Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte terza, capitolo 4

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Blasco passò il resto della notte al capezzale della fanciulla tenendole le mani. Ella aveva voluto che il suo salvatore le rimanesse lì accanto: gli aveva preso le mani e si era rannicchiata nel letto così che il suo capo si trovava quasi a contatto con l'omero di Blasco. E si era addormentata così; la stanchezza, le emozioni terribili di quella notte l'avevano prostrata. Ora, nel sonno, una febbre gagliarda le accendeva il sangue e le tempestava le arterie. Più volte Blasco aveva tentato di uscire dalla stanza, ma Violante, destata all'improvviso, lo aveva stretto per le mani, mormorando:

"No, no.. ho paura!..."

Era visibile. Durante il sonno la povera fanciulla sobbalzava sul letto con forti scosse e balbettava parole incoerenti e incomprensibili. Blasco la vegliava, guardandola con una premura affettuosa, con una tenerezza che lo commoveva e lo induceva quasi a lacrimare. Ora egli la riconosceva e ricordava quel pomeriggio, nel quale, presso quello stesso ponte dove l'aveva salvata, egli l'aveva veduta passare, nel suo abito nero di educanda; e i grandi occhi neri e la bocca ridente gli erano rimasti incancellabili nella memoria. E non sapeva chi fosse. Eccola adesso lì, accanto a lui con le mani strette nelle sue, in sua balia; e ne osservava l'ovale puro e pallido come avorio, soffuso di quell'aria di sofferenza che spesso dà un sapore ineffabile a un bel volto. La camicia troppo grande le scopriva il collo fino alla gola ed egli vedeva la pozzetta della gola pulsare ritmicamente.

Capricci del destino! La visione di un attimo gli giaceva accanto e non doveva che chinarsi, perché diventasse cosa sua. Forse questo pensiero dovette attraversargli la mente; qualche cosa gli piegò il capo fin quasi alla bocca fiammeggiante della fanciulla e fu sul punto di sfiorarla con la sua, ma un tremore improvviso, il rimorso quasi di profanare quelle labbra ancora acerbe e ignare, di violare ciò che ancora l'innocenza e la tenerezza degli anni rendeva intangibile, di mancare a quel rispetto pieno di riserbo, che la condizione sua gli imponeva verso chi, con la inconsapevolezza dell'innocenza, gli si affidava, tutto ciò lo arrestò e lo fece arrossire di vergogna. E lo rivelò a se stesso.

Con un senso di sgomento, egli si domandò: "Amerei dunque questa bambina?".

Violante gli apparve ora sotto un aspetto nuovo e una folla di sentimenti nuovi irruppe, come un branco di puledri, ai quali improvvisamente si apre la stalla, che precipitano galoppando e si diffondono per la campagna. Le scelleratezze del duca, la giustizia della causa per cui combattevano i Beati Paoli, tutto si dileguò dall'anima sua, per non rimanervi che un pensiero, questo: "Perché essi colpivano quella innocente?" e un sentimento: l'odio. Egli poteva capire la guerra incessante, acerba, feroce contro don Raimondo, non capiva che, non giungendo al padre, si dovesse immolare quella povera creatura senza difesa.

Senza difesa? E non c'era lui, adesso? Dio, la provvidenza, il destino, non l'avevano guidato quella notte, su quella strada, in quell'ora per liberare la fanciulla da chi sa quale tremenda vendetta?

Da tre mesi circa egli aveva errato per le montagne, nascondendosi, per evitare di essere arrestato. La sua fuga aveva sollevato troppi clamori per poterla dimenticare, o per non curarsene e il marchese di San Tommaso aveva impartito ordini rigorosi perché Blasco fosse arrestato. Veri eserciti di birri e di soldati di fanteria e drappelli di cavalleria e compagnie rurali erano stati inviati per ogni dove, per dare la caccia al giovane cavaliere, diventato per causa degli eventi un personaggio pericoloso. Non era già che tale lo stimasse il marchese, ma egli sentiva una sorda gelosia per quel giovane che, forse, aveva avuto tutta la passione di donna Gabriella, e forse ancora ne occupava il cuore. Donna Gabriella era rimasta soddisfatta in cuor suo della fuga di Blasco, ma non aveva osato mitigare i rigori della giustizia, per non destare sospetti, e per sostenere la sua parte, cosa della quale veramente si doleva e provava una specie di rimorso.

Le guardie del corpo s'erano dolute di quel rigore, e ne avevano fatto rimostranza al loro capitano, marchese di Tournon, ma invano. Il marchese di S. Tommaso rispose al capitano che negli affari della giustizia di sua maestà le signore guardie non avevano nulla a vedere. La risposta irritò le guardie: Champ-aux-arbres, che era l'architetto dei tentativi e delle manifestazioni in favore di Blasco, disse:

"Parola d'onore che mi ci metterò per puntiglio!"

Andò al fondaco dove Blasco aveva preso stanza e vi trovò ancora il cavallo e la roba. Il fondacaio si dolse che aveva fatto delle spese e offerse il cavallo al giovane gentiluomo; ma questi, senza rispondergli, pagò il debito e portò via il cavallo e la roba, non parendogli quel fondaco degna stalla per un animale così bello e gagliardo. Disse al fondacaio:

"Se mai il signore verrà per riprendere il cavallo, ditegli che l'ho prelevato io, visconte di Champ-aux-arbres, e che glielo porterà dove egli vorrà."

Queste cose Blasco seppe due giorni dopo, di notte, dal fondacaio, dal quale si era recato nascostamente per riprendere il cavallo; egli ritenne le parole del visconte come un invito a battersi, come una sfida. Sospettò un tranello, ma cacciò via il sospetto e, senza dare la risposta al fondacaio, pensò di servirsi di qualche capraio, di quelli che al mattino conducevano le capre in città per la vendita del latte. E la mattina dopo Champ-aux-arbres riceveva un biglietto con un appuntamento: "Dietro il castello di Bauso a quattordici ore, domani".

Blasco vi si recò un po' prima; poco dopo l'ora assegnata vide un cavaliere venir galoppando e traendosi dietro un altro cavallo: era il suo.

Gli pareva di rivedere un amico. Il cavaliere era il visconte di Champ-aux-arbres. Senza smontare, porse le redini dell'altro cavallo a Blasco, dicendogli:

"Signore, io e i miei compagni siamo addolorati di quello che vi è avvenuto e avremmo voluto giovarvi, perché coi cavalieri pari vostri le faccende non si aggiustano con gli uomini di toga. Non mancherà tempo per tagliarci la gola, quando potremo farlo liberamente. Ora ho voluto avvertirvi di non farvi vedere e di mettervi in salvo, perché siete ricercato. Ho creduto doveroso avere cura del vostro cavallo e condurvelo. Addio."

Blasco sorpreso, stupito, commosso lo fermò, gli stese la mano e rispose:

"Voi siete un cuore generoso, e mi legate a voi con la gratitudine; permettete che vi abbracci..."

Il visconte aggrottò le sopracciglia, stette un po' in forse e disse:

"Certo non dite questo per paura... voi siete un eroe antico."

E smontato, lo abbracciò con effusione; indi lo respinse:

"Su, montate in sella e partite. Se viaggiando passerete per la Savoia, e nessuno ancora mi avrà ammazzato, venite a trovarmi al castello di Champ-aux-arbres!"

Saltò in sella, gli fece un gesto di addio, e volò come un lampo. Blasco aspettò che dileguasse; aveva gli occhi umidi e il cuore gonfio di commozione. Accarezzato il cavallo, constatato con piacere che nelle bisacce v'era tutta la sua roba, e v'erano munizioni da fuoco, e che le pistole e il fucile erano carichi, montò e prese la via dei monti. Da quel giorno visse errando di qua e di là per i feudi; raccogliendo notizie che lo costringevano a cercare nascondigli e ad allontanarsi dalle città demaniali e dalle grosse terre feudali. Erano stati ritrovati i quattro compagni d'arme, qualcuno dei quali ancora vivo aveva raccontato a suo modo che erano stati assassinati da un cavaliere e da un abate che andavano a Messina e che essi accompagnavano. Non fu difficile identificare i due presunti rei, onde accampare nuove ragioni di ricerche e di persecuzioni, per vendicare i loro compagni: e Blasco si sentiva cinto di insidie e di minacce. Egli provvedeva alla sua sicurezza chiedendo la notte, quando ne incontrava, ricovero nei conventi, i quali, come luoghi sacri, erano inviolabili e godevano del diritto d'asilo, ovvero dormendo nelle capanne dei pastori, in qualche masseria perduta nella vastità dei feudi deserti e incolti.

In quel vagare da un luogo all'altro seppe, quindici o venti giorni dopo, che il re era partito; e allora pensò che il pericolo maggiore era cessato, giacchè allontanandosi il marchese di S. Tommaso, suo principale nemico, veniva a mancare lo stimolo, e la giustizia rientrava nelle sue abitudini di tiepidezza, lenta e indolente.

Fra questo errare, guadagnando cammino di paese in paese, egli era giunto a Caccamo. Dove poteva stimarsi più sicuro, se non presso il buon padre Bonaventura? Il padre era gravemente ammalato e i medici disperavano di salvarlo. Il convento ne era angustiato. Blasco vi giunse in buon punto per sollevarne le forze. Egli si pose al suo capezzale e volle assisterlo, parendogli così di ricambiarlo in qualche modo di quanto il frate aveva fatto per lui bambino. Egli stette più di venti giorni nel convento di Caccamo e potè avere la consolazione di compiere il pio ufficio di chiudere gli occhi al frate. Padre Bonaventura morì il 18 ottobre, serenamente, senza lamentarsi di nulla.

Baciò e benedisse Blasco, che piangeva, e gli disse:

"Ricordati di quel che ti ho detto..."

Blasco assistette alle esequie e al seppellimento; si trattenne ancora qualche giorno in convento, indi partì per Palermo, a piccole tappe, viaggiando di notte per non incontrare le guardie e i soldati rurali, e preferendo i viottoli. Così quella notte, alle porte della capitale, attraversando il ponte dell'Ammiraglio, egli aveva potuto impedire il rapimento dì Violante e liberarla.

Tutta questa storia gli passava rapidissimamente per il cervello, in una successione di quadri, mentre guardava la fanciulla che il caso gli poneva fra le braccia; poi a poco a poco anche lui cedette al sonno e, appoggiato il capo sul guanciale, così che i suoi capelli si confondevano con quelli di Violante, e la sua guancia avvertiva il calore febbrile del volto della fanciulla, si addormentò in una specie di dolce sopimento.

La luce del sole, entrando dalla finestra e saettandogli gli occhi, lo destò. Nell'aprire gli occhi vide su di sè sospesi e intenti, gli occhi grandi e lucenti di Violante. La fanciulla svegliatasi prima, febbricitante, s'era sollevata a mezzo il letto e contemplava con un vivo compiacimento il giovane che dormiva, sentendosi fluire nella anima una specie di consolazione. Oh! come era bello! e come era valoroso!. Ma Blasco aprì gli occhi, ella arrossì e si vergognò; si ricacciò sotto le coperte, nascondendosi e non osando ricomparire. Blasco sorrise, ma non volle turbarla con domande imbarazzanti.

"Ora manderemo dalla signora duchessa, perché venga a prendervi con una lettiga. Siete contenta?..."

Violante fece un segno di sì; ma pensò quasi subito e non senza rammarico, che andando via con la matrigna, non avrebbe più veduto Blasco e invece lei era così contenta di vederlo e di sentirselo vicino!...

Dopo un po' di tempo, ella sollevò il capo. Blasco era caduto in una profonda malinconia e teneva gli occhi fissi a terra, senza vedere nulla. Violante lo chiamò timidamente con un tremore nella voce:

"Signor Blasco... ho sete..."

Egli si riscosse. Andò a prendere un boccale e lo porse a Violante, che bevve avidamente.

"Grazie, signor Blasco!... Oh, quanto vi devo... quanto vi devo!..."

"Che cosa dite! Forse sono io che..."

Non osò terminare: un fiotto di rossore gli imporporò il volto e il cuore gli picchiò violentemente. Violante aspettava ancora che egli finisse la frase, ma Blasco scosse la testa e aggiunse:

"Sono uno sciocco, scusate. Ma quanto a voi non mi dovete proprio nulla, bambina mia!... Pensiamo a voi. Credo che abbiate un po' di febbre.. Datemi il polso."

Ella tirò fuori un braccio, che Blasco tastò con viva ansia, contando le pulsazioni.

"Sì, sì; c'è un po' di febbre, ma è cosa da nulla. Lo spavento.. Ne avete avuto, non è vero?..."

"Oh, molto... ne morivo!... Vi ha mandato il Signore!... Come avrei fatto senza di voi?..."

Non soltanto lei, ma anche Blasco rabbrividì all'idea di ciò che sarebbe potuto avvenire.

"Povera fanciulla!" mormorò. "Ma adesso non abbiate paura; veglierò io sopra di voi..."

"Oh come sono contenta!..."

Ma improvvisamente, come ricordandosi, Violante domandò:

"Perché mi dissero che eravate morto?"

"Chi ve lo disse?"

"La mamma..."

"La duchessa?"

"Sì..."

"Quando?"

"Una mattina, al parlatorio; io le dicevo di avervi incontrato vicino al ponte... Vi ricordate quel pomeriggio, quando noi tornavamo da Bagheria?... Io vi sorrisi...."

"Oh, se me ne ricordo!" sospirò Blasco; "non vi conoscevo, perché non vi avevo veduta mai, ma i vostri occhi e il vostro sorriso non li ho dimenticati più."

Violante arrossì; sentì a quelle parole un rimescolio e poi un illanguidimento del suo cuore in una gioia nuova e conturbatrice. Blasco le domandò:

"E così la duchessa vi disse che io ero morto?"

"Sì... anzi ucciso!... E non è vero; perché siete qui!... e non è vero affatto che voi siete cattivo, perché mi avete salvata..."

"Ve l'ha detto la duchessa ch'io sono un uomo cattivo?"

Violante esitò un istante, e finì per dire di sì.

"Proprio... Perché poi mi ha detto questo?"

"Ma... per scherzo, forse..."

"Oh no, non scherzava. La mamma anzi pareva in collera e mi rimproverò."

Blasco la guardava con stupore.

Quelle rivelazioni gli riuscivano inconcepibili. Cercò di andare più in fondo, ma Violante non sapeva più nulla e d'altra parte o per la febbre o per la commozione o per la spossatezza, ella sentiva un gran peso agli occhi e li chiuse, assopendosi a poco a poco.

Blasco allora si alzò, attraversò la stanza in punta di piedi e andò a chiamare il curatolo.