Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte seconda, capitolo 18

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Don Raimondo poteva finalmente credere di trionfare di tutti. Sebbene ignorasse che Matteo Lo Vecchio fosse venuto in possesso di quei documenti preziosi, tuttavia il tono della voce e la gioia che brillava negli occhi del birro gli davano la quasi sicurezza di non avere più nulla a temere dai Beati Paoli.

Matteo Lo Vecchio gli aveva promesso per la notte la cattura di don Girolamo e di Andrea, i due pericolosi, e i soli ancora che possedessero il suo terribile segreto. Padrone di costoro, li avrebbe mandati sulle forche con la signora Francesca e con Emanuele e d'un colpo avrebbe distrutto quell'idra dalle cento teste.

Egli non dubitava punto del potere affascinatore di donna Gabriella, per la quale il re aveva mostrato una così viva simpatia: a quell'ora ella doveva essere giunta a Messina, precedendo il re stesso, e fra un paio di settimane sarebbe venuta in possesso delle ragioni per le quali il re aveva fermato il processo contro la moglie dell'Ammirata.

Aspettava nella notte stessa che Matteo Lo Vecchio gli portasse la notizia della cattura tanto attesa e desiderata, e aveva dato ordine che, in qualunque ora, facessero entrare il birro, anche se egli dormisse, dando facoltà che lo svegliassero.

Ma egli non dormì. L'ansia dell'aspettazione, il sapore della vendetta, la febbre del desiderio gli tenevano l'animo in agitazione. Con gli occhi aperti nel vuoto dell'ampia camera, sdraiato sul letto, ma sorretto sul gomito, seguiva il corso dei suoi pensieri e dei desideri, risalendo nel suo torbido passato.

La notte scorreva; gli orologi suonavano un dopo l'altro, il silenzio si faceva sempre più profondo, ma il birro non veniva. Una vaga apprensione si impadronì dell'animo di don Raimondo. Perché tardava tanto? Cercava di spiegarsi il ritardo con la distanza che passava dalla piazza S. Cosmo al Castello, dove avrebbe condotto i due arrestati e faceva mentalmente anche lui la strada, domandandosi: "Chi sa che diavoleria avrà inventato quel pezzo da forca di Matteo Lo Vecchio, per attirare don Girolamo e Andrea!".

Fra questi pensieri un lacchè, mezzo addormentato, venne ad annunziargli Matteo Lo Vecchio.

"Subito!... fatelo entrare!..."

Per udire meglio si pose a sedere sul letto, ma l'aspetto del birro gli produsse l'effetto di un secchio d'acqua gelata in testa. Matteo Lo Vecchio aveva l'aspetto di un generale che è costretto a confessare d'essere stato battuto vergognosamente, senza neppure avere salvato l'onore!...

"Ebbene?" domandò il duca ansiosamente. "Come è andata?"

"Vostra Eccellenza mi guardi bene."

Il birro si collocò in piena luce e don Raimondo potè vedergli sullo zigomo una formidabile ecchimosi rossa, che lo sfigurava.

"Che cos'è accaduto?..."

"Eccellenza, hanno i diavoli ai loro ordini. Le cose erano disposte in modo che dovevano cascarci. Avevo mandato a dire per mezzo di Antonino Bucolaro..."

"Chi è costui?"

"E uno della setta... L'ho appurato..."

"E' dei nostri?"

"Eccellenza, no. Ma io mi sono presentato sotto le spoglie del confessore della signora Francesca... Dunque avevo mandato a dire per mezzo del Bucolaro che venissero a mezzanotte per... per una cosa molto grave, a casa, nella piazzetta di S. Cosmo, dove il Bucolaro li avrebbe aspettati... Invece il Bucolaro aveva cacciato in casa cinque soldati dei più bravi; altri erano appostati nella casa del pittore, altri avevano occupato vari sbocchi della piazza, celati perfettamente... L'effetto doveva essere sicuro. Io sorvegliavo con un gruppo di soldati... Ed ecco, a mezzanotte, i due bricconi; ma che è e che non è, prima di entrare nella piazzetta, quelli si fermano. Io sento un bisbiglio; ficco gli occhi nell'ombra e mi pare di vederci un altro personaggio. Dico fra me: "Sarà Nino Bucolaro; tanto meglio, ne piglieremo tre!". E aspetto, ma..."

"Ma?"

"Ma invece Girolamo Ammirata e Andrea voltarono i tacchi e si allontanarono rapidamente; io sbuffo,! cerco di non lasciarmeli scappare, mi slancio contro quel terzo personaggio per arrestarlo, egli si mette sulla difesa... Ma dall'ombra piove una sassaiuola... certi ciottoli, Eccellenza, che parevano palle di cannone!... Piovevano come la gragnola, fitti, terribili, e colpivano giusto, come vostra Eccellenza vede!..."

"E siete fuggiti?"

"E che si poteva fare?..."

"Arrestare tutti, ammazzarli, perdio!" gridò il Duca furibondo.

"Ammazzarli? Bisognava vedere dove fossero. Le dico, Eccellenza, che i sassi venivano dall'aria... proprio dall'aria. Non si vedevano, anzi si sentivano!... Questo è tutto..."

"Ma l'altro, il terzo? Non afferrare neppure quello!..."

"Naturalmente, nella confusione di quella sassaiola improvvisa, si è dileguato!... I soldati pensavano a guardarsi la pelle, pensavano! Io non potevo badare a tutto... Tanto più che non era un osso facile a rodere... Vostra Eccellenza lo conosce."

"Io?"

"Quel terzo personaggio non era Nino Bucolaro..."

"Chi era dunque?..."

"Il signor don Blasco di Castiglione..."

"Lui!" gridò don Raimondo, balzando in piedi e dimenticando d'essere soltanto in camicia da notte._ "Lui? Ma costui, dunque, si caccia sempre fra i miei piedi?... Ma dunque è vero quello che diceva il principe di Iraci?..."

"Che cosa diceva il signor principe?"

"Il principe di Iraci ne sa più di voi, che avreste l'obbligo di indagare e riferire... Il principe di Iraci sa che fra Blasco da Castiglione e i Beati Paoli ci sono delle relazioni!..."

Matteo Lo Vecchio spalancò gli occhi, arrossendo per il dispetto e per la stizza. Come poteva saperlo il principe, come poteva dirlo? Che avesse patito una sconfitta sì, lo ammetteva, ma che quel vanesio ne sapesse più di lui, no, non era ammissibile!

Il duca s'era rimesso a sedere sul letto. Gli sfuggivano quei due briganti, gli sfuggivano; di più essi erano in rapporti con quel bastardo che il diavolo gli aveva portato fra i piedi e quel bastardo era un Albamonte!...

Un pensiero gli attraversò la mente; gli parve di avere la chiave della guerra sorda, continua, implacabile dei Beati Paoli. Essi non erano che gli alleati del bastardo; la guerra non aveva che un movente: strappargli qualche cosa dell'eredità. E certo erano stati i Beati Paoli che gli avevano posto accortamente in casa il bastardo per tirare il colpo!... Tutto ciò gli appariva chiaro, evidente...

E intanto quel birro, pur avendo fra le mani Blasco da Castiglione, potendolo arrestare in flagrante, senza bisogno di ordini, se lo lasciava sfuggire!

"Siete stato un imbecille!" esclamò, serrando i denti per frenare la collera; "siete stato un imbecille! Con venti soldati, non siete stati capaci di arrestare tre banditi, e ve li siete lasciati sfuggire!... è una vergogna per il servizio di sua Maestà! Una vergogna per me, che mi sono impegnato in questa faccenda, una vergogna per voi che credevo e avevo garantito come il più abile, il più idoneo, il più sicuro dei birri..."

"Io ringrazio vostra Eccellenza di questa buona opinione;" rispose umilmente Matteo Lo Vecchio, sotto il cui naso tremolava un lieve sorriso ironico; "ma infine anche Orlando, che era quel paladino che tutti sanno, qualche volta ne pigliava!... Ciò non vuole dire che Orlando fosse un buono a nulla!... Questa volta sono stato sconfitto a causa di quell'intruso; un'altra volta saprò prendermi la rivincita. Perché vostra Eccellenza vuole perdere la fiducia in me? Mi pare di averle dato prova di saper fare, e può dirlo, se le scoperte fatte da me sono state di poco conto!..."

Era vero: e in cuor suo don Raimondo dovette confessare che senza Matteo Lo Vecchio egli non avrebbe potuto sbarazzarsi di Giuseppico, Peppa la Sarda, Zi' Rosario e il sagrestano di San Matteo; nè avrebbe avuto nelle mani le fila della setta, nè saputo che don Girolamo Ammirata e Andrea erano gli organizzatori di quella cospirazione, nè che il contr'ordine reale che gli aveva posto nell'anima tanta paura, era l'effetto della supplica data al re da Pellegra Bongiovanni. Tuttavia il suo desiderio di finirla in una volta, di liberarsi da quell'incubo spaventevole al più presto e la speranza, delusa, potevano in lui più della ragione. Gli pareva come se l'avere mancato quel colpo, avesse annullato gli effetti delle vittorie precedenti; gli era come un esercito, che, vincitore in una serie di combattimenti parziali, esce da una giornata campale e decisiva sbaragliato così da non poter tenere più il campo.

Licenziò Matteo Lo Vecchio ordinandogli di ritornare dopo mezzodì, desideroso di rimanere solo per coordinare le sue idee e studiare un nuovo piano.

Il filo che aveva creduto di scoprire e che gli pareva perfettamente logico e naturale, orientava diversamente i suoi pensieri; bisognava colpire Blasco, che secondo lui era l'aspo attorno a cui si avvolgeva tutta quella matassa d'intrighi: aveva contro di lui la denunzia del principe di Iraci per la bastonatura, ma pensò che un processo contro Blasco avrebbe probabilmente condotto all'altro per il tentato assassinio di lui e alla scoperta degli autori, producendo un enorme scandalo; che da questo processo sarebbe venuta fuori l'origine di Blasco stesso che il duca temeva.

Scartò dunque l'idea di un arresto e di un processo: bisognava colpire quel bastardo in una maniera più sicura, più rapida e silenziosa, così che nessuno potesse accorgersene. E i modi di eliminazione erano tanti!... E nessuno avrebbe accusato lui, che, almeno per il pubblico, non aveva alcun risentimento nè alcuna vendetta da esercitare. Se mai i sospetti sarebbero caduti sul principe di Iraci.

Un sorriso infernale gli balenò a quest'idea, sulle labbra pallide e sottili e ne ebbe una specie di sollievo; si coricò, rimuginandola nella mente, e s'addormentò con l'immagine del principe di Iraci, sul palco, gettato dinanzi al ceppo dalla mano del boia, come reo di assassinio, o per lo meno perseguitato e vessato dalla giustizia, e costretto a riscattarsi con grosse somme, ma non certo purgato dall'accusa.

Matteo Lo Vecchio intanto si era diretto a casa, indispettito contro il duca.

"Ma guardate un po' codesto... galantuomo! - borbottava fra sè; - che cosa pretende? Che ci si lasci la pelle per la sua bella faccia? Ma se c'è qualcuno che deve lasciarci anche più della pelle, signor mio, è appunto vostra Eccellenza! Lo sa che io ho in mano tanto da mandarla proprio là dove vostra Eccellenza vuole mandare don Girolamo? Ah, signor duca, signor duca!... bisogna avere prudenza e non grattare la pancia alle cicale!... Intanto il duca è in collera con me, e probabilmente non ha più fiducia nell'opera mia, ma parola d'onore ha torto. Ordini? Che ordini può darmi?... Arrestare don Girolamo? Toh! pigliatevelo don Girolamo!...".

Fece un gesto osceno, energicamente, come se il duca fosse dinanzi a lui, ma subito si guardò intorno temendo di essere veduto. Ora sentiva allo zigomo un certo dolore e vi appoggiava sopra il fazzoletto.

"Questo, - diceva tra sè - l'ho guadagnato per amore di vostra Eccellenza! E vuole il resto, vuole? Ah no, signor mio! Matteo Lo Vecchio non si lascia trasportare dall'entusiasmo di servire, fino al punto di rompersi il collo..".

Arrivò a casa, aprì; appena accese la candela, suo primo pensiero fu di verificare se quelle carte preziose, che per lui rappresentavano un vero tesoro, si trovavano al loro posto.

Egli le aveva nascoste in un armadietto scavato nel muro e chiuso da uno sportellino mascherato dall'imbiancatura. Le trasse, sedette al tavolino e, sciolto il plico, le riguardò a una a una, rileggendole, assaporandole e facendovi su dei commenti! Ma nel riporle dentro l'armadio, un pensiero pauroso gli passò per la mente: erano sicuri lì quei documenti? E se i Beati Paoli fossero venuti, durante la sua assenza, a rovistargli la casa, ed erano capaci di farlo, naturalmente li avrebbero ripresi ed egli avrebbe perduto tutto. Dove nasconderli, dunque?

Bisognava non già mutare nascondiglio nella stessa sua casa, ma mutare casa addirittura, trovare un depositario fedele e sicuro, che, senza domandare che cosa contenessero e senza cercare di ficcarvi gli occhi dentro, assumesse, sotto la sua responsabilità di custodirle e di non consegnarle che a lui, solamente e unicamente a lui. Cominciò a pensarci, evocando nella memoria i nomi e le immagini dei suoi conoscenti e facendo di ciascuno un rapido processo. A uno a uno li scartava; il birro diffidava dei suoi amici e collaboratori. Non c'era che andare a sotterrarle in qualche posto noto a lui soltanto dove nessuno sarebbe andato, per nessuna ragione. Trovarlo quel posto! e andarvi senza timore di essere spiato!...

Si addormentò con quell'idea nel cervello e sognò nascondigli, fughe e ritrovamenti, draghi che vomitavano fiamme, quelle carte, quelle famose carte, moltiplicatesi, ingranditesi, diventate spaventevoli, che pareva dovessero avvilupparlo da un momento all'altro: e a un tratto si tramutavano in una fiumana d'oro, qua e là rosseggiante come per sangue. Poi si vide dentro una grotta, intento a scavare una fossa per seppellirvi don Raimondo con tutte quelle carte, ed ad un tratto una banda di uomini mascherati lo assaliva e avevano tutti l'aspetto di don Girolamo Ammirata; e prendevano a pugnalarlo e l'ammazzavano. Egli sentiva di essere morto e pensava che se fosse andato a seppellire don Raimondo non sarebbe morto; e se ne pentiva. Ma ecco, spariva tutto, e si trovava dinanzi a una fornace ardente.

Si svegliò. Il sole gli batteva sul volto.

Egli si alzò con la mente preoccupata dal pensiero di nascondere le carte; le immagini vedute nel sogno, gli ritornavano alla memoria, confusamente, ma sopra tutte dominava quella della grotta e del nascondiglio.

Grotte nei dintorni di Palermo ce n'erano; egli le conosceva, ma spesso vi si ricoveravano pastori, e i cani, raspando per terra, potevano bene scoprire le carte. Altro doveva essere il nascondiglio! E se le avesse nascoste nel cimitero di S. Antoniello al Secco, il piccolo e deserto cimitero dei giustiziati, che sorgeva poco lontano dalla chiesa di Sant'Antonio di Padova nel sentiero che conduceva all'Oreto? Lì nessuno andava; c'era una piccola cappella dove nessuno diceva messa e un custode, un frate laico, accendeva una lampada perenne sull'unico altare; sotto l'altare, si poteva sotterrare bene anche un tesoro, con la sicurezza che nessuno sarebbe andato a frugarvi.

Fermo in quest'idea, a mezzodì si recò dal duca della Motta, che gli fece trovare un plico e gli disse:

"Voi partirete per Messina..."

"Io?"

"Voi, sì; andrete dal marchese di S. Tommaso a portare questo plico, e procurerete di ottenere una udienza dal re..."

"Eccellenza, sì."

"Direte al marchese di persuadere sua Maestà su quello che abbiamo fatto per la tranquillità del regno e sulla necessità di avere piena fiducia in me, e che se non si spinge avanti il processo contro la famiglia dell'Ammirata, non verremo a capo di nulla... ditegli in quale modo inaspettato andò a vuoto l'arresto dei maggiori colpevoli. Insomma da questo vostro abboccamento col marchese di S. Tommaso dipenderà la riconquista della mia fiducia e la vostra fortuna."

"Farò di tutto, Eccellenza."

"Partirete oggi stesso. Eccovi un ordine per tutti i capitani d'arme del regno, perché vi diano mano forte e proteggano il vostro viaggio, a ogni richiesta."

"Eccellenza, sì..."

"Fate in modo che nessuno sappia la vostra missione."

"Vostra Eccellenza non dubiti."

"A Messina troverete la duchessa mia moglie, vi presenterete a baciarle le mani per me, e vi metterete a sua disposizione durante la vostra dimora."

"Sarà un dovere e un piacere per me servire sua Eccellenza."

"Eccovi del denaro..."

Gli diede una borsa piena. Matteo scese pensando che, dopotutto, quel viaggio gli tornava comodo, perché poteva portare lontano, con sè, quei documenti senza lasciarli ad alcuno e in alcun luogo.

Un'ora dopo, travestito, al suo solito, da abate, armato, a cavallo d'una mula vigorosa, attraversava anche lui il ponte dell'Ammiraglio, percorrendo la stessa strada che sei ore innanzi avevano battuto Blasco da Castiglione e il Messinese.