Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte terza, capitolo 2

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Le suore di Montevergini e le educande, come quelle di tutti gli altri monasteri, avevano assistito alle pro cessioni degli inquisiti del Sant'Offizio dai loro loggiati coperti e ora rientravano per andare a cena e al coro.

La bella Violante, ancora sotto l'impressione di quello spettacolo, ne parlava con le sue compagne; le inquisite e specialmente le ree di commercio col demonio incutevano loro una specie di terrore, che le faceva rabbrividire. Mille storie paurose di apparizioni diaboliche, la descrizione dei demoni udite nelle prediche, nei racconti delle vecchie suore, nella lettura dei libri ascetici, ritornavano nella loro memoria: ed esse si guardavano intorno, come se a ogni momento dovessero vedere sollevarsi un mattone e apparire le corna o gli occhi fiammeggianti dei mostruosi spiriti infernali.

All'uscita dal coro, dopo recitato il rosario, nell'ombra appena interrotta dalle lampade, le paure si accrebbero. Nella notte i corridoi parvero paurosi, come gole spalancate e senza fine e i passi risonavano con lo stesso senso di terrore col quale erano risonate le voci nella chiesa buia e deserta. Esse si restringevano, l una con l'altra, tenendosi per mano. V'erano però le più ardite che dicevano ad alta voce:

"Io sono figlia di Maria, e non ho paura del "nemico"."

E si segnavano. Il diavolo fuggiva sempre al segno della croce.

Il monastero sorgeva in parte lungo il prospetto e i fianchi della chiesa; in parte dall'altro lato della strada, in un edificio distinto, congiunto al primo da un ampio cavalcavia. L'educandato era in questo edificio, insieme col noviziato, in due ali separate da un giardino.

Come in tutti i monasteri, allora, e nelle case d'educazione oggi, le fanciulle erano divise secondo l'età; vi erano le piccole e le grandi. Violante era fra le grandi. Ella dormiva in una stanza con altre tre compagne e una suora: ciascuna aveva il suo lettuccio chiuso da bianche tendine; quello di Violante si trovava presso la finestra che dava sul giardino priva di inferriata perché era interna e perché il locale era fuori clausura.

La stanza odorava di calce fresca, infatti nella giornata vi erano stati dei murifabbri mandati dal procuratore del monastero, per alcune riparazioni che si erano protratte fin quasi all'Ave. Le educande avvertirono quell'odore, e fecero delle smorfie.

"Signora madre," dissero alla suora, "lasceremo le finestre aperte questa notte?... Quest'odore ci dà alla testa.."

Sebbene di ottobre, faceva ancora tanto caldo da giustificare quella domanda: talvolta nelle notti caldissime che affocavano il respiro, si lasciavano aperte le finestre dei dormitori: questa volta al caldo si univa anche una ragione più persuasiva.

Ma la suora non si arrese:

"No, no: le notti ora sono fresche e ho paura che qualcuna possa ammalarsi."

Poi alle rimostranze delle fanciulle addivenne a lasciare uno spiraglio.

"Andiamo, recitiamo le orazioni: In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.."

S'inginocchiò e cominciò a recitare delle orazioni latine che subivano trasformazioni originali e curiose, di cui nè la buona suora nè le educande avevano coscienza; le educande in ginocchio anche loro dinanzi a lei, ripetevano in coro con la stessa cantilena monotona quelle orazioni, alle quali seguirono delle invocazioni, delle preghiere in versi, in dialetto:

Iu mi curcu 'nta stu lettu

cu Gesuzzu 'nta lu pettu

iu dormu e iddu vigghia

si cc'è cosa m'arrispigghia.

Cu Gesù mi curcu

Cu Gesù mi staiu

essennu cu Gesù

paura nun haiu:

essennu chi haiu

st'amici fidili

mi fazzu la cruci

e vaju a durmiri.

E poi delle raccomandazioni interminabili alla Vergine, a S. Giuseppe, a S. Michele Arcangelo, a S. Rosalia, a S. Domenico, a S. Francesco.. Qualche educanda sonnecchiava e ripeteva quel le orazioni per la forza dell'abitudine, qualche altra lasciava spegnersi le ultime sillabe di ogni parola. Finalmente, più forte delle altre e come un sollievo, risonò la parola: Amen. E allora le fanciulle si alzarono, baciarono la mano della suora e ognuna sparì fra le tendine del suo letto.

Per qualche minuto si udì un bisbiglio di cutrettole correre da un letto all'altro; poi a una a una le bocche si chiusero, si chiusero gli occhi; nel silenzio si udì il ritmo del respiro, simile a un lievissimo alito di vento tra le fronde.

La stanza, piuttosto grande, coi suoi cinque letti simmetricamente disposti di qua e di là, era immersa nell'ombra. Alta sulla parete fra le due finestre che davano sul giardino, dinanzi a una immagine della Madonna, ardeva una lampada, una piccola fiammella rossa, che appena lasciava travedere il volto pallido della Madonna sulla tela nera.

Suonò mezzanotte.

Violante dormiva profondamente col capo nascosto sotto le coperte. Si era addormentata così, per paura dei diavoli. Anche le altre educande e la stessa suora avevano avuto un brivido di paura e istintivamente si erano nascoste il capo, come se veramente avessero dovuto vedere la "brutta bestia".

Nonostante le preghiere, l'immagine del Crocifisso che pendeva sopra ogni letto, l'acqua benedetta che ciascuna aveva al capezzale, le reliquie e le medaglie che pendevano da ogni collo, la paura generata dai discorsi fatti e dalla vista delle fattucchiere staffilate perdurava in loro, ma ciò non tolse che il sonno si impadronisse di quei graziosi corpi.

Lentamente una finestra si schiuse senza fare rumore: un'ombra nera si sporse dentro la stanza e attese un minuto, come spiando; poi, quando fu sicura che tutto taceva e dormiva, spinse la vetrata e si lasciò scivolare dentro.

Un'altra ombra la seguì. Erano tutte e due nere e non appariva colore di volto; avevano i piedi nudi e camminavano senza fare rumore.

Si avviarono a un letto, sollevarono dolcemente le coperte e guardarono. Non sembrò loro quello che cercavano, e passarono all'altro: era quello di Violante. Si chinarono a guardare la fanciulla, e fecero un gesto, come per dire: "questa!".

Allora una delle ombre trasse dal seno qualche cosa come una sciarpa o un gran fazzoletto, l'altra rapidamente abbrancò la fanciulla con tutte le coperte e la sollevò fra le braccia. Violante, destata bruscamente, fece per gridare, ma il suo grido si spense subito, soffocato da un bavaglio che le chiuse la bocca: i suoi occhi, sbarrati per lo spavento, non videro nulla, perché aveva il capo ravvolto nelle coperte; le sue mani non poterono muoversi, perché strette fra due braccia che parevano una morsa.

La povera fanciulla fu invasa dal terrore. I diavoli erano venuti certamente a prenderla. Il terrore fu così grande che ella svenne.

Le due ombre si avvicinarono alla finestra: una per prima scavalcò il davanzale e scese: le sue mani ricevettero quel piccolo corpo inerte, che sparve nel buio e dietro ad esso sparve anche l'altra ombra.

Sebbene non avessero fatto il più lieve rumore, e questa scena si fosse svolta con una rapidità e una precisione straordinaria, una delle educande, forse per quelle vibrazioni dei sensi che ci sfuggono, ma che hanno la stessa energia delle impressioni coscienti, si destò e scostò la cortina del letto. Vide quell'ombra nera presso la finestra ed ebbe un senso di terrore superstizioso che le gelò il sangue, e le tolse la voce; tremando, con voce quasi spenta, piena di lacrime e terrificante, giunse a gridare:

"Signora madre!.. Signora madre! Gesù, Giuseppe e Maria! Signora madre!..."

La suora si destò, balbettando: "Che? Che cosa?..."

Ma la fanciulla non poteva più spiccicare parola: pareva che un nodo la soffocasse. Indicava verso la finestra e si segnava con la croce:

"Il diavolo!.. Il diavolo.." balbettò.

La suora ebbe paura. Aprì gli occhi, guardò intorno, non vide nulla; vide soltanto sulla parete un gran quadrato nero, ma nello smarrimento di quelle parole non capì che era la finestra aperta. Con uno sforzo, staccato il crocifisso dalla parete e levatolo in alto per far paura, se mai, allo spirito del male, raccomandandosi a Dio, recitando versetti, scese dal letto e, guardandosi intorno con spavento, si avvicinò alla fanciulla.

"Cosa c'è?" le domandò con voce quasi di pianto.

"La.. là.. il diavolo.. l'ho veduto!"

La suora guardò spaventata:

"Dov'è?.. Come?.."

Non osava avvicinarsi alla finestra. Le altre educande si erano svegliate: guardavano esterrefatte, non avendo ancora compreso di che si trattasse, ma intuendo che dovesse essere qualcosa di terribile, e non osavano muoversi. Qualcuno balbettava:

"Gesù! Gesù!.. Che cosa c'è?.."

Ora tutte stavano immobili per lo spavento, pallide, con gli occhi sbarrati, fissi in un punto, come in una aspettazione di terrore e stettero così un pezzo, borbottando preghiere. La suora domandò alla fanciulla:

"Che cosa hai veduto?.. Di'."

Ma l'educanda batteva i denti presa da un brivido nervoso e non potè rispondere; i suoi occhi guardavano la finestra spalancata. Chi l'aveva spalancata? Vento non ce n'era. Allora si accorsero del disordine che c'era nel letto di Violante; allo spavento si aggiunse lo stupore. Dov'era?

La chiamarono: "Violante! Violante!..."

Ma Violante non poteva rispondere; il letto era vuoto, senza coperte. Si guardarono tutte allibite, con un groppo di pianto nella gola.

"Violante!... Violante!... Violante!."

L'educanda che si era svegliata per la prima, balbettò:

"L'hanno portata via i demoni.."

Allora si levò un grido di terrore e di orrore e scoppiarono tutte a piangere. La suora prese un campanello e, suonando disperatamente, aprì la porta e uscì sul corridoio; le educande la seguirono: tutto l'educandato si svegliò; il corridoio si empì di fanciulle in camicia, coi piedini nudi, che si domandavano con voci di paura:

"Che cos'è? Che cos'è avvenuto?"

Temevano terremoti, incendi, un disastro; quando serpeggiò la voce che i diavoli avevano portato via Violante, scoppiarono pianti di terrore. Corsero al monastero, destarono la badessa e le suore.

"La reliquia!... prendiamo la reliquia."

La badessa prese una reliquia di Santa Rosalia: un ossicino invisibile attaccato a un pezzo di stoffa cremisi e chiuso in una ricca custodia di filigrana d'oro. Le monache accesero delle torcette, si misero in processione, e precedendo la badessa, recitando preci, per il cavalcavia passarono nell'educandato ed entrarono nella stanza.

Una suora, più coraggiosa delle altre, volse lo sguardo verso la finestra e vide le estremità di una scala; si affacciò, ed esclamò:

"C'è una scala!" "Una scala! una scala!.."

Accorsero tutte, monache ed educande, colpite da quella scoperta che improvvisamente sconcertava e disorientava il corso del loro pensiero e scuoteva la loro convinzione.

Una scala? Ma il diavolo non ha bisogno di scale, perché ha le ali di pipistrello: una scala non serve che agli uomini. Dunque Violante era fuggita!.. Si sentirono rinfrancate tutte; il terrore superstizioso svanì come per incanto; quale demonio!... la fanciulla aveva le traveggole.. Che ombre nere!... Violante era fuggita!... Un nuovo stupore, diverso dal primo, ma anche esso doloroso, successe allo spavento di prima. Tutte volevano vedere la scala.

La badessa ordinò: "Suonate le campane!.."

Dopo un istante nel silenzio della notte squillarono a distesa le campane: gli squilli si propagarono, destarono i vicini. Si aprivano balconi e finestre, si affacciavano volti paurosi e sospettando si guardavano, si domandavano:

"Che cos'è?..."

"Dov'è?.."

"Suonano le campane di Montevergini."

"Ladri?"

"Fuoco?"

Le monache dei vicini monasteri del Salvatore e del Cancelliere, destate da quello scampanio, non sapendo che cosa fosse accaduto, cominciarono anche loro a suonare a distesa; la città si svegliava sorpresa, atterrita, accorrevano cittadini armati, mezzo vestiti, accorrevano guardie; il piccolo piano di Montevergini si empì di gente che si addensava intorno alle porte della chiesa e dei parlatori, stupita dal non vedere nessun indizio di fuoco, nessuna porta scassinata. Dal monastero uscì una voce:

"Dal giardino!.. una scala nel giardino!."

Tutta quella folla girò dal vicoletto adiacente alla chiesa, dove era un piccolo parlatorio; altri penetrarono nel vicolo di S. Biagio, salirono in case private, per cercare di penetrare nel giardino. Una voce gridò a un tratto:

"Di qui! è qui!"

"Cosa? Che cosa?"

Si trovò un chiassuolo, che dal vicolo S. Biagio correva verso l'edificio di Montevergini, una porticina aperta, oltre la quale si scorgeva qualcosa che rassomigliava a delle piante. Impugnando le armi, muniti di lanterne, i più animosi si spinsero avanti e attraverso un andito sbucarono nel giardino dell'educandato. Evidentemente delle persone erano entrate di là. Ai primi entrati altri seguirono; il giardino fu invaso da una folla che si diede a frugare per ogni dove, tra i cespugli, in mezzo agli alberi, negli angoli: giunsero così alla scala appoggiata al muro, della quale si erano serviti i rapitori di Violante.

Ai piedi della scala c'erano le coperte del suo lettino.

La scoperta era di tale evidenza che tutta quella gente, la quale credeva di doversi da un momento all'altro trovare in presenza di uomini armati, rimase scontenta; poi prese la cosa a ridere, cominciò a malignare, a sghignazzare, non senza una punta di irriverenza verso il monastero.

"Una monaca è fuggita!.." "è fuggita una monaca!"

"È fuggita con lo zi' monaco."

"Zi' monaco e zi' monaca!"

"E ci hanno svegliato per questo?.."

"Teste "infasciate"!..."

"Che se le pigli il diavolo!"

Volò qualche mala parola; poi un fischio, un altro; il giardino si tramutò in un paretaio assordante: urli, fischi, dileggi che facevano tremare l'edificio. Le suore e le educande ebbero paura, sprangarono le porte, temendo di sentirle cadere da un momento all'altro sotto i colpi di quella moltitudine che, accorsa per difendere il monastero, si tramutava a un tratto in un'orda indispettita e insolente.

E fu una fortuna che i parenti delle suore e delle educande, destati dallo scampanio, presi dall'apprensione, accorsero coi servi e coi vicini e poterono liberare il monastero, non senza fatica e un po' con la violenza, da quella folla che già cominciava a scaldarsi e a prendere gusto al giuoco.