava di convivere sotto quel medesimo tetto, ospite di quell'uomo che non poteva amare. Voleva essere libero.

"Sento che qui non potrei amarvi come voglio amarvi; qui sarei costretto a una vita di infingimenti, ed anche voi, Gabriella, anche voi dovreste celare, mascherare... No, no; ciò mi parrebbe una profanazione. Lasciatemi riprendere la mia indipendenza perché possa amarvi liberamente, apertamente, con tutto il fervore!..."

Ah, se fra lui e il duca non vi fossero stati quei rapporti!

Egli uscì quasi ubriaco dalle stanze di donna Gabriella, felice, ma triste; la sera a cena espresse il suo desiderio di entrare nelle guardie del re: gli premeva ora, più che mai, di avere uno stato e di vivere del suo.

Don Raimondo ebbe paura d'allontanarlo; il giorno dopo gli disse che il re aveva manifestato l'idea di istituire due reggimenti di fanti siciliani, e una compagnia di guardie del corpo, scelte fra i gentiluomini dell'isola; ma che si riservava di provvedervi dopo la sua coronazione. Bisognava aspettare. Ma Blasco comprese che sarebbe ancora passato del tempo: la coronazione era fissata per il 24 dicembre, vigilia di Natale, e le nuove milizie, per conseguenza, non si sarebbero istituite prima del nuovo anno.

Prese una risoluzione eroica. Andò a trovare don Raimondo nel suo studio, e gli disse fermamente che, pur essendogli grato del benefizio, egli non poteva nè doveva abusarne più oltre, e che ritornava alla sua locanda, pronto sempre, in ogni occorrenza, a servire il suo nobile e generoso protettore.

Fu un colpo per il duca, e il dolore espresso dal suo volto quella volta fu sincero.

"V'è mancato nulla? Siete scontento della servitù?" gli domandò; "desiderate qualche cosa? Dite: la vostra risoluzione mi fa dubitare..."

"No, signor duca; non posso dolermi di nessuno; tutt'altro. Sono scontento solo di me. Io non mi approvo; e quando non mi approvo io, Eccellenza, nessuno potrà persuadermi del contrario. Questa vita d'ozio non è per me. Ho bisogno di agire, di fare qualche cosa, e fino a che non entrerò nelle guardie, voglio, devo fare qualche altra cosa..."

Don Raimondo non rispose subito: parve riflettere, e dopo un istante disse: "È giusto: voi pensate da vero gentiluomo... Non vi trattengo, perché sarebbe un violare i vostri sentimenti... Ma voi mi abbandonate in un momento in cui ho bisogno di amici affezionati e fedeli..."

"Non l'abbandono, Eccellenza; rinuncio soltanto alla sua ospitalità: ma sarò sempre, gliel'ho detto, un amico e un servitore devoto..."

"Dei pericoli oscuri" continuò don Raimondo "minacciano la mia casa, la mia vita, forse la vita della duchessa."

Blasco trasalì.

"Oh, signore," disse con accento di profonda dedizione "ditemi dove sono, ed io sarò felice di offrire la mia vita per liberarvene..."

"Lo ignoro! Il nemico è misterioso e terribile, e nessuno ha potuto mai scoprirlo..."

Tacque: il suo volto aveva ripreso la fredda maschera pallida e impenetrabile.

"Ma io vi trattengo" aggiunse "abuso troppo di voi..."

Blasco non intese; domandava dentro di sè chi poteva attentare alla vita della duchessa e perché. Dov'erano questi occulti nemici, dei quali era circondato e temeva i colpi? Avrebbe egli disertato un posto di combattimento sul punto, forse, di ingaggiare battaglia? Avrebbe lasciato donna Gabriella indifesa? Quell'uomo potente per grado, per aderenza, non aveva dunque armi per combattere questo nemico occulto e misterioso? E le sue parole avevano il significato di una invocazione di soccorso? Quella potenza si sentiva così debole da invocare protezione? Il nobile duca, al quale non sarebbero mancati servi e bravacci, ricorreva a lui? Ecco dunque l'occasione per pagare il suo debito.

"Eccellenza" gli disse; "io ho posto la mia vita a suo servizio; aspetterò i suoi ordini prima di mettere in atto la mia risoluzione: intanto poichè non sono ancora guardia del corpo di sua Maestà mi nomino da me stesso guardia del corpo della sua casa."

E fattagli una riverenza, se ne uscì.

Don Raimondo dietro a lui sorrise finemente, e non sapeva quello che gli costava quel sorriso.