Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte seconda, capitolo 10

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In anticamera un lacchè disse a Blasco che il signor cavaliere della Floresta era dovuto andare a casa perché si era sentito improvvisamente male, e per non disturbarlo era partito senza dirgli nulla. Blasco si gettò la cappa sulle spalle e uscì. Mezzanotte era suonata; lungo la strada di Lungarini, nella prossima piazzetta dalla Correria (ora di Cattolica), era una interminabile fila di portantine e di carrozze, accanto alle quali passeggiavano o sonnecchiavano staffieri e volanti. Qualche torcia accesa e infissa a un muro spandeva tanta luce, quanto bastava per non urtarsi e per non inciampare. Blasco non aveva chi l'aspettasse; non aveva neppure carrozza, nè lettiga, nè portantina nè servi con la torcia o col lanternino, per illuminargli la strada. Percorse tutta la fila di questi equipaggi e s'avviò tutto solo verso S. Anna. Era una bella notte di luna: da una parte le case erano dolcemente illuminate e la strada, spaziosa, ombreggiata per metà. Egli attraversò la piazza, oltrepassò la chiesa pensando a quel singolare melodramma, col quale il poeta pareva avesse adombrato la piccola commedia svoltasi fra lui, la duchessa e il principe di Iraci. La facciata della chiesa di S. Anna era immersa nell'ombra, e l'ombra si proiettava per oltre metà della piazza.

Blasco era così occupato dai suoi pensieri che non guardò neppure alcuni uomini, che dormivano avvolti nei mantelli sui gradini della chiesa. D'altronde quella vista non avrebbe avuto nulla di nuovo e di strano; i gradini delle chiese, i banchi delle botteghe, allora di pietra e sporgenti un buon tratto fuori dell'imposta chiusa, di notte si tramutavano in letti per una folla di miserabili, di cui durante il giorno non si sarebbe supposto il gran numero. Sparsi per la città, annegati tra la moltitudine, inosservati tra lo splendore della nobiltà e l'ostentato benessere del ceto civile, pareva che emergessero, nella notte, dalle viscere della terra; esercito dolente, che contendeva ai cani gli avanzi accumulati nelle spazzature e si gettava dietro le porte delle chiese, sulla soglia dei portoni, sotto i piedistalli delle statue, per cercarvi il riposo, o per celarvi i suoi amori.

Le province mandavano alla capitale il maggiore contributo: contadini spogliati dai baroni, vecchi inabili al lavoro, donne rimaste sole nella più squallida povertà, allettati dal miraggio di trovare a Palermo un pezzo di pane per carità, venivano a piedi, giungevano seminudi, affamati, con tutti gli istinti in rivolta; diventavano ladri e prostitute, vivevano come bestie, senza oggi, senza domani.

Nessuno se ne occupava: soltanto nei periodi di carestia, non infrequenti, un bando li cacciava via da Palermo, dove ritornavano pochi mesi dopo, più numerosi e famelici.

Blasco, dunque, non guardò neppure quelle masse nere rannicchiate nell'ombra, fra gli zoccoli delle colonne e continuò la sua strada ripensando al viso del principe di Iraci, con un compiacimento maligno. Era arrivato a Lattarini, una contrada tutta vicoli e chiassuoli che s'incrociano e serpeggiano, come un labirinto inestricabile. Ai tempi degli arabi era mercato di droghieri, chè tale suona il nome , serbava ancora qualcosa dell'antico traffico, ed accoglieva, come accoglie, le locande frequentate dai provinciali. Blasco gettò un'occhiata rapida nelle stradette immerse nell'ombra, più per istinto che per preoccupazione, e tirò innanzi: ma non aveva fatto tre o quattro passi che si sentì dare un violento pugno sopra una spalla e contemporaneamente udì una voce gridargli: "Muori, cane!". Al colpo violento e improvviso Blasco barcollò, e fu lì per cadere, ma ricuperato prontamente lo equilibrio, si voltò in un baleno, sguainando la spada. Si vide dinanzi quattro uomini armati di spade corte, che stavano per gettarglisi addosso: erano così vicini, che difficilmente egli avrebbe potuto fare uso della spada; capì a volo che un istante di incertezza sarebbe stato la sua morte; morte ingloriosa e invendicata. Stretta la spada per la lama si gettò allora contro il più vicino facendogli balenare la punta fra gli occhi, con una rapidità fulminea che l'assalitore al contrattacco inaspettato dovette dare indietro. Ciò bastò perché Blasco acquistasse un po' di spazio per mettersi in guardia; ma aveva di fronte, ai fianchi quattro avversari e le spalle indifese: inoltre un forte bruciore alla spalla destra gli svigoriva il braccio. Nondimeno, giunse a metter fuori di combattimento uno degli assalitori, ma nel tempo stesso si sentì annebbiare la vista, piegare le gambe, affievolire la persona e cadde per terra con un gemito, contemporaneamente al suo avversario.

Con un grido di trionfo i tre gli si gettarono sopra per finirlo, ma in quel punto stesso due colpi di pistola rimbombarono nel silenzio della notte. Uno degli assalitori stramazzò per terra senza fiatare; gli altri si arrestarono sgomenti guardandosi intorno, non sapendo donde quell'improvvisa minaccia li avesse folgorati; ma non s'erano ancora ripresi, che si videro assaliti da una mezza dozzina di uomini neri dal volto irriconoscibile, armati di pugnali e di pistole. Non trovarono altro scampo che fuggire, abbandonando per terra i loro compagni, che rantolavano orribilmente.

Quegli uomini si avvicinarono a Blasco che con occhi quasi spenti guardava quella scena inesplicabile. Uno di loro aperse una lanterna cieca e lo illuminò:

"I malandrini" disse "lo hanno conciato. Siamo arrivati troppo tardi. Su, portiamolo via!"

Sollevarono Blasco, che li guardava sempre più stupito, incapace di movimento, dolorando per la ferita che gli aveva squarciato la spalla. Uno di quelli, inzuppato un fazzoletto nell'acqua, glielo passò sulla fronte e la frescura parve rianimarlo; egli mandò un gemito di angoscia.

"Diamine!" mormorò; "credo anch'io che mi abbiano conciato... Fate piano... fate piano..."

Ma appena disse queste parole, reclinò il capo sopra la spalla e svenne.

Quanto tempo trascorse? Non potè nè avrebbe potuto dirlo. Poteva essere un istante come un'ora, come un anno. Aprì gli occhi in un luogo che gli parve del tutto ignoto, per quanto la quasi oscurità onde era avvolto gli permettesse di percepire e gli pareva di vedere errare in quella oscurità strane larve nere, silenziose e lievi, come fantasmi. Egli stesso non ebbe la coscienza della realtà e credette forse di sognare: infatti richiuse gli occhi e ricadde in un letargo. Udì confusamente una voce che disse:

"Lasciatelo riposare, gli farà bene."

Poi non udì più nulla, fino a quando spuntò il sole. Quando si destò, guardando la stanza e il letto con curiosità e stupore, tentò di levarsi, ma un dolore acerbo lo inchiodò sul letto. Una voce l'ammonì:

"Vostra Eccellenza non si muova..."

Si voltò; a un canto del letto c'era una vecchietta arzilla, pulita, vestita di nero, con un fazzoletto bianco sul petto e con un volto che pareva di cera. Si sarebbe detta una monaca, se non avesse avuto i bianchi capelli lunghi e attorcigliati in trecce sulla nuca. Dove era? Chi era quella donna? Non aveva dunque sognato? Era una camera ariosa, le cui finestre davano in un giardino; aveva pareti celestine, pochi mobili comuni e un gran letto matrimoniale di ferro battuto, alto come un trono, sul quale era coricato. Ricordava l'aggressione, la ferita, l'improvviso soccorso, gli uomini misteriosi e le parole dette da uno di loro: "Siamo arrivati troppo tardi!" - Arrivati? Che cosa voleva dire? E quella vecchietta? La guardava stupito e non senza un certo compiacimento: ella se ne stava seduta facendo la calza, sorridendo lievemente con un'aria materna.

Dopo un minuto di contemplazione le domandò:

"Chi siete, brava donna, e chi mi ha portato qui?" La vecchietta non gli rispose, si alzò, gli aggiustò la rimboccatura del lenzuolo e a sua volta gli domandò:

"Vostra Eccellenza come si sente? Bene? Sia lodata la Madonna del Carmine! Però non si muova, perché potrebbe guastarsi la fasciatura."

Si accorse ora d'essere fasciato. Chi l'aveva fasciato? Un medico certamente: chi l'aveva chiamato? Forse quella vecchietta? Le disse:

"Non mi muoverò, ma ditemi chi siete, e dove sono?"

"Come vede, è in casa mia: e io sono una povera donna; la zia Nora, la madre di Baldassare... Che non lo conosce, vostra Eccellenza, Baldassare?"

Blasco la guadava attonito; con tutte quelle indicazioni ne sapeva meno di prima. Chi era quel Baldassare? Non aveva mai udito quel nome fra le sue conoscenze. Intanto egli era curato e assistito. Ma sentiva intorno a sè come un'aria di mistero. Cominciò a pensare. Bisognava avvertire Coriolano della Floresta di quanto gli era occorso: certamente il suo amico doveva stare in pensiero non vedendolo rientrare. Chi sa che cosa avrebbe detto!

"Sentite, zia Nora, vorrei vedere vostro figlio..."

"Baldassare? Ma... è a lavorare..."

"Dove lavora?"

"All'oratorio di S. Cita, con maestro Giacomo Serpotta..."

"E quando tornerà? Ho bisogno di lui; vorrei mandare qualcuno a casa..."

"Non se ne dia pensiero, perché è stato fatto."

"Fatto? Come? E sapevano chi sono io e dove abito?"

"Lo sapevano, Eccellenza."

Blasco passava da uno stupore all'altro. Gli tornarono nuovamente alla memoria le parole udite, quando era caduto: "Siamo arrivati troppo tardi!". Dunque quel soccorso non era stato inviato dal caso: quei misteriosi salvatori sapevano che contro di lui si tramava qualche cosa. Come lo sapevano? E perché erano accorsi a salvarlo? Quale interesse poteva guidare persone a lui ignote a esporre la vita affrontando dei malfattori?

Tutte queste idee turbinavano nel cervello di Blasco ed egli vi si smarriva; nè i suoi tentativi per cavare di bocca alla vecchietta una parola valsero a nulla. La vecchietta o non sapeva niente, o era furba e fingeva di non sapere e di non capire. Lei non gli rispondeva mai a tono, e sviava il discorso, quando Blasco la stringeva di domande.

Fu ventura che, in quel punto, giungesse Coriolano della Floresta.

Il cavaliere entrò senza fretta, nè rivelando una grande commozione, pur mostrando in volto un premuroso interesse.

"Ebbene, mio povero amico, che vi succede?" gli disse prendendogli con delicatezza la mano.

"Lo vedete?" rispose con un sorriso Blasco. Coriolano guardò la vecchietta che si era avvicinata al letto e disse:

"E questa brava donna?"

"Sono la zia Nora, la madre di Baldassare, lo stuccatore..."

"Non lo conosco" disse Coriolano; "è forse quel giovane che è venuto ad avvertìrmi?"

"Eccellenza sì."

"Ha fatto bene... Mi ha detto che vi ha raccolto all'angolo della strada di Lattarini, ferito..."

"Se sia stato lui a raccogliermi, non lo so;" rispose Blasco "so che non era solo e che... c'è del mistero amico mio..."

Coriolano guardò intorno e disse alla vecchia:

"C'è stato il medico?"

"Eccellenza sì."

"Tornerà?"

"A mezzogiorno..."

"Fatemi il piacere, zia Nora, di andarlo a chiamare adesso; vorrei parlargli... Aspetterò qui..."

"Subito, Eccellenza."

La vecchietta prese uno scialle e uscì. Coriolano chiuse la porta e, avvicinata una sedia al letto, disse:

"Ora siamo soli. Raccontatemi, dunque, come è accaduto."

Blasco gli narrò ogni cosa per filo e per segno.

"Capite" disse poi "che c'è qui del mistero..."

"Che mistero?"

"Cominciamo dalla aggressione... Quella gente forse mi pedinava, o era appostata; non credo che m'abbia scambiato per un altro..."

"Sarei anch'io dello stesso parere." "Chi può essere stato l'ordinatore?"

"Non credete che abbiano agito per proprio conto?"

"Bah! Della gente ignobile, dei plebei... Non ho mai avuto da fare con loro... salvo che non siano dei sicari dei Beati Paoli..."

"Oh! oh!... E donde l'argomentate?"

"Essi minacciavano sempre don Raimondo della Motta ed io ero suo amico..."

"Ah! i Beati Paoli non colpiscono mai gli amici dei loro nemici; e poi, state pur sicuro che essi sanno già che voi non avete più rapporti col duca della Motta..."

"E allora?... Vedete dunque che il mistero s'accresce..."

"Può essere..."

"Poi c'è quell'improvviso aiuto."

"Uhm! Che delle brave persone salvino un uomo dalle mani di malfattori, non mi pare abbia del mistero..."

"E quelle parole: "Siamo arrivati troppo tardi"?"

"Ma è naturalissimo. Si dolevano di non essersi trovati a passare più presto, per impedire anche la ferita..."

"E come sapevano che ero io?"

"Non siete un ignoto, ormai. Vi si vedeva sempre con la signora duchessa... Qualcuno certamente vi ha riconosciuto..."

"E sapeva che io sto in casa vostra?"

"Poteva benissimo essere un vicino di casa..."

"E scusate, perché erano mascherati questi salvatori?..."

"Ma! non è una novità, di notte, andare con la maschera, per non essere riconosciuti... Ci sono tante ragioni..."

"Voi trovate ogni cosa naturalissima e a me, invece, pare che ci sia del mistero..."

"Perché ve ne date pensiero?..."

"Perché vorrei sapere a chi devo la vita..."

"Ma a queste brave persone che vi ospitano, a quanto pare..."

"Sono anch'essi dei personaggi misteriosi..."

"Uhm! Voi vedete sempre del mistero intorno a voi! Lasciamo andare... Parliamo d'altro. Voi non potete immaginare il rimorso che ho provato e che provo ancora, per quello che vi è accaduto! ..."

"E che c'entrate voi?"

"Per bacco! Se non me ne fossi andato, se fossi rimasto con voi, certamente non vi avrebbero ferito..."

"M'hanno ferito alle spalle, a tradimento e l'avrebbero fatto lo stesso. Voi non c'entrate, Coriolano..."

"Sarà, ma non avrei dovuto lasciarvi solo; tanto più che iersera in casa Lungarini c'era il principe di Iraci."

"Che? Voi credereste?..."

"Non vi dissi una volta che voi avevate firmato una cambiale al principe e alla duchessa, e che ve l'avrebbero fatta pagare?"

"Con un assassinio così vigliacco? Oh, no, no: non voglio crederlo!..."

Coriolano si strinse nelle spalle.

"Chi poteva avere interesse di sopprimervi?..."

Blasco chiuse gli occhi; il suo volto esprimeva la ripugnanza a credere che un signore come il principe di Iraci, e più una dama così bella e graziosa come la duchessa avessero potuto tramare un assassinio: ma le parole di Coriolano avevano un tono di sicurezza, che lo sforzo che egli faceva per respingerla ne rimaneva come soverchiato e vinto.

Poco dopo giunse il chirurgo, un vecchietto vestito di nero. Coriolano gli domandò:

"Credete voi che il ferito si possa trasportare in seggetta a casa mia?"

Il chirurgo s'inchinò rispettosamente e disse: "Salvo il parere di vostra Eccellenza, io direi di no; almeno per quattro o cinque giorni... la ferita non è mortale, ma è grave. Il colpo fu dato troppo in alto, e la punta scivolò lungo l'osso, che ne mozzò la furia e impedì che penetrasse più profondamente..."

"L'avete scampata bella! .. Grazie, signor chirurgo."

Quando l'uomo dell'arte, esaminate le fasce, se ne fu andato, Coriolano si congedò:

"State di buon animo" disse a Blasco "verrò a vedervi più tardi; se desiderate qualche cosa, qualche libro... per trascorrere meglio il tempo..."

"Grazie, come credete... Ma, scusate, toglietemi un dubbio. Se questa gente mi conosceva, perché non mi ha trasportato in casa vostra?"

Coriolano parve colpito da quella domanda così semplice, ma riprese subito il suo lieve sorriso e il suo aspetto sereno.

"Che cosa volete che vi dica? Sono cose che si pensano dopo. Hanno creduto che io potessi spaventarmi... chi lo sa? Del resto perché volete tormentarvi? L'importante è che voi guariate presto; poi cercheremo insieme di chiarire quello che voi credete un mistero. Arrivederci."