Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte seconda, capitolo 7

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"Dunque, raccontate, Lo Vecchio;" disse il duca, quando furono entrati nello studio, e sicuri di essere soli.

Il birro, fatto un inchino, incominciò: "Come dissi a vostra Eccellenza, sono stati strozzati in prigione un'ora fa, e credo che in questo momento li tirino sulla forca ai Quattro Canti, per esporli... Non s'aspettavano che sarebbe stato così presto. Stamattina avevano avuto la corda, ma "tennero: erano uomini "di pancia" - come essi dicono. A diciotto ore portai l'ordine e la sentenza fu bella e data. Avvisai il boia.

Il carceriere dice: "Bisogna andare a chiamare il cappellano, non si possono far morire come bestie."

"Giustissimo!" dico.

Si manda un ragazzo, ma il cappellano era a letto con la febbre. Allora mi balza un'idea magnifica. Se li confessassi io? Quello che non hanno detto sotto il tormento della corda, lo diranno sotto il segreto della confessione. Dico la verità, che, per quanto l'idea fosse magnifica, non mi risolvetti subito, perché pensai che quei disgraziati sarebbero morti senza sacramento; ma poi riflettei che con la confessione o senza la confessione erano già destinati all'inferno e che avrei saputo cose di gran rilievo per la salute e la tranquillità del regno.

Se commetto peccato, sua Eminenza mi assolverà in grazia del servizio che potrò rendere.

Allora dissi: "Non vi date pensiero. Vi manderò un prete, mio com pare, che è cappellano degli agonizzanti. Li aiuterà a morir bene."

Me ne andai di fretta e ritornai in sedia volante, travestito da prete. Posso assicurare vostra Eccellenza, che se mi fossi visto in uno specchio, sarei andato incontro a me stesso per baciarmi la mano. Ero più prete di un prete. Il carceriere mi condusse nella cappella dove avevano trasportato i condannati. Cominciai col confessare l'oste lo Zi' Rosario il "Masticoso". Era un osso duro, Eccellenza. Gli minacciai tutte le pene dell'inferno se non avesse rivelato.

Mi rispondeva: "Padre, io debbo accusarmi dei miei unici peccati, non di quelli degli altri."

"Ma siete Beato Paolo?"

"Se dicessi no, direi una bugia."

"E che cosa fanno questi Beati Paoli?"

"Non lo posso dire..."

"Ve ne andrete all'inferno."

"Il signore avrà misericordia di me..."

"Dite la verità: pensate che dovete comparire davanti a Dio e dare conto di tutta la vostra vita: e Dio sa tutto, ed è inutile nascondere..."

Sa che cosa mi rispose quel briccone?

"Se sa tutto, che bisogno c'è che lo dica?"

Non ci fu verso. Sfoderai tutta la mia eloquenza, ma invano, si chiuse in un mutismo da fare disperare. Convenne solo che aveva ospitato in casa due persone. Vostra Eccellenza sa chi sono... che la persona che gliele aveva affidate aveva ragione di odio contro un alto personaggio; che quelle due persone sapevano gravi cose contro vostra Eccellenza..."

Don Raimondo sussultò dentro, ma ebbe abbastanza forza per dominarsi e poichè Matteo Lo Vecchio s'era fermato, gli disse sorridendo:

"Continuate. La cosa comincia a essere interessante."

"Più di questo non disse. Si confessò pentito, domandò perdono dei suoi traviamenti e non mi restò che fargli un crocione, sperando di ottenere di più col sagrestano. E non sperai invano. La paura della morte aveva incarognito il sagrestano. Quello che egli sapeva me lo confessò e sono persuaso che egli disse tutto quello che sapeva..."

"E che cosa disse?" domandò il duca della Motta.

"Mi confermò che don Girolamo Ammirata è uno dei capi della setta, e che i Beati Paoli sono stati da lui mossi contro vostra Eccellenza, non si sa per quale fine. Disse che hanno istruito un processo, un vero processo contro vostra Eccellenza, con le testimonianze di quel tale Andrea e di Peppa la Sarda, alle quali dovevano aggiungere quelle più gravi di Giuseppico. Tra don Girolamo e Andrea avevano ordito tutta una storia inverosimile contro la responsabilità di vostra Eccellenza: l'accusavano..."

Il birro si fermò irresoluto.

"Dite, dite pure senza soggezione" disse il duca con uno sforzo per non tradire la sua commozione, ma non potendo celare il suo pallore.

"Ecco: secondo la confessione del sagrestano, vostra Eccellenza sarebbe reo di assassini e di usurpazioni... a danno del legittimo figlio della buona memoria di don Emanuele suo fratello e i Beati Paoli s'erano messi in moto per fare giustizia a modo loro."

Don Raimondo era cadaverico, pure si sforzò a ridere.

"Oh, i miserabili!" disse.

Matteo Lo Vecchio riprese: "Esortai il sagrestano a dirmi ogni cosa per la salute dell'anima: "Più larga e diffusa sarà la confessione, e più merito ne avrai presso Dio!...". Ma non c'era bisogno di tante esortazioni. Il briccone aveva preso l'aire nelle rivelazioni, e non si fermò. Incalzai per sapere quale interesse avesse don Girolamo Ammirata, se era una vendetta e per quali supposte offese, ma non me lo seppe dire. "È don Girolamo il capo?" "No". "E chi è il capo?" "Non lo conosciamo". "Come non lo conoscete?" "È così: noi lo vediamo sempre mascherato e solo quando c'è giudizio solenne; e allora tutti siamo mascherati e non ci riconosciamo più. Del resto ognuno di noi non conosce più di quattro o cinque compagni coi quali è in continuo contatto. Don Girolamo conosce tutti". "E siete molti?" "Moltissimi: a centinaia!" "E dove vi adunate?" "Dappertutto" "Nella sagrestia di S. Matteo?" "Anche". "E nella bottega di Zi' Rosario?". "Qualche volta, in tre o quattro". "E dov'è don Girolamo Ammirata?" "A santo Ciro, con Andrea".

"Eh!" esclamò don Raimondo, spaventato; "è dunque vivo?"

"Eccellenza, sì. Quel briccone deve avere sette spiriti come i gatti. È una cosa straordinaria... Domandai se don Girolamo sapeva che erano arrestati e mi rispose di sì; se erano in rapporti con lui, e mi confermò anche questo. Ritornai a chiedere dove più propriamente avesse sede il Tribunale, ma disse di non saperlo. "Come non lo sai?" "Io sono novizio. I novizi non entrano nel Tribunale che bendati. Ci bendano dietro la chiesa dei "Canceddi" a San Cosmo. Uno dei compagni "professi" ci guida". "A che ora vi adunate?" "A mezzanotte". "Avete dei segni convenzionali per riconoscervi?" "Sì". "E parole d'ordine?" "Anche". Me le ha confessate. Lo assolsi con tutto il cuore, perché il poveretto mi pareva pentito e addolorato. Dopo mezz'ora entrò il boia con gli aiutanti e li impiccò alla forca del cortile.

Adesso noi siamo in possesso di parecchie notizie preziose: solo che si agisca con prudenza e avremo nelle mani in primo luogo don Girolamo e Andrea, e poi anche quel misterioso capo che nessuno conosce..."

Don Raimondo era rimasto soprappensiero a tutte quelle rivelazioni, ma più di tutto al sapere vivo Andrea che egli riteneva il suo peggiore nemico, e al sapere che Matteo Lo Vecchio ormai conosceva il suo segreto. Capiva che il birro non gli aveva rivelato tutta quanta la confessione del sagrestano e che, o per riserbo o per calcolo, aveva taciuto i punti più scabrosi e compromettenti. Egli era nelle mani del birro, che non era soltanto un uomo prezioso, ora, ma anche un uomo temibile, che bisognava tenere amico e fedele e compromettere, occorrendo, per impedirgli di nuocere o di approfittare. Era un furbo matricolato.

Si mostrò soddisfatto dell'opera del birro, lo lodò, gli empì il cappello di scudi.

"Voi siete un uomo d'oro e sua Maestà deve esservi grato del vostro zelo. Meritate un ufficio maggiore di quello che avete e di essere adoperato in cose di più grande importanza: ne parlerò io al re! Bravo! Procurate di avere nelle mani quell'Ammirata, perché sarebbe uno scorno per noi e per la giustizia e un pericolo per il regno, se ci sfuggisse ancora. Vi procurerò un ordine in bianco."

Matteo Lo Vecchio uscì dal palazzo fregandosi le mani, soddisfatto di sè. Era sicuro di tenere in potere suo il duca della Motta, e dei pensieri ambiziosi gli frullavano per il cervello, che lo spronavano ad andare fino in fondo.

L'impresa rispondeva alle attitudini del suo spirito, giacchè egli aveva la passione del suo mestiere e ciò che era venuto scoprendo bastava per innamorarlo dell'opera sua.

Giunto al crocicchio del Capo si fermò un po' irresoluto: certo, per arrivare più presto a casa gli conveniva scendere giù per S. Cosmo. Ma era la mezzanotte passata e, sebbene una gran voglia di spiare gli suggeriva di imboccare quella strada, la prudenza lo avvertiva invece che non sarebbe stato senza suo pericolo. La mezzanotte era già trascorsa, e in quelle contrade avrebbe potuto fare qualche incontro poco piacevole.

Tirò via dunque per Sant'Agostino: il giro era lungo, ma le strade più agevoli e sicure.

La luna splendeva nel cielo terso come una coppa di argento e illuminava le strade silenziose e deserte. Solo dei cani randagi, brontolando, indugiavano fra le spazzature ammonticchiate qua e là.

Per la strada andava almanaccando.

"Quello che rimane un mistero è il perché don Girolamo Ammirata ha ordito questa rete per acchiapparvi il duca. Per denari? E non c'era bisogno di tirare le cose così a lungo. Bastava fargli sapere di possedere quel segreto, per venderglielo a caro prezzo... (faceva, così dicendo, risonare gli scudi di cui aveva riempite le tasche)... E senza pericolo... E poi a quanto pare il razionale non mirava che a denunziare il duca. Denunziarlo? Perché? A profitto di chi? Ci ha da essere dunque qualcuno. Dove?"

Si rifaceva questa domanda cento volte, stringendo gli occhi e corrugando la fronte, come per sforzare il suo cervello a penetrare in quel buio. Forse non poteva venirne a capo che penetrando nella casa di don Girolamo e sorprendendone la vita intima: lì avrebbe trovato il bandolo della matassa. Come penetrarvi? Occorreva studiarne le abitudini, guadagnarsi la fiducia della famiglia... C'era quel ragazzo... Già. Un ragazzo manesco e troppo vivace: non c'era da fidarsene. Ah! per bacco! Come non ci aveva pensato prima? E quella fanciulla, quella smorfiosa, la figlia del pittore? E il pittore, che era un mezzo imbecille? Con la sua chiaroveggenza di poliziotto acuto e perspicace, cominciò a fissare nel suo cervello tutto un piano, studiando, criticando e correggendo le parti, mentalmente, mentre andava di passo svelto, battendo la mazza sul lastricato, che risonava nella notte.

Giunse ai Quattro Canti.

La luna incombeva sulla bella piazza, nella quale le fontane mormoravano dolcemente dalle quattro bocche metalliche. Tutto appariva distinto nella dolce luce cerulea: le statue delle stagioni coi loro simboli, i re dentro le nicchie, fermi nel loro gesto imperioso, le sante vergini, cui la bianchezza del marmo nel languore lunare dava una vaporosità celestiale; e più su le quattro aquile, con le ali aperte, come se volessero spiccare il volo.

Matteo Lo Vecchio udì un fischio e poi un frettoloso disperdersi di passi, come di gente che fugge.

Disse fra sè: "Saranno delle "cassariote". Che troie!".

Ma quando fu in mezzo alla piazza e guardò intorno, rimase stupito e a bocca aperta dinanzi alla forca. Le corde pendevano disciolte; una scala era appoggiata all'asse, ma i cadaveri erano spariti.

"Che significa ciò?"

Sotto l'ombra della fontana gli sembrò di vedere qualche cosa, come un viluppo di cenci. Si avvicinò e si chinò. Con stupore sempre crescente si accorse che era il cadavere del sagrestano di S. Matteo, coperto di un mantello.

Si rialzò e guardò la scala, poi guardò ancora una volta intorno a sè, e di nuovo si chinò, tolse il mantello, e cominciò ad osservarlo attentamente non senza provare un senso di misterioso sgomento.

A un tratto gettò un grido di terrore: delle mani lo strinsero vigorosamente per le braccia e un fazzoletto gli turò la bocca. Egli si vide circondato da otto uomini, vestiti col sacco nero come Disciplinati, col volto coperto dalla maschera, armati di pugnale.

Una voce minacciosa gli disse: "Se fai un gesto, se tenti di gridare, sei un uomo morto. Disarmatelo!"

Due di quegli uomini gli tolsero la spada e le pistole.

La stessa voce disse: "È Matteo Lo Vecchio, il birro..."

"Impicchiamolo!" suggerì un'altra voce. Un mormorio di approvazione accolse la proposta, ma la voce che aveva parlato per la prima rispose:

"No. Non è la sua ora... Trasportate via il morto."

Otto braccia sollevarono in un attimo il cadavere, ravvolgendolo nel manto: il triste corteo attraversò rapidamente la piazza, sparve nel Largo dei Musici.

Matteo Lo Vecchio lo seguì con l'occhio e scorse, dietro l'angolo del palazzo, la testa di un cavallo. Poco dopo, il cavallo si mosse: Matteo vide uscire un carro, meravigliandosi che non facesse rumore.

Il cavallo era sferrato e le ruote fasciate di paglia. Due di quegli uomini balzarono sul carro, che attraversò i Quattro Canti e voltò per la Strada Nuova verso S. Antonino: gli altri due ritornarono alla forca dinanzi alla quale aspettava il resto della strana e misteriosa compagnia.

Matteo Lo Vecchio sudava freddo. Non v'era nessun dubbio che era caduto in mano dei Beati Paoli, per evitare i quali aveva fatto quel lungo giro; e s'aspettava ora, da un momento all'altro, di essere ammazzato.

Colui che pareva il capo della compagnia ordinò: "Spogliatelo!"

Il birro tentò difendersi, e, più che la vita, difendere l'argento che gli gonfiava le tasche, ma le punte dei pugnali gli balenavano sinistramente dinanzi agli occhi: gridare non poteva perché imbavagliato: fuggire, neppure, perché non soltanto era circondato, ma anche perché, con fazzoletti e sciarpe, gli legavano ora le gambe. Si vide strappare la veste e la sottoveste. Gli scudi tinnirono.

"Ah! ah! Il birro ha certamente scorticato qualcuno!..."

"Levategli quel denaro..."

"Sarà sangue di poveri."

"Diamolo ai poveri..."

Matteo Lo Vecchio era rimasto in brache e camicia, livido, tremante, con gli occhi spalancati, agitato dalla paura, dal dispetto, dall'avarizia.

"Bello mio, su queste forche chi sa quanti ne avrai spediti con le tue "infamità". Vogliamo farti provare come ci si stia lassù. Soltanto ti prolungheremo questo piacere in modo da fartelo ricordare per tutta la vita."

Matteo sbuffava, si dimenava con gli occhi stralunati, tremando, gorgogliando sotto il fazzoletto che lo imbavagliava, spasimando.

Calarono giù le corde che avevano sostenuto gli impiccati; con una legarono per le mani e per i piedi il birro, gli passarono l'altra da uno dei capi intorno al petto, sotto le ascelle; l'altro capo portarono, su per la scala, lo infilarono nella carrucola fissata alla trave orizzontale.

Quando ogni cosa fu pronta: "Issa!" gridò il capo.

Matteo si vide a un tratto vertiginosamente tirato in su, sospeso nel vuoto, sbattuto fra i due assi verticali dal tiraggio stesso e dall'istintivo muovere delle gambe che, sentendosi mancare il terreno, cercavano nello spazio un punto d'appoggio.

Lo tirarono su fin quasi a fargli toccare col capo la carrucola e allora fissarono la corda ai piedi della forca ed egli rimase sospeso nel vuoto, girando intorno a sè, ora da destra ora da sinistra.

"Buona notte, Matteo Lo Vecchio!

Con quel grido ironico gli uomini mascherati se ne andarono per la Strada Nuova, portando via la scala, sghignazzando e voltandosi di tratto in tratto. Poi i loro passi si spensero: il silenzio si distese sulle strade. Sulla forca, lugubre frutto pendulo, rimase quel corpo vivo, con gli occhi sbarrati, ruggendo cupamente sotto il bavaglio, e aspettando invano un soccorso.

Non vide che qualche cane aggirarsi fiutando intorno alla forca e, come per un supremo dileggio, alzare l'anca.