Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte seconda, capitolo 16

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Quando la piazza rimase vuota e silenziosa, uno di quei popolani si recò nella casa, già occupata dai soldati, e della quale questi avevano lasciato aperto il portoncino. Poco dopo si affacciò al balcone e fischiò in un modo particolare. Allora altre ombre d'uomini si affacciarono dai vicoli ed emersero dai vani delle porte, e dal fondo della strada riapparvero quei due che Blasco aveva salvato dalle grinfie della giustizia.

Erano don Girolamo Ammirata e Andrea. Salirono rapidamente in casa, dove l'uomo che li aveva preceduti aveva acceso una lampada a olio; don Girolamo si recò nella camera da letto, rovesciò i materassi, e, cavato un coltello, scucì l'involucro di uno di essi, vi cacciò la mano dentro con viva soddisfazione, ma, appena trattala fuori con un plico, gettò un grido di dolore:

"Le carte! le carte!..."

Ruppe il cordoncino che legava il plico, lo svolse: non conteneva che della cartaccia.

"Le carte!... le carte!..." balbettò con voce soffocata, lasciandosi cadere sopra una sedia.

Andrea gli si avvicinò stupito.

"Che cos'è? Che cos'è..."

"Rubate!" esclamò don Girolamo "Rubate!... Rubate..."

Un silenzio mortale piombò nella camera; quei due uomini si guardavano con uno sgomento angoscioso, colpiti dal mistero di quella sparizione, che rivelava loro improvvisamente la presenza di una spia, di un traditore, di qualcuno, invisibile e forte, che sgominava tutti i loro piani, rovesciava tutto l'edificio con tanta pazienza, con tanto sacrificio, con così ostinata lotta costruito. Chi aveva potuto sorprendere quel segreto, chi aveva potuto rubare il plico, del quale soltanto don Girolamo e sua moglie conoscevano il ripostiglio? Dov'era il traditore? Egli era stato avvertito da Antonino Bucolaro, da parte della signora Francesca. Per mezzo di chi Antonino Bucolaro aveva ricevuto quell'ambasciata? Il traditore non poteva trovarsi che tra loro. Dubitare di Antonino Bucolaro? Ma egli non sapeva che carte fossero, nè dove riposte. Chi le aveva sottratte doveva avere la chiave di casa e doveva conoscere la topografia di essa. V'erano tracce di disordine?

Cominciarono a investigare: veramente pareva che nei cassetti, nell'armadio qualcuno avesse cacciato le mani, ma poteva essere stata la signora Francesca, che, colta improvvisamente dall'ordine di arresto, aveva in fretta e in furia cacciato della roba qua e là o, tratta un po' di biancheria per suo uso, avesse lasciato i cassetti un po' in disordine.

Bisognava informarsi, e prima di tutto domandare alla signora Francesca; ma come giungere fino a lei?

Un fischio dalla strada li chiamò. Era ora di andarsene, perché era vicino ad albeggiare.

Don Girolamo e Andrea uscirono, serrarono la casa, e, scambiata una parola con l'uomo che faceva la sentinella, si dileguarono nell'ombra della piazza.

"Andiamo da Antonino Bucolaro," disse don Girolamo; "egli deve saperci dire qualche cosa: deve dircela; ce la dirà, e se lui..."

Stese il pugno in atto di minaccia e i suoi occhi brillarono sinistramente. Andrea taceva; teneva gli occhi bassi colpito da quel furto, che era come la seconda soppressione di Emanuele. Il suo sogno di servo devoto e fedele alla memoria del suo signore, per vendicare la duchessa e rimettere Emanuele in possesso del suo patrimonio, pareva dileguarsi per sempre. Pensava: dunque non è vero che Dio protegge gli innocenti e che il delitto, le scelleratezze ricevono la meritata punizione! Non è vero che la verità trionfa, non è vero nulla!... Don Raimondo, eccolo, trionfava! Egli aveva a poco a poco disperso, spento tutte le voci che potevano accusarlo: morti su morti, delitti; adesso distruggeva quei documenti, voci d'oltretomba che parevano sorgere dal fondo del sepolcro, per gridare vendetta e invocare giustizia! ..

Che colpa aveva commesso la sua stirpe?

Forse anche nell'animo di don Girolamo si svolgevano i medesimi pensieri. Tutto il passato gli si presentava alla memoria, fin da quella tragica notte di gennaio, in cui aveva raccolto sulla strada, pazza di terrore e morente di freddo, donna Aloisia della Motta e l'aveva ricoverata nella sua casa. Erano trascorsi sedici anni da quella notte, ed erano stati sedici anni di sacrifici, di lavorio segreto, di indagini. Aveva una bambina e gli era morta, ed Emanuele aveva occupato la casa per due: per sè e per la sua sorella di latte; marito e moglie avevano concentrato sopra di lui tutti i loro affetti. Don Girolamo aveva ottenuto che fosse accolto nel collegio dei Turchini; l'aveva anche mandato dai padri Gesuiti, sebbene con pochissimo frutto, per la natura del ragazzo, insofferente di disciplina. Ed ambedue, marito e moglie, sognavano di vedere un giorno il fanciullo padrone e signore dei suoi feudi; sebbene il pensiero che quella ricchezza avrebbe scavato un abisso fra Emanuele e i suoi geni tori d'affezione li facesse rabbrividire. Oh, non c'era fretta, per questo. Essi non volevano certo sbarazzarsi di quel bel fanciullo; avrebbero aspettato che egli compisse i ventun anni, per rivelargli ogni cosa, e costringere don Raimondo a restituire al nipote l'eredità usurpata... Pensava a quegli ultimi anni, così pieni di avvenimenti inaspettati; alla istruzione - chè tale poteva dirsi - del processo contro il duca, alla diligenza fortunata nel raccogliere testimonianze insperate. Pensava a tutte le armi raccolte per assicurare il trionfo della giustizia, e la giustizia cadeva sotto i colpi vittoriosi e inesorabili del delitto!

Giunsero alla casa di Antonino Bucolaro, che ancora non era l'alba; le strade erano ancora deserte e silenziose e il colpo di martello picchiato da don Girolamo rimbombò per tutta la strada. A quel colpo egli fece seguire un fischio speciale. Un istante dopo si aprì uno spiraglio di finestra e una voce domandò:

"Chi è?"

"Colleganza."

"Guardiano?"

"Sì; fa presto!..."

"Subito."

La porta si aprì.

"Sei solo?" domandò don Girolamo.

"Con mia moglie, si capisce."

"Dobbiamo essere soli."

"Entriamo qui."

Era una stanza terrena, dove c'erano delle vasche di pietra per lavare. Una finestrella apriva un buco nero in un angolo.

"Dove dà quel buco?" domandò l'Ammirata.

"In un pozzo di luce."

"Procura di chiuderlo."

Antonino Bucolaro cercò, trovò una di quelle pietre quadrangolari di tufo, che servono a fabbricare, e che qualcuno aveva adattato a guisa di scalino dinanzi a una delle vasche; la pose nel vano della finestra e turò gli spazi con dei cenci.

"Ebbene?" domandò poi.

"Chi è venuto a parlarti delle tavole che mia moglie aveva lasciato alla cuba?"

"Lo stomaco grosso della locanda salata."

"Chi è, lo conosci?"

"Non l'avevo mai veduto prima di quel giorno..."

"Come ti disse?"

"Ecco le sue parole: "Vengo dal Castello, sono il confessore della signora Francesca, la quale mi incarica di dirvi che avvertiate don Girolamo di prendere quelle carte che sa lui, perché non ha avuto il tempo di consegnarle a nessuno". Nè più, nè meno. Perché mi fate questa domanda?"

"Le tavole volarono".

"Come?"

"Volarono ti dico! ed erano di grandissima importanza, erano un tesoro; valevano forse duecentomila onze, capisci? Qualcuno le ha portate via!"

"Possibile?"

"Vengo dalla cuba. Erano attuppate nella ventriera di capelli d'angelo... e vi ho trovato invece questo mucchio di cartaccia!... Ma andiamo dal confessore di mia moglie..."

"Dove sta?"

"È padre Nigri, un beneficiale del Duomo; sta qui ai Benfratelli..."

"Tu aspetta, Nino."

In un salto, don Girolamo e Andrea andarono dal padre Nigri e lo svegliarono:

"Che cos'è?" gridò il prete; pauroso, affacciandosi.

"Un moribondo..."

"Chi? è mio penitente?..."

"Sono io, mi riconosce..." disse don Girolamo.

"Aspettate."

Il prete gli illuminò il viso con una lampada e parve stupirsi:

"Voi!..."

"Sì, sì; apra! che diamine!"

Il prete, rassicurato, scese in mutande e in ciabatte, com'era, ad aprire il portoncino e domandò:

"Che cosa c'è?..."

"Due parole, padre; e mi perdoni... Vossignoria sa che hanno arrestato mia moglie?"

"Hanno arrestato Francesca? Perché?.."

"Non lo sapeva?"

"No..."

"Non è andata perciò al Castello?"

"E come, se non ne sapevo nulla? Perché me lo domandate?"

"Nulla!... è una cosa terribile!" disse don Girolamo sudando freddo.

Il prete con la lampada in mano guardava stupito, non sapendo spiegarsi l'urgenza di quella domanda a quell'ora, e lo spavento di don Girolamo.

"Volete che vada a visitare Francesca? Come suo confessore mi sarà permesso..."

Don Girolamo pensò un secondo, e rispose:

"Sì, gliene sarò grato, e le domandi chi era il prete col quale mi mandò quell'ambasciata che ella sa..."

"Va bene; a quattordici ore ci andrò. Contateci. Ma non commettete imprudenze; andatevene, non vi fate vedere."

"Ha ragione. Vossignoria mi benedica, e mi perdoni il disturbo... è una cosa molto grave!... molto grave!... Verrà Nino Bucolaro a prendere la risposta..."

Ritornarono dal Bucolaro, mentre il prete risaliva in casa ancora stupito e mormorando:

"Povera signora Francesca!... Ma veramente non c'era ragione di svegliarmi a quest'ora!... Raccomandiamoci a Dio!".

Antonino Bucolaro aspettava il ritorno di don Girolamo con una viva agitazione.

"Nino," gli disse don Girolamo, prendendolo per un braccio, "non era padre Nigri! Egli non sapeva neppure che Francesca fosse stata arrestata!..."

"No!" esclamò Antonino strascinando il monosillabo per la meraviglia.

"No! non lo sapeva. Nino," e l'aspetto di don Girolamo si fece torvo, e la voce ruggì fra i denti serrati "giura che è venuto da te stomaco grosso...."

"Ne! dubitate?"

"Giura!... bada al tuo giuramento... Io ti accuserò..."

"Don Girolamo, mi credete dunque un traditore?"

"O tu hai invitato stomaco grosso..."

"E sapevo io delle carte?..."

"E allora o tu o stomaco grosso avete sgraffiato le tavole!..."

Antonino Bucolaro balzò in piedi col volto in fiamme:

"Io? don Girolamo!..."

"O tu o stomaco grosso." ripetè con lo stesso tono l'Ammirata. "Voi due, oltre me, mia moglie, Andrea e nessun altro, sapevate che in casa mia ci fossero quelle tavole."

"E dubitate di me? Ho dato prove di essere traditore, io?..."

"No; ma il fatto è questo: tocca a te sbrogliartela... Devo ritrovare quelle tavole, capisci? Devo sapere chi le ha sgraffiate e dove sono!..."

"Cerchiamo lo stomaco grosso."

"È affare tuo. A mezzodì ti aspetto alla Guadagna."

Antonino Bucolaro rimasto solo si cacciò le mani fra i capelli, come per concentrarsi in un pensiero. Già s'era fatta l'alba; risalì nelle sue camere, si vestì, si armò e uscì di casa. Per il suo mestiere di sensale gli occorreva spesso di uscire a punta del giorno, per recarsi a Porta Termini, dove scaricavano le some di frumento. Ma invece di prendere la strada che vi menava, si avviò verso il Castello, per cercarvi il confessore, il cappellano, quel prete insomma che si era presentato a lui da parte della signora Francesca. A quell'ora probabilmente il prete vi si recava, giacchè si sapeva che la messa per i carcerati si diceva di buon mattino.

Egli domandò al custode se il prete fosse venuto e se gli si potesse parlare, trattandosi di un affare di grandissima importanza.

"Non è venuto ancora, ma non ci vorrà molto. Quanto a parlargli, non c'è difficoltà; potete aspettarlo qui, presso il cancello... sedete pure."

Antonino sedette su un banco di legno, nell'andito che dalla porta del Castello metteva in un cortile interno e aspettò chiacchierando col custode delle cose del giorno; fino a che questi gli disse:

"Ecco il padre."

Antonino Bucolaro guardò fuori; un prete piccolo e grasso attraversava in quel momento il ponte levatoio.

"Ma non è lui che cerco."

"Non volete il padre cappellano?"

"Se sia cappellano non so, io cerco il confessore..."

"È tutt'uno; confessore e cappellano sono la stessa persona..."

"Ma io ne cerco un altro..."

"E allora sarà quello della Vicaria."

"Ma no! è venuto da me e ha detto chiaramente che veniva dal Castello... E poi, scusate, è chiusa qui la signora Francesca Ammirata?"

"Qui..."

"E dunque si tratta del confessore del Castello..."

"Ed è questo qui."

Il prete passò davanti ad Antonino Bucolaro, che lo guardò fisso, scuotendo il capo.

"Non è lui, non è lui!... Ma. scusatemi, non ci sono altri preti in Castello?"

"Nessuno..."

"E chi venne allora da me?..."

"Volete che ve lo dica io? Domandatene al padre. Può darsi che ne sappia lui qualche cosa."

Antonino andò dal cappellano, che stava vestendosi per la messa, ma questi non sapeva nulla; non aveva mai veduto e confessato la signora Francesca e tanto meno ne aveva ricevuto incarichi; anche lui affermò che di preti in Castello c'era lui solo. Antonino Bucolaro non sapeva che cosa pensare.

Chi dunque era andato da lui? A chi la signora Francesca aveva affidato il suo incarico? Chi aveva tratto lei e lui in un tranello?

A mezzodì, quando si recò alla Guadagna, in una piccola taverna posta fra i canneti in capo al piccolo ponte di pietra sull'Oreto, don Girolamo non fu meno di lui atterrito da quelle notizie. Era ormai certo che una spia aveva sorpreso la buona fede della signora Francesca e che, dopo avere sottratto quelle carte, aveva tentato di attirare don Girolamo in un tranello per arrestarlo; ma chi era? chi poteva essere?

"È un abate..." disse Antonino Bucolaro. "Li andrò visitando a uno a uno, finchè lo troverò, per la Madonna..."

"Un abate?" osservò Andrea; "e se fosse quel medesimo abate che tentò di arrestarmi alla Milicia?"

Tutti e tre si guardarono, colpiti da quel richiamo che li metteva sulla strada, improvvisamente.

"Lui!... Matteo Lo Vecchio!" gridò don Girolamo.

"È capace di questo e d'altro" aggiunse Antonino Bucolaro.

"Ah, il pezzo da galera!... Bisogna rubargliele!..."

E un altro pensiero attraversò la mente di don Girolamo.

"E se le avesse distrutte?.."

"Ma per Dio!... perché non lo condanniamo? Mi pare che sia tempo..."

"E se le avesse consegnate al duca?"

Quest'idea parve più terribile delle altre; certo il duca che aveva soppresso le persone non avrebbe conservato le carte accusatrici. Il silenzio piombò sulle loro bocche.

Dopo un istante, don Girolamo disse ad Antonino:

"Bisogna pizzicare la vecchia al refettorio."

"Va bene. Sonerò la campana."