Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte terza, capitolo 5

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Donna Gabriella stava per mettersi a letto, quando sul guanciale del suo letto in ferro battuto a fogliami elegantissimi vide un pezzetto di carta. Presolo e svoltolo con una certa trepidazione, vi lesse con stupore queste poche parole.

"Occhio per occhio, dente per dente; le colpe dei padri cadranno sopra i figli. Scrivete questo a vostro marito".

Il senso di queste parole le parve incomprensibile, ed ella rimaneva pensierosa e sospettosa, quando la sua cameriera si precipitò nella camera, gridando spaventata:

"Eccellenza! Eccellenza! quale sventura! quale disgrazia!"

Donna Gabriella, atterrita dall'improvvisa irruzione, dall'aspetto e dal grido, esclamò tremante:

"Che cosa è accaduto?... Mio Dio! Che cosa?..."

"Hanno rapito la signorina!...."

"Violante?...

"Donna Violante!... Eccellenza, sì, l'hanno rapita!..."

"Violante?!... Come?... Chi?... Chi l'ha detto?"

"È venuta la "mamma" del monastero... Or ora... È ancora di là..."

"Fatela venire!... subito!... Voglio sapere!..."

Era convulsa e non sapeva che pensare; quella notizia la empiva di sgomento, la sconvolgeva. Entrò la fattora del monastero di Montevergini, anche lei sossopra, e fra i singhiozzi confermò quanto aveva detto la cameriera, narrando a balzi, a frasi interrotte quanto si diceva o si supponeva nel monastero. La fanciulla era stata portata via da gente penetrata dal giardino: era accorsa mezza Palermo: che spavento! che spavento!

Donna Gabriella non sapeva che dire, si alzava, sedeva, passeggiava, mormorando:

"Dio mio! che fare?... Che fare? Dio mio!... Quale disgrazia!... Ma chi? Chi?..."

Gli occhi le caddero sulla lettera, e un rimescolio le fece rizzare i capelli sul capo: quella lettera era la chiave del mistero. I Beati Paoli compivano un gesto audacissimo per rappresaglia, e questo rendeva più terribile la condizione delle cose. Dov'erano? Come colpirli? Come liberare Violante?

"La mia portantina!" ordinò.

"Vostra Eccellenza che cosa vuol fare?" domandò la cameriera.

Ma la duchessa ripetè più imperiosamente:

"La portantina!"

Venti minuti dopo giungeva al monastero nel momento che la folla ne usciva fischiando e schiamazzando e lanciando frizzi alla "zi' monaca scappata con lo zi' monaco".

La badessa, le suore, le maestre delle educande l'accolsero con le lacrime agli occhi: nessuna sapeva darsene ragione: la badessa pareva inconsolabile; un monastero che godeva tanta buona riputazione!... dove non era mai accaduto nulla di simile! Sì, era vero, di fughe, di rapimenti ne accadevano; educande che prendevano il volo ce n'erano sempre, e anche qualche monaca professa!... Ma a Montevergini!...

Ah! era una sventura per il monastero! Questo era il maggior dolore. Donna Gabriella raccolse le notizie che potè, comprese che non aveva nulla da fare, e se ne andò.

"Al palazzo reale!" ordinò ai servi.

Che cosa voleva fare? Destare il Vicerè? Mandare le guardie in cerca dei rapitori? Chiamare sotto le armi la cavalleria? Non lo sapeva: ricorreva al Vicerè come al capo dello Stato, a colui che poteva tutto. Ma il Vicerè a quell'ora dormiva; le porte del palazzo erano chiuse, la sentinella non permise che si picchiasse. E poi, quella non era ora di udienze; sua Eccellenza il conte Annibale Mattei, vicerè di Sicilia in nome di sua Maestà Vittorio Amedeo, aveva prescritto i giorni e le ore di udienza; e non si derogava. Poteva rovinare il mondo; se dal regolamento non era previsto, nessuno si sarebbe scomodato. Tutta la disciplina amministrativa consisteva principalmente in questa rigida e pedantesca osservanza del regolamento, che fu, ed è ancora, il glorioso panache di ogni amministrazione e di ogni amministratore o capo di uffici piemontese.

Donna Gabriella dovette tornarsene a casa, con l'animo agitato, amareggiato, convulso, e passò tutta la notte senza poter dormire, tormentata da mille torbide visioni. Il racconto mutilo e alterato fattole dal marito, sulla origine della persecuzione dei Beati Paoli e sulle accuse cui era fatto segno, le ritornava alla mente, le ridestava sospetti e dubbi, le metteva nel sangue una specie di orrore e di terrore. Era evidente che il ratto era una rappresaglia: Violante pagava, forse, per quel bambino sparito, morto, forse assassinato, appena affacciatosi alla vita? Ma chi poteva avere interesse a questa tarda vendetta? O pagava, come le pareva più probabile, per la famiglia dell'Ammirata, il cui nipote gemeva nelle segrete di Castellamare, e la moglie era stata suppliziata in quel modo ignominioso?

Doveva essere così. Ma perché lo Ammirata s'era fatto il vendicatore di quella duchessa e di quel bambino spariti da sedici anni? Mistero!... Intanto era una guerra implacabile, terribile, alla quale, ora che il marito stata lontano, ella si trovava esposta e trascinata.

Passarono così le prime ore del giorno, quando giunse il curatolo spedito da Blasco.

"Ho una notizia importante da dare a sua Eccellenza, a lei sola," disse.

La duchessa che stava in continue apprensioni ordinò subito che fosse fatto entrare.

"Ebbene, buon uomo, donde venite?"

"Dalla Grazia, Eccellenza..."

"E avete notizie da darmi?"

"Eccellenza, sì..."

"Parlate, dunque..."

"Vostra Eccellenza ordini una carrozza, per venire a prendere la signorina.."

"Violante!" gridò la duchessa balzando in piedi e con gioia indicibile; "Violante!..."

"Eccellenza, sì..."

"Ma come! Dite?.."

"Io non so nulla, Eccellenza, Mi è stato detto di venire qua e avvisare vostra Eccellenza che la signorina è sana e salva per miracolo di Dio e della Bella Madre della Grazia!..."

Donna Gabriella si sentiva pungere da mille domande che si accavallavano, urgevano, si addensavano, tormentandola in mille guise; afferrò il campanello e suonò furiosamente:

"La lettiga grande, con le mule" ordinò, "e gli uomini di scorta subito!..."

Con una fretta convulsa si gettò sulle spalle un mantello, si pose in testa uno di quei cappellini a tre punte, sormontati da bianchi pennacchi, che la moda aveva allora introdotto, e ordinò:

"Andiamo!"

Un servo gallonato si presentò sulla soglia, inchinandosi, e le porse il braccio col gomito sporgente. Donna Gabriella appoggiò la mano su quel braccio e scese giù per la grande scala marmorea, ai piedi della quale si trovava la lettiga caricata su due muli impennacchiati, e dietro a essa due servi a cavallo, armati di archibugio e di pistole.

Per tutto il palazzo s'era diffusa la notizia che si era trovata la duchessina e che la padrona andava a riprenderla, e tutta la servitù si affollava piena di interesse, su per la scala, per la ringhiera della corte, accompagnando la duchessa coi voti e col desiderio.

La lettiga uscì. Il curatolo, che era venuto a cavallo, andava accanto allo sportello, per rispondere alle domande di donna Gabriella. Il tintinnio delle sonagliere faceva voltare la gente, che riconoscendo la duchessa la salutava:

"Schiavo di vostra Eccellenza..."

Anche per la strada si spargeva la notizia che la duchessa andava a prendere la figliastra e le popolane, salutandola, aggiungevano:

"La Bella Madre del Lume la possa aiutare!"

Il corteo uscì dalla Porta di Ossuna, costeggiò le mura della città ed entrò in campagna. Donna Gabriella trovava le mule un po' lente, ma in verità le povere bestie, sollecitate dai lettighieri andavano a passo svelto. Certo non potevano trottare, perché sarebbe stato lo stesso che sballottare donna Gabriella fra le pareti della lettiga.

Era già passato mezzodì, quando giunsero dinanzi al cancello.

"È qui," disse il curatolo, smontando e spingendo il cancello.

Donna Gabriella volle smontare e percorrere il viale a piedi; quando fu presso la casa, gridò:

"Violante!... Violante!..."

E una voce piena di gioia le rispose: "Signora madre!..."

Donna Gabriella se la vide venire infagottata nel mantello, fermato ai fianchi da una cinghia di cuoio, e con le braccia perdute in due ampie maniche turchine, ma ella non si accorse di questo strano abbigliamento, stringendo in quel punto la figliastra con una commozione sincera, che le toglieva anche la parola.

Dopo quel momento nel quale pareva che quei due cuori, liberi da ogni spavento si confondessero, la duchessa sedette sopra un sedile di pietra e guardò con stupore la figliastra:

"Oh, come sei buffa!" esclamò, "come mai ti sei acconciata così?"

"Se vostra signoria sapesse, signora madre!"

"Ma su, raccontami dunque come è andata, come sei qui, perché sei vestita in cotesto modo."

Violante le sedette a fianco e si passò le mani sul volto, come ripresa dallo spavento del pericolo corso.

"Ah, signora madre, che terrore! che terrore!... mi viene da morire al solo pensarci!... è stato un miracolo, proprio un miracolo!... Perché certamente è stato il buon Dio a mandarlo.."

"Mandare chi?"

"Il mio liberatore... lui..."

"Lui?... Ma chi?..."

"Oh, non gliel'ho detto? Sono una stordita! e glielo avrei dovuto dire prima, per ringraziarlo!.. Chi mi ha liberato dai miei rapitori, è stato lui, il signor Blasco da Castiglione..."

"Blasco da Castiglione?!... Lui!..." esclamò donna Gabriella balzando in piedi, con una espressione nella quale si fondevano e tumultuavano mille sentimenti opposti e cozzanti: "Blasco da Castiglione... e tu?"

Una folla di pensieri e di sospetti le invaso il cervello, le annebbiò il sentimento, le turbò l'animo: come mai il giovane si era trovato lì per salvare Violante dal pericolo? Non era per caso quell'intervento improvviso e miracoloso una cosa preparata? Dov'era egli?...

"Racconta dunque," le disse con voce tremante: "racconta!..."

Violante le narrò quella sua prima e spaventosa avventura con quella vivacità, quel calore proprio dell'adolescenza, esagerando anche, se era possibile, il pericolo corso, le sue impressioni, la bellezza del gesto eroico del giovane salvatore. Donna Gabriella la ascoltava, ma l'anima sua non seguiva tanto i pericoli, le ansie, i tremori, lo spavento della figliastra, quanto le parole che si riferivano a Blasco. Quando la fanciulla terminò il suo racconto, con l'arrivo in quella casa e col suo travestimento, donna Gabriella le domandò:

"E poi?"

"E poi?... poi mi sono addormentata."

"E il signor Blasco?"

"Ah! il signor Blasco, poverino, mi ha vegliato tutta la notte. E forse per questo ho potuto dormire..."

"E poi?"

"E poi nulla... È venuta vostra Eccellenza..."

"E... non t'ha detto nulla il signor Blasco? Nessuna parola?"

"M'ha fatto coraggio, certamente."

"Non dico questo... dico se t'ha detto qualcuna di quelle parole che gli uomini sogliono dire alle donne.."

"Che parole, signora madre?"

La duchessa si morse le labbra. L'ingenuità della figliastra la sconcertava: era una finzione? Stette un po' in silenzio, tormentata da un pensiero occulto.

Violante sorrise con malizia, allora, e disse:

"Vostra Eccellenza mi aveva detto che il signor Blasco era stato ucciso... e invece!"

Donna Gabriella non rispose; forse non ricordava neppure di avere inventato quella frottola. Violante, con lo stesso sorriso e con un tono che voleva esprimere incredulità e ad un tempo rimprovero, aggiunse:

"E mi aveva detto anche che egli era un uomo cattivo... mentre è così buono!"

La lode scosse la duchessa che, quasi seguendo il suo pensiero, le domandò bruscamente:

"E... stanotte egli è stato sempre accanto a te?"

"Sempre!" rispose Violante con intensità.

"E non ti ha fatto nulla?"

"Che cosa?"

"Non ti ha carezzato?"

Violante arrossì fino agli occhi, e rispose: "No, signora madre."

Donna Gabriella la guardò incredula, e forse interpretò quel rossore a suo modo; pallida, con voce soffocata dalla gelosia, dalla collera, le domandò:

"E ora dov'è il tuo salvatore? Bisogna che io lo ringrazi."

"Credo sia di là... egli ha soggezione credo... non vuole essere ringraziato, me l'ha già detto; ma io lo chiamerò... Sì, è giusto che anche lei, signora madre, gli dica qualche parola... Se lo merita!"

E alzatasi, fattasi ai piedi della scala esterna, che si elevava lungo il muro, chiamò:

"Signor Blasco!... signor Blasco!..."

Blasco da Castiglione apparve sull'alto della scala. Era lievemente pallido e sorrideva. Fece un inchino alla duchessa e scese con premura la scala; donna Gabriella lo guardava, dominando la sua commozione, ma non così da impedire al suo volto di diventare dapprima rosso, poi pallido, e alle sue narici e alla sua bocca di non tremare. Diritta, bella, in un atteggiamento che voleva esprimere riconoscenza ed esprimeva invece dispetto, sdegno, collera, gelosia... ella dimenticò di porgere la mano a Blasco, che le si era inchinato un'altra volta, e balbettò una parola di ringraziamento:

"Vi sono grata, signore, di quanto avete fatto, e ne scriverò al duca mio marito."

Le sue parole erano così glaciali, che Blasco ne rimase stupito; nondimeno rispose:

"Oh, signora duchessa, se mai ho potuto rendervi qualche servizio, è piuttosto un ricambio, che non uguaglia il benefizio ricevuto... Sono io che vi devo molto, e ringrazio Iddio che mi ha dato l'occasione di potervi esprimere la mia riconoscenza.."

Tacquero ambedue, imbarazzati; donna Gabriella per tormento della sua idea fissa, Blasco per quell'accoglienza così fredda e quasi astiosa della quale non indovinava le ragioni. Egli sperava di essere accolto con cordialità e di potere stringere con donna Gabriella un legame di dolce amicizia, fondato sopra una muta gratitudine, e vi si sentiva portato, ora che egli era in possesso di quelle carte, per quell'istintivo impulso del suo cuore che lo spingeva a difendere i deboli e a prendere le parti di coloro che erano minacciati da un grande pericolo. Sentiva che i Beati Paoli, non avendo potuto o non avendo osato colpire don Raimondo, volevano compiere la loro vendetta sopra quelle due donne innocenti di ogni colpa, estranee ai delitti del duca, indifese; e gli pareva suo stretto dovere di proteggerle e difenderle. Ma la freddezza di donna Gabriella lo sconcertava. Era dispetto per averla abbandonata? Era odio? No: non poteva essere odio, perché altrimenti lo avrebbe lasciato morire nelle carceri. Che cosa era dunque? Blasco non aveva l'occhio acuto, e d'altra parte non poteva concepire che la duchessa sentisse gelosia della figliastra; Violante era quasi una bambina e se egli provava per lei un sentimento di viva simpatia e di tenerezza, non poteva ancora dire di amarla, perché quella fanciulla gli sembrava ancora così acerba, che temeva di profanarne il candore e l'inconsapevolezza, amandola di amore. E così il suo sentimento si colorava di una riserbatezza, di un rispetto, di una religiosità, che lo inebriavano quasi, e gli infondevano una gioia pura e profonda. Non sospettava dunque che donna Gabriella potesse essere gelosa.

Ma lei si sentiva mordere l'anima. L'amava: l'amava sempre con tutti gli impeti di una passione, che l'orgoglio, l'amor proprio, il dispetto, la reazione della vendetta respingevano e volevano mascherare d'odio. Aveva quasi armato il braccio del principe di Iraci, era vero, ma appunto perché la passione la bruciava. Il desiderio di vendicarsi nasceva dall'abbandono. Il tentato assassinio e il pericolo di morte le avevano quasi cancellato dal cuore ogni sentimento di odio e vi avevano lasciato un dispetto collerico e un desiderio rabbioso: s'era sentita, quasi senza volerlo, trasportata a proteggerlo dalle insidie. E questo sentimento si era fatto più forte. A Messina aveva capito che se Matteo Lo Vecchio aveva tentato di avvelenare Blasco era stato certo per incarico di don Raimondo e questo l'aveva indotta a tacergli di aver veduto il giovane e di averlo salvato dalla morte. Ella si era sentita quasi felice nel saperlo anche libero: forse nel suo cuore rinasceva qualche lontana speranza; forse qualche sogno aveva aleggiato nelle notti entro il suo capo; forse, quando la ripugnanza della sua complicità col marito le aveva tormentato l'anima, ella aveva mirato al giovane come a una liberazione... Ecco ora che un nuovo pensiero veniva a destarle le fiamme della gelosia; la sua mente sospettosa aveva sprofondato lo sguardo nell'intimo del cuore della fanciulla, e vi aveva veduto scolpita l'immagine di Blasco. Nella sua fantasia vedeva ora scene ed episodi che l'empivano di dolore e le gonfiavano gli occhi di lacrime cocenti. Ella sospettava, anzi era certa, che fra Blasco e Violante fossero corsi ben altri rapporti che non quelli fraterni e innocenti che apparivano dalle parole della fanciulla. L'acre desiderio di investigare, di sapere, le pervase il sangue; fissò gli occhi sopra Blasco come per scoprire sul suo volto le tracce di una notte di amore. E non vide nulla; ma non si rassicurò.

"Va' su," disse a Violante, "e procura di mettere un po' d'ordine nel tuo abbigliamento. Bisognerebbe provvederti di vesti... Certo non puoi rientrare in città così vestita.."

Chiamò il curatolo.

"Ci sarà nei dintorni qualche casa di contadini e ci saranno donne. Eccovi del denaro. Procuratemi delle vesti pulite.."

Il curatolo partì. Donna Gabriella, rimasta solo con Blasco, incrociò le braccia e, guardatolo con occhi sfavillanti, disse:

"Signore, voi non penserete che io sia così sciocca da credere al racconto di Violante."

"Come, signora duchessa?..."

"Dico, signore, che il vostro intervento così opportuno e miracoloso dà tutto l'agio di supporre, anzi di credere, che voi non siate del tutto estraneo al ratto di Violante."

"Signora duchessa!" esclamò Blasco col volto in fiamme; "io non credo che ci sia un atto nella mia vita che vi dia facoltà di pensare una simile malvagità..."

Donna Gabriella non mosse palpebra.

"E vano scaldarsi: tutto è contro di voi. So che non da oggi avete posto gli occhi sulla figlia del duca della Motta!..."

"Io?... Duchessa, ma che dite mai? Ma davvero volete supporre..."

"Magari fosse supposizione!...." gridò disperatamente donna Gabriella, lasciando libero il varco alla gelosia.

Quel grido fu una rivelazione. Blasco sentì intiepidire il suo sdegno e disse con voce più mite:

"Signora, su che cosa volete che io giuri?... ecco" trasse dal petto una medaglia d'argento e con voce commossa, aggiunse: "Questa medaglia d'argento è l'unico retaggio che mi lasciò mia madre, ed è per me la reliquia più sacra; ebbene, vi giuro su questa medaglia benedetta che io non conoscevo prima d'ora la duchessina, che sono del tutto estraneo a questo rapimento scellerato, che soltanto il caso o la fortuna mi hanno condotto ad impedire un delitto!..."

Donna Gabriella non parve rassicurata; in fondo, a lei non importava tanto se Blasco avesse avuto o no parte nel rapimento, nè se egli avesse relazioni coi Beati Paoli. Quello che le importava, che la tormentava, era il convincimento che Blasco amasse Violante. La visione dei due giovani stretti in un amplesso, congiunti in un bacio, ebbri di una gioia che lei aveva conosciuta e della quale aveva ancora l'arsura, le si offerse dinanzi agli occhi.

"Negate," disse con voce alterata; "negate di avere avuto... di avere passata la notte... di avere abusato della vostra posizione!... Negate anche questo, se potete!..."

"Ma sì, lo nego! Nessuna sorella è mai stata così sicura accanto al fratello, nessuna figlia ha potuto mai. dormire con tanta fiducia fra le braccia della madre, come donna Violante, stanotte, in questa casa, e accanto a me. Blasco da Castiglione, signora, non ha nessuna arme di famiglia, come non ha cognome, ma egli può scrivere sulla sua fronte, come il cavaliere Bavard: "Senza macchia e senza paura".

Donna Gabriella non si arrese, ma continuò con voce cupa di gelosia:

"Violante è così bella!.."

"Sì... è bella!."

"È così seducente..."

"Sì..· è seducente!"

"Tutta la sua persona è un incanto..."

"Sì, è vero... Ella è incantevole..."

"Confessate, dunque, che l'amate!..." urlò donna Gabriella, puntandogli il dito sul petto con un tremito convulso, e aspettando ansiosamente una risposta. Blasco rimase un po' sconcertato da quella domanda improvvisa e inaspettata, che gli svegliava ad un tratto mille sensazioni dolcissime e tormentose e non seppe trovare subito una risposta; balbettò poi:

"Amarla?... Io? Donna Violante?"

La duchessa assaporò tutta l'amarezza del suo trionfo doloroso.

"Sì, voi l'amate!... Giuratemi che non è vero; giuratelo su quella reliquia!"

"Non giuro" mormorò Blasco; "non posso giurare; non lo so: forse sì, l'amo, o l'amerei: ma non è un amore che può nutrirsi di speranze, ed io sono abbastanza onesto per sapere e potere chiudere e fermare nel profondo del cuore un sentimento, che sarebbe, più che una gioia, una tortura!..."

La duchessa parve colpita da quelle parole: il dolore che le gonfiava il petto la sopraffece; nella sua natura così mobile, nella quale i sentimenti non avevano che la durata dell'impulso e si avvicendavano rapidamente, la collera, la gelosia si disfacevano per lasciare adito al dolore. Si lasciò cadere sul sedile, pallida, con la bocca arida, mormorando:

"Egli l'ama! l'ama!...".

La voce del curatolo che tornava con un fagotto la riscosse; si ricompose, riprese il suo contegno; prese le vesti dalle mani del curatolo e salì rapidamente, senza dire nulla.

Blasco restò lì come una statua, triste, col cuore serrato in una morsa, in preda a uno sgomento, come se da quel breve dialogo, e più dalle ultime parole, sorgesse una minaccia oscura e lontana, che si librava non soltanto sopra il suo capo, ma ancora su quello di Violante.