Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte terza, capitolo 6

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Blasco aspettò la notte per rientrare in città: egli andò a scavalcare nel palazzo della Floresta, dove fu accolto dalla servitù con segni vivissimi di gioia.

"Il padrone non c'è," disse il maestro di casa; "ma sarà contento di saperla arrivata... Vostra Eccellenza ha fatto buon viaggio?"

Blasco si fece accompagnare nella sua camera e disse al cameriere:

"Quando verrà il padrone, fatemi il favore di avvertirmi."

"Vostra Eccellenza vuol cenare?"

"No."

Non aveva fame. Tutta la giornata era rimasto sopraffatto dalla scena svoltasi fra lui e donna Gabriella, ma più dall'immagine di Violante, che nelle vesti di contadina, un po' goffa e impacciata, aveva un aspetto delizioso. Egli pensava a quella notte passata accanto alla fanciulla; notte che sarebbe rimasta unica e indimenticabile nella sua vita, e sentiva ancora vibrare dentro l'anima sua le sensazioni dolcissime e profonde provate, udendo il respiro soave della fanciulla e vedendola dormire lì, sotto il suo sguardo, così bella e serena, nella scomposta inconsapevolezza del sonno. Pensava a quella notte di desideri, di sogni, di fremiti, di rinunzie, così casta, così pura, e intanto così intensa di emozioni, così vibrante di passione, nella quale egli aveva, si può dire, vissuto cento vite e si era sentito sollevare in un'atmosfera diversa da quella in cui le realtà della vita lo tenevano.

Ma chi era egli?

Oh, sapeva bene che alimentare una speranza era una pazzia e che egli, povero e senza nome, era destinato a passare la vita senza gioie; ma chi poteva impedire al suo cuore di battere, al suo cervello di sognare?

Si buttò sul"letto per abbandonarsi alle sue fantasie, ma a poco a poco il sonno lo vinse e non si destò che quando una mano picchiò alla sua porta, e una voce disse:

"Siete sveglio, amico mio?"

Egli balzò in piedi e corse alla porta con le braccia aperte gridando:

"Oh, Coriolano, amico mio!..."

Era infatti il cavaliere della Floresta.

Le loro prime parole furono naturalmente quelle che sogliono scambiarsi due amici che da un pezzo non si vedono. Coriolano volle conoscere tutto ciò che Blasco aveva fatto e Blasco gli raccontò le sue avventure di viaggio, l'incontro con l'abate, il suo arrivo a Messina, l'avventura con le guardie del re, l'arresto, il tentativo di avvelenamento, l'intervento della duchessa.

"Vedete?" lo interruppe Coriolano: "vedete se ho avuto ragione di consigliarvi d'andare a Messina?"

"Sì, è vero, e ve ne sono davvero riconoscente. Ma non vi ho ancora detto ogni cosa. Ci sono ora le avventure del ritorno, l'ultima specialmente, che voi non sospetterete neppure!.. Caro amico, sono portato a credere che il caso è il grande ordinatore dei fatti umani e che i filosofi, i quali si affannano ad insegnarci d'agire in questa o in quella maniera, per raggiungere questo o quell'effetto, sono dei veri ciarlatani. La vita è l'imprevisto. Ascoltate, dunque."

E gli raccontò come aveva liberato Violante, rapita da uomini mascherati, che certamente erano emissari o affiliati della setta.

Coriolano lo ascoltò senza dare segni di stupore, come se si fosse trattato di un avvenimento ordinario della vita. Si alzò dicendo:

"Adesso riposate, sono venuto a disturbarvi, ma avevo desiderio di riabbracciarvi. Non uscite di casa. Il Vicerè si è posto con tutte le sue forze a perseguire e arrestare quanti giustamente o ingiustamente sono colpiti dal bando. Voi potreste essere riconosciuto e non scampereste. Ricordatevi di Matteo Lo Vecchio."

"Ah, se quel birbone mi verrà fra le mani!"

"Vorreste innalzarlo all'onore di farne un vostro avversario?"

"Oh, no!..."

"Assassinarlo dunque?"

"Mi credete capace di ciò?"

"Neppure per sogno... Ho detto così per mostrarvi la vacuità di certi propositi. Lasciate andare, e tenetevi nascosto..."

"Ma ho bisogno di vedere il padre Serafino."

"Lo vedrete, si capisce, ma con prudenza, e quando sarete sicuro che nessuno possa scoprirli. Mi incarico io di ciò."

"Ve l'ho sempre detto che voi siete un uomo impagabile!"

"Buona notte."

"Buona notte."

La mattina, svegliandosi, Blasco vide sul tavolino accanto al letto una lettera; non tardò a riconoscere che essa era dello stesso tipo dell'altra ricevuta molti mesi innanzi.

"Oh! oh!" disse; "che cosa ci sarà di nuovo?"

La lettera era così concepita:

"Voi siete un uomo di coraggio; ma avete torto a impedire un'opera di giustizia. Aspettate a mezzanotte dinanzi la porta del palazzo. Un uomo, passando vi dirà: Avete esca? Risponderete: Datemi la torcia; e seguite quell'uomo. Non abbiate timore, e fidatevi".

Nessuna firma, ma il noto sigillo della mano armata, in atto di colpire. Blasco sorrise.

"Ma sì, per bacco! da un'avventura all'altra, e ciò rende la vita passabilmente divertita. Curiosi cotesti Beati Paoli, che invece di tirarmi un colpo di carabina o di pugnalarmi, mi scrivono di questi bigliettini, che potrebbero scambiarsi per lettere di appuntamenti amorosi!".

Si domandò se era il caso di consigliarsi con l'amico Coriolano, ma risolvette di no. Mostrargli quel biglietto, era come un metterlo a parte di un segreto, che non apparteneva a lui. Tacque ed aspettò la notte, con la stessa ansia con la quale i bambini aspettano il premio promesso. A mezzanotte in punto egli stava dinanzi al portone, appoggiato a uno dei pilastrini che lo fiancheggiavano: s'era posto nelle tasche delle brache due pistole corte e nella cintura un pugnale, nel timore che non avrebbe potuto servirsi della spada, se fosse stato necessario difendersi. Per quanto sicuro di sè, non poteva impedirsi una certa trepidazione, per quell'ignoto verso il quale egli andava, per quel mistero che forse egli avrebbe penetrato.

L'uomo passò, lo sbirciò, diede la parola. Egli rispose come era convenuto e gli tenne dietro. Camminarono un pezzo. Alla svolta della strada di San Cosmo l'uomo si fermò trasse dalla tasca un fazzoletto di seta e gli disse:

"Vossignoria perdoni, ma bisogna che si lasci bendare e prometta di non togliersela."

"Fate pure; ve lo prometto."

Quando fu bendato, l'uomo lo prese per mano e lo guidò. Blasco capì che per disorientarlo gli si facevano fare dei giri e rigiri intorno a un punto, e poi sentì che la strada era in pendio. A un tratto fu fatto fermare. Udì lo stridere di una chiave e sentì ventarsi in volto un buffo d'aria umida che sapeva di chiuso.

"Venga con me."

Dietro a lui la porta si richiuse. Egli attraversava ora un andito, poi ebbe la impressione di uscire all'aperto. L'andito infatti metteva in un cortiletto nel quale un albero allargava i suoi rami. Col capo Blasco sfiorò una fronda e suppose di attraversare un piccolo giardino. Poi ridiscese e fu fatto fermare un'altra volta. Sentì una mano disarmarlo rapidamente della spada, accompagnando l'atto con una scusa:

"Vossignoria perdoni, è necessario."

Sotto la benda Blasco aggrottò le sopracciglia con un moto di dispetto: ma pensò che egli si trovava nella sede di quella tenebrosa società, e che finalmente ciò che per altri era un mistero, per lui diventava una realtà. Paura non ne aveva; oltre al suo coraggio che rasentava la temerità, egli aveva fiducia nelle lettere dei Beati Paoli. Quando essi volevano sbarazzarsi di qualcuno, lo sopprimevano di notte con un colpo di carabina, giacchè tenevano a che le loro punizioni non avessero qualche pubblicità, per riuscire esemplari.

Blasco udì un bisbigliare sommesso, dopo il quale la stessa voce gli disse:

"Entrate."

Egli sentì che l'aria era più calda e i suoi sensi gli diedero l'impressione di trovarsi fra persone che lo premevano da vicino. Una voce che lo fece trasalire gli disse:

"Sedete, signore."

Due mani lo spinsero dolcemente sopra una sedia; la stessa voce ordinò:

"Sbendatelo."

Blasco fu costretto a richiudere gli occhi colpiti al brusco passaggio dalla più cupa oscurità alla luce viva di quattro torce che ardevano, infisse alle pareti della stanza dove egli si trovava; ciò gli impedì di riconoscere subito dove e fra chi si trovasse. Riaperti gli occhi vide che era in una specie di rotonda, evidentemente una antica cripta scavata nella roccia dalla quale si dipartivano due corridoi, perdentisi nell'infinito delle tenebre. Qua e là sulle pareti erano incavate delle nicchie. In mezzo era una specie di piccolo altare di pietra, con un Cristo sopra, fra due candele, e il Vangelo aperto; dietro l'altare sopra uno scanno elevato un uomo mascherato; ai suoi lati altri due uomini mascherati anch'essi. Intorno, lungo le pareti altri uomini sedevano e tutti avevano la maschera sul volto. Blasco si guardò ai fianchi, dietro; quattro uomini pareva che lo sorvegliassero ed anche essi erano mascherati. Tutti erano vestiti di una veste nera, lunga, simile a un sacco di penitenza, ma nella cintura lampeggiava la lama di un lungo pugnale.

Un silenzio grave e solenne incombeva sopra ogni cosa: Blasco vedeva sfolgorare gli occhi dietro le maschere e sentiva tutti gli sguardi sopra di sè: egli era preso da stupore e da curiosità, e aspettava. Il capo disse:

"Blasco da Castiglione, voi vi trovate dinanzi al tribunale dei Beati Paoli. La vostra curiosità che altra volta fummo costretti a impedirvi di soddisfare, ora è appagata; ma noi, o signore, abbiamo il diritto di domandarvi perché volete intralciare l'opera nostra."

Blasco fece un gesto come per parlare, ma il capo lo prevenne:

"Aspettate; non è questo il tempo di parlare, ora dovete ascoltare. Questo tribunale vi ha dato più di una prova di benevolenza; vi ha salvato da un assassinio; ha punito un vostro nemico uccidendolo col ridicolo; voi, senza volerlo e senza saperlo, avete impedito l'arresto di due nostri fedeli compagni, ma intanto avete impedito a questo tribunale di compiere un atto di giustizia..."

"Di viltà!" corresse Blasco.

Un bisbiglio minaccioso percorse la cripta; il capo disse gravemente, senza mostrarsi offeso:

"Di giustizia! Voi non sapete quel che dite..."

"So che una povera fanciulla, senza difesa, era in potere di uomini armati, che la trascinavano via, minacciandola di morte; e so che usare la forza e la violenza contro i deboli è la maggiore delle viltà..."

"Occhio per occhio, dente per dente!... Questo sta scritto nei libri santi: e la sapienza popolare sentenzia "l'albero pecca e il ramo riceve". Una donna è stata uccisa e il suo bambino, nato da pochi giorni, è salvo per miracolo: cresce nell'ombra, povero e senza nome, perché il suo nome, la sua ricchezza, il suo avvenire sono stati usurpati. Vive nell'ombra, nè sa chi sia, perché se riprendesse il suo nome, se chiedesse alla società il suo posto, l'uomo che gli uccise la madre e gli usurpò il nome e lo stato, gli toglierebbe la vita. Questo scellerato, scoperto, ha, uno alla volta, fatto morire i testimoni dei suoi delitti: chi è morto di veleno, chi sulle forche, chi assassinato; perseguita altri a morte: la donna generosa che raccolse il bambino perseguitato è stata gettata nelle segrete del Sant'Offizio, quel bambino, ora giovanotto, geme nei sotterranei del Castello. Il boia staffilò a pubblica vergogna quella donna senza colpa; staffilò a sangue quel giovanotto.

Orbene, per impedire che quel giovanotto muoia nei sotterranei, perché egli viva e possa riprendere il suo nome, la sua ricchezza, il suo grado; per compiere quest'opera di giustizia e di pietà, non v'era che un mezzo: tenere in ostaggio la figlia di quell'uomo, obbligarlo, per amore del suo sangue, a cessare da una persecuzione feroce, empia e ad aprire le porte della prigione alle sue vittime! Blasco da Castiglione, voi avete impedito questo atto di giustizia, e vi siete fatto complice di uno scellerato!... Blasco da Castiglione, don Raimondo della Motta vi ha accusato di essere uno dei capi di questa società; vi ha fatto arrestare a Messina, ha tentato di farvi morire avvelenato e voi gli prestate il vostro braccio, il vostro valore, perché egli continui l'opera sua sanguinaria... Blasco da Castiglione, voi leale e cuore generoso, avete posto i chiavistelli nell'oscuro e mortifero antro in cui geme Emanuele Albamonte, vero duca della Motta! Avete posto questi chiavistelli per conto di un ladro, di un assassino, onta e vergogna del genere umano. Blasco da Castiglione, voi siete colpevole e il tribunale comincerà dal giudicare l'opera vostra..."

"Avete altro da dirmi?" domandò Blasco.

Tutto ciò che il capo aveva detto sul conto di don Raimondo non poteva stupire Blasco, che aveva letto i famosi documenti sottratti a Matteo Lo Vecchio; mentre il capo parlava, egli anzi pensava fra sè, con un sorriso interiore: "Se sapessero che il processo raccolto da loro, l'ho qui con me!...".

Quello che ignorava era il supplizio inflitto a Emanuele e alla signora Francesca e che essi tuttora languissero in orribili segrete. Egli non conosceva la moglie dell'Ammirata e aveva del giovanotto una pallida rimembranza, ma ciò non toglieva che il saperli vittime innocenti di atti crudeli, non eccitasse il suo sdegno e non gli rendesse odiosa quell'apparenza di complicità che il capo gli rimproverava.

"Avete altro da dirmi?" ripetè: "lasciatemi dunque dire che non vi è lecito accusare me di complicità col duca della Motta. Non sono suo complice, più di quanto non lo fui vostro, quando impedii che arrestassero Girolamo Ammirata. Potete fare quello che volete di me, ma lasciate integri il mio pensiero e la mia coscienza... E ora ditemi se mi avete invitato per udire le vostre recriminazioni paterne..."

"Blasco da Castiglione," disse severamente il capo "non scherzate. Qui nessuno ride..."

"Comincerò io..."

"E finirete!"

Blasco vide qualche mano correre all'impugnatura del pugnale e molti occhi rivolgersi al capo, quasi per domandargli che cosa c'era da fare. Ma il capo non fece alcun gesto e continuò: "Blasco da Castiglione, noi vi domandiamo di non porvi sulla nostra strada..."

Dietro quella imposizione, fatta con un tono significativo, Blasco vide rapidamente la minaccia che incombeva sul capo di Violante; vide un nuovo pericolo, al quale forse ella non avrebbe saputo e potuto sottrarsi e gli parve che il suo dovere, in quella ora, fosse di non abbandonare la fanciulla. Alzò il capo fieramente e disse:

"E se io mi ci mettessi? Se io tentassi, con le mie forze, di oppormi alle vostre rappresaglie?"

"Noi saremmo costretti a impedirvelo anche con la violenza."

"E allora, uccidetemi; perché vi giuro sulla memoria di mia madre che non arriverete a mettere le mani sopra Violante della Motta, se non passando sopra il mio cadavere!..."

Il capo rise.

Fece un segno. In un baleno Blasco vide venti braccia stendersi con un gesto solo; venti lame appuntarsi contro il suo petto. Egli impallidì leggermente, ma non si mosse, nè fece un solo gesto di paura. Il capo continuò:

"Non dovrei che pronunciare una parola e voi cadreste qui, crivellato di ferite, ! nessuno saprebbe nulla: nè il vostro cadavere ci darebbe alcun imbarazzo, perché anche se non preferissimo di seppellirlo qui dentro, potremmo farlo trovare in qualche strada di campagna, con gran piacere della giustizia che vi ricerca. Ma la vostra morte non interessa la nostra causa; a noi interessa la vostra neutralità assoluta... Volete prometterla?"

Blasco vedeva sempre Violante in cima ai suoi pensieri; rispose:

"Non prometto quello che non posso mantenere."

"Blasco da Castiglione, badate; anche senza uccidervi, io potrei mettervi nella condizione di non poter fare nulla; potrei lasciarvi qui dentro, donde non sapreste nè potreste uscire. Perché volete costringermi a questo passo?"

"Fate; preferisco stare qui, chiuso, che fuori, libero, ma condannato all'impotenza da un giuramento."

"È la vostra ultima parola?"

"Sì..."

"Pensate che, chiuso qui dentro, non potrete mai più difendere o proteggere coloro che vi stanno a cuore..."

Blasco non rispose.

Il capo allora disse:

"Voi non potrete mai accusarci di essere stati intolleranti e violenti. Fratelli, chiudetelo nella "riflessione"."

In un baleno Blasco si vide avviluppato in una specie di cappa, che lo ridusse all'impotenza, fu sollevato di peso da braccia robuste, trasportato, deposto. Egli sentì chiudere una porta, prima ancora che avesse potuto distrigarsi da quella cappa. Era in un luogo profondamente buio, del quale non poteva riconoscere la forma e l'uso; mosse alcuni passi in lungo e in largo per misurarne la grandezza; di qua, appena fatti due passi, urtò col petto e col viso contro una parete scabra e umidiccia; dalla parte opposta, le sue braccia annasparono un pezzo nelle tenebre; poi toccarono una superficie di legno, che riconobbe per la porta. Ma tastò a lungo, non v'era traccia alcuna di serratura; doveva dunque essere serrata dalla parte esterna, con chiavistelli e catenacci. Cercò la fessura dello stipite, e tratto il pugnale ve lo cacciò, pensando di farvelo scorrere per riconoscere dove fossero i chiavistelli, ma la lama non potè penetrare. Pensò di servirsene per aprire, succhiellando un buco nelle assi e vedere; si mise al lavoro, ma poco dopo sentì la punta stridere contro una superficie metallica. La porta era all'esterno rivestita di lamiera di ferro. Egli dunque era in una vera prigione, dalla quale non poteva uscire. Passeggiare non poteva, perché non essendo sicuro del terreno e non conoscendo l'ambiente, non poteva avventurarsi al buio. Sedere per terra gli ripugnava, non sentiva sedili o seggiole intorno a sè, per quanto girando e rigirando con precauzione ne cercasse.

Egli era dunque ridotto all'impotenza, come gli aveva detto il capo. Pensò a Violante. Chi avrebbe ora vegliato sulla fanciulla? Ella rimaneva in piena balia della setta, dei cui intendimenti non poteva più dubitare. Pensò anche alla duchessa; pensò a quella rivelazione di gelosia, che lo aveva empito di stupore e di apprensione. La duchessa era gelosa di Violante e una donna come lei, e nelle sue condizioni, gelosa, non era meno temibile dei Beati Paoli. La povera fanciulla era dunque esposta a due fuochi, senza una mano pietosa che potesse sottrarnela; il duca suo padre, il solo che avrebbe potuto difenderla almeno da un solo lato, era così lontano che non c'era da fare assegnamento sopra di lui. Perché mai, dunque, egli si era ostinato a non promettere la neutralità, quando questa sua ostinazione non giovava a nulla? Non sarebbe stato meglio transigere un po', fare una promessa con una di quelle restrizioni mentali, che non erano sconsigliate dalla moralità dei tempi? Il fine onesto e santo non avrebbe giustificato il mancato adempimento della sua promessa? E una promessa strappata in quelle condizioni, con la violenza, era tale da impegnarlo davvero? Si rimproverava, si ingiuriava. La sua fantasia gli colorava coi più foschi colori i pericoli che correva Violante e ne immaginava altri. Violante pagava per Emanuele, per quest'altra giovane vita innocente sepolta in una segreta, condannata a morire: entrambi olocausti immolati all'ambizione e all'ingordigia di un uomo, di don Raimondo.

E pensò a quei documenti terribili, dei quali egli era venuto in possesso, tremando all'idea che gli potessero essere tolti dai Beati Paoli, ora che egli era in loro balia. Quell'uomo era il padre di Violante; e questa fanciulla così pura, innocente e fiduciosa ignorava chi fosse suo padre e a quale prezzo infame e scellerato avesse acquistato la ricchezza di cui lei era l'erede! Che cosa avrebbe detto lei, il giorno in cui le avessero rivelato quel terribile segreto? E non era forse pietoso celarle ogni cosa?

Stava immerso in questi pensieri, quando udì lo stridore dei catenacci e vide aprirsi la porta e la viva luce di una lanterna diffondersi nella caverna in cui era rinchiuso, e che la luce rivelò improvvisamente al suo occhio. La lanterna si mosse e si fermò in una parete; Blasco vide allora che vi erano qua e là scavate delle nicchie orizzontali che l'ombra rendeva più nere e misteriose. Dal cono di ombra, in cui era stato celato, si mostrò sotto la luce uno degli uomini mascherati, in mezzo ai quali si era trovato un momento innanzi.

Per un istante stettero l'uno di fronte all'altro guardandosi in silenzio. Blasco aveva incrociato le braccia sul petto, stringendo ancora il pugnale la cui lama scintillava alla luce della lanterna. L'uomo mascherato aveva fatto richiudere la porta dietro di sè: era solo, nè aveva in mano alcun'arma. Vide il balenio di quella lama e interpretò a suo modo.

"Non abbiate paura; non vi sarà torto un capello. Se avessimo voluto sbarazzarci di voi l'avremmo fatto: ve lo ripeto."

Blasco riconobbe alla voce che era il capo. Buttò il pugnale senza rispondere. Il capo riprese:

"Avete riflettuto? Avete capito che voi siete in potere nostro? Perché non cedete?"

Per spirito di contraddizione, per dispetto forse, o per amor proprio, parendogli che cedere ora fosse un dare segno di paura, Blasco rispose:

"Ho una parola soltanto. È inutile tentarmi."

"Ma voi non uscirete più di qui, prima che l'opera nostra non sia compiuta..."

Il giovane rabbrividì, ma non mostrò la sua commozione; disse seccamente come uno che s'infastidisca:

"Fate come v'aggrada!..."

Un altro breve silenzio s'interpose fra loro. Il capo riprese con un tono di voce che tradiva l'interna tristezza.

"Voi avete torto e vi lasciate guidare più da un falso amor proprio, che dalla ragione. Non vi accorgete che io mi interesso di voi e che voglio sottrarvi al pericolo al quale vi esponete inutilmente? Qualunque sforzo voi possiate fare, qualunque sia il vostro valore, non giungerete mai a sottrarre don Raimondo della Motta alla nostra punizione..."

"E che m'importa di lui?" disse Blasco.

"E perché allora avete ostacolato l'opera nostra?"

"Ma non per lui; si tratta di una innocente. Perché perseguitare chi non ha nociuto nè a voi, nè ad altri?"

"È un mezzo..."

"Scellerato e ripugnante. Voi avete avuto fra i piedi per tanto tempo il duca della Motta, perché non lo avete ucciso?"