Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte terza, capitolo 7

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Il capo dei Beati Paoli sorrise con un senso di commiserazione e disse:

"Voi siete giovane, inesperto di molte cose, pur essendo vissuto intensamente fra le traversie della vita. Noi non vogliamo la morte del duca della Motta; che egli muoia o viva ci è del tutto indifferente: noi vogliamo che il titolo e il patrimonio siano restituiti al loro legittimo possessore. Il giorno in cui egli cadesse sotto la spada della nostra giustizia, senza avergli prima strappato quello che ha rubato con l'assassinio, tutto il patrimonio passerebbe di diritto e legalmente alla figliuola, Violante, non tornerebbe a Emanuele. Emanuele rimarrebbe civilmente morto; sarebbe nient'altro che un nipote anonimo di don Girolamo Ammirata e il furto, la rapina sanguinosa, sarebbero sanzionati da una ingiustizia, che si vestirebbe di tutte le forme legali. No, no. Abbiamo rispettato la vita di don Raimondo unicamente perché egli stesso, riconoscendo Emanuele, gli restituisca il suo..."

Blasco pensava a Violante. Non poteva negare dentro di sè che quanto quell'uomo voleva non fosse se non la più stretta e rigorosa giustizia.

Un orfano era stato spogliato e bisognava restituirgli il suo. Ciò era giusto e doveroso; ma Blasco pensava appunto che questa restituzione importava la spoliazione e l'infamia di un'altra innocente, di Violante, e in questo vedeva un'altra ingiustizia. Che colpa infatti aveva la povera fanciulla d'essere nata da quell'uomo? Che colpa aveva commessa per essere privata di una ricchezza sulla quale dal momento che era nata aveva acquistato un diritto, e per essere costretta a scontare l'infamia del padre? Quest'idea destava in lui un sordo sentimento di ribellione: tuttavia non osava disconoscere la giustizia dei Beati Paoli.

"Non bisogna per amore di giustizia essere ingiusti..."

"Verso chi?"

"Verso chi non ha colpa..."

"Che cosa è un uomo dinanzi a un diritto violato? Che cosa una vita umana dinanzi alla giustizia che cammina diritta per la sua strada? Peggio per coloro che si pongono attraverso il suo cammino. Essa deve andare innanzi e stritolerà coloro che incontra. Un innocente piange? Le sue lacrime compensano quelle di altri innocenti che hanno pianto prima. La giustizia non deve avere pietà, e non deve guardare alle conseguenze. Troppe lacrime sono state versate: una donna giovane, bella, ricca colpita da un dolore atroce che la privava del marito, mentre ne dava al mondo il frutto, insidiata, condotta alla disperazione, è morta di terrore in un letto non suo, raccolta dalla carità; una serva fedele e devota fu assassinata; coloro che raccolsero il bambino doppiamente orfano, che lo celarono e lo sottrassero alla morte, che compirono questo atto mirabile di carità vivono fuggendo come lupi, nascondendosi, costretti a difendere la loro vita giorno per giorno; altri geme in carcere, subisce l'infamia di un supplizio non meritato; due uomini, rei soltanto di avere raccolto le tremende testimonianze dell'assassinio, furono mandati sulle forche, come due ribaldi. Che cosa sono le lacrime di una vittima innocente di fronte al sangue di otto vittime innocenti anch'esse? Bisogna che la giustizia abbia il suo corso. Nessuno l'arresterà e voi, Blasco da Castiglione, voi meno degli altri!..."

Blasco sentiva quelle parole cadere a una a una fredde e implacabili e la ragione dentro di lui le approvava, ma il suo cuore no e si ribellava, e c'era qualcosa, anche in quello che approvava, che aiutava quella ribellione.

"Perché" disse "perché, se siete così persuaso della giustizia della vostra causa, vi nascondete? Perché non combattete a viso aperto? Hanno le nobili cause bisogno di nascondersi nell'ombra? V'è dunque qualcosa di meno nobile che vi costringe a celarvi; voi non osate affrontare la luce, perché sentite vacillare la fede nella vostra giustizia!

"Ah no!" interruppe vivamente il capo dei Beati Paoli; "vacilla soltanto la fede nella giustizia legale; anzi non vacilla, manca addirittura; questo dovevate dire." L'ombra? è necessaria. È la nostra forza e la nostra sicurezza. La giustizia del re è amministrata da uomini che vedono in essa non un dovere, ma il salario. Essi stanno non già a deliberare, a riconoscere il diritto di ciascuno, ma a garantire il più forte contro il più debole. I forti sono i feudatari, gli ufficiali dello Stato, i signori, il clero. Circondati d'immunità, irti di privilegi, foderati di pergamene, essi hanno un diritto per loro conto, che non è il diritto degli altri, dei deboli. I magistrati e le leggi difendono appunto questo diritto particolare e privilegiato, che è invece una ingiuria e tira ingiustizia per la gran massa dei deboli, che sono i più. Un cavaliere che uccide, trova in quel diritto e in quei magistrati un compatimento e una tolleranza che parrebbero incrollabili; un plebeo che commette lo stesso delitto, muore sulla forca, con termine straordinario!...

Un nobile può togliere al suo vassallo solo perché è vassallo, le bestie, le armi, il cavallo, e il suo diritto glielo consente; questo stesso diritto manda sulla forca quel vassallo, se ardisce rubare una bica di frumento o un agnellino del padrone. E questa si chiama giustizia!...

Una povera vedova deve del denaro: il creditore può spogliarle la casa e buttarla in mezzo a una strada e la giustizia gli dà mano forte; un nobile invece può bastonare i suoi creditori e farli anche imprigionare, e trova magistrati che giudicano ciò conforme a diritto. E anche questa si chiama giustizia! Don Raimondo può uccidere, rubare, sopprimere, e meritare encomi, ricompense, ed essere posto ad amministrare giustizia; don Girolamo Ammirata che difende un debole, secondo giustizia, invece deve celarsi per non perdere la vita; e anche questa si chiama una giustizia!... la giustizia dello Stato; è la giustizia secondo le leggi scritte a beneficio dei più forti... Ma questa giustizia è la più mostruosa delle iniquità!...

La nostra non è scritta in nessuna costituzione regia, ma è scolpita nei nostri cuori: noi la osserviamo e costringiamo gli altri ad osservarla: non abbiamo soldati, guardie, algozini, caporali; non paghiamo giudici; non cerchiamo nei codici gli arzigogoli per coonestare l'ingiustizia. Apriamo l'orecchio e il cuore alle voci dei deboli, di coloro che non hanno la forza di rompere quella fitta rete di prepotenza, entro la quale invano si dibattono, di coloro che hanno sete di giustizia e la chiedono invano e soffrono.

Chi riconosce la nostra autorità? Nessuno. Chi riconosce in noi il diritto di esercitare giustizia? Nessuno. Ebbene, noi dobbiamo imporre questa autorità e questo diritto e non abbiamo che una arma: il terrore, e un mezzo per servircene: il mistero, l'ombra. Non ci nascondiamo per viltà, ma per necessità. L'ombra moltiplica il nostro esercito e desta la fiducia di coloro che invocano la nostra protezione. Chi non oserebbe ricorrere a un magistrato legale per difendere se, la sua casa, l'onore delle sue donne, perché il ricorso lo esporrebbe alle ire, alle rappresaglie, alle vendette del barone o dell'abate, confida volentieri nell'ombra il suo dolore e la violenza patita; un uomo che egli non vede, non conosce, raccoglie il suo lamento. Noi vediamo se egli ha ragione. Un avvertimento misterioso giunge al sopraffattore nel suo palazzo stesso, al magistrato complice nel suo scanno; l'ascoltano? Non cerchiamo di meglio: lo disprezzano e compiono la prepotenza, e continuano l'offesa? Puniamo, e vendichiamo l'offesa. Nessuno vede il braccio punitore, nessuno può dunque sottrarvisi... Questa è la nostra giustizia. Essa non ha punito mai un innocente, ed ha asciugato molte lagrime."

Blasco lo ascoltava con uno stupore sempre crescente; l'uomo s'infiammava, a mano a mano che parlava; pareva che dinanzi al suo sguardo passasse la visione di tutte le ingiustizie, che una costituzione sociale vecchia, nella quale l'arbitrio aveva preso il posto della giustizia, e una giurisprudenza incerta, inceppata fra prerogative, privilegi, esenzioni, diversità di magistrati o fori, permetteva e fomentava. Egli continuò con voce commossa:

"Perché voi, prode, valoroso, leale, generoso come siete, non entrate, come me, nel fitto della vita cittadina e delle terre baronali? Ah, voi vedreste quante lacrime, quanto sangue, quante infamie la compongono e pensereste che non uno, ma cento di questi tribunali sarebbero necessari, per impedire i soprusi, le violenze, le ribalderie dei potenti. Io conosco tutte le miserie della vita; io ho penetrato nelle tane dei contadini, veri greggi di schiavi curvi sotto il bastone; ho penetrato nelle case degli artigiani che vivono di stenti; ho veduto la miseria che si nasconde per la vergogna e aspetta la notte per cercare fra le immondizie un pezzo di pane duro, un osso, un torsolo; ho veduto tutte le sofferenze umane e cento, mille, diecimila bocche singhiozzare e domandare giustizia! E allora ho chiamato d'intorno a me gli uomini di buona volontà e ho detto loro: "Siamo in difesa dei deboli e dei miseri!".

Fino a che il mondo non sarà mutato e vi saranno da un lato uomini privilegiati ai quali tutto è lecito, e a cui benefizio sono fatte le leggi, ed uomini condannati a patire tutti gli arbitri e tutte le violenze, è necessario creare una forza che s'opponga, arresti, impedisca questi arbitri; è come una specie di pareggio di forze. E non è una cosa nuova. Credete voi forse che i Beati Paoli siano sorti ora? Conoscete la storia? Ai tempi di Federico imperatore, Adinolfo di Ponte Corvo fondò la società dei Vendicosi: essa non aveva intendimenti diversi dalla nostra. I Beati Paoli discendono dai Vendicosi. I Beati Paoli sono vecchi di secoli. Qualche volta si addormentano; a un tratto, quando la misura è colma, si destano. Noi morremo e dopo di noi ne verranno altri, perché i deboli avranno sempre bisogno di chi li protegga, di chi li difenda. Voi stesso, Blasco da Castiglione, con tutto il vostro coraggio, con tutto il vostro valore, siete un debole..."

"Io?..."

"Siete solo, e quindi siete debole: siete un granello gettato in un campo dal capriccio e dalla prepotenza di un barone; senza nome, senza avvenire; esposto dalla vostra natura stessa alla persecuzione di altri prepotenti: costretto a nascondervi come un bandito... Forse a quest'ora sareste morto, se una vigilanza occulta non vi avesse protetto, se non vedessimo in voi chi potrebbe essere la colonna più valida della setta..."

"Oh no; mai!" gridò Blasco.

"Non precipitate," ribattè freddamente il capo dei Beati Paoli "voi avete reso più d'un servizio al nostro tribunale, senza saperlo; per quanto qualche volta siamo stati costretti a essere severi. Anche questa volta, non ostante il vostro rifiuto, voi ci avete servito..."

"Io?..."

"Voi, sì, accettando il nostro invito..."

"Come?.."

"Ma non vi accorgete che vi abbiamo eliminato? Non vi accorgete che ci lasciate libero il campo?"

Trasse un orologio dal taschino della sottoveste e, guardata l'ora, soggiunse:

"Sono già otto ore di notte; a quest'ora la duchessa della Motta e Violante viaggiano lontano..."

"Ah, perdinci!..." urlò Blasco traendo dalla tasca una pistola; "dite che avete mentito!..."

"Non ho mentito!... La duchessa e sua figlia sono state imbarcate una ora fa, per ordine mio..."

"Miserabile!" gridò Blasco, e sparò.

Il colpo rintonò nella caverna; il fumo la empì. Una risata rispose. Blasco vide con suo stupore il capo dei Beati Paoli gridare verso la porta, a voce alta: "Non è nulla! Via tutti!" indi chinarsi per terra, raccogliere qualche cosa e, porgendola al giovane, dirgli pacatamente:

"Mio bravo giovane, scegliete un'altra volta le vostre palle; queste, vedete? si ammaccano... Addio!..."

Fece per uscire, ma Blasco gli sbarrò il passo dicendo:

"Voi non uscirete di qui, se prima non vi strapperò la maschera; io voglio vedervi in volto... Voglio che quando vi dirò che siete un vile, le mie parole schiaffeggino la vostra carne e non si infrangano su quel volto posticcio..."

"Tenete davvero a conoscermi?..."

"Sì!.."

"Potrei risparmiarvi il fastidio di togliermi la maschera ma è inutile. Voi mi conoscete..."

"La maschera!... La maschera!..."

"Ebbene, sì; è meglio. Ecco."

Con un rapido gesto si staccò la maschera nera dal volto.

"Coriolano!" gridò Blasco "Coriolano!..."

E le braccia gli cascarono lungo il corpo, la voce gli si affievolì, sentì le ginocchia illanguidirsi.

"Voi!... voi!... voi!..." ripetè con accento disperato.

"Sì, io. Di che vi meravigliate? Avreste dovuto sospettarlo, Io, contro cui avete mirato e sparato!..."

Blasco chinò il capo non sapendo che rispondere: il suo cuore era diviso e affannato da due pensieri diversi e opposti, che si riassumevano in due nomi: Violante e Coriolano.

"Che avete fatto! E che ho fatto!" mormorò con tono di inesprimibile dolore; poi, mutando tono e porgendo a Coriolano l'altra pistola, aggiunse con febbrile esaltazione: "Uccidetemi, ve ne prego, uccidetemi!"

"Perché? Che cosa vi prende? Quello che voi avete fatto è, dico così, legittimo, come quello che fo io. Non ve ne serbo rancore e al vostro posto io avrei fatto altrettanto... Datemi la mano."

Gli prese la mano per forza. Allora Blasco, vinto dalla commozione, scoppiò in singhiozzi, mormorando:

"O!, Violante! Violante!..."

V'era in quel gemito un dolore così profondo che Coriolano della Floresta ne fu scosso.

"Di che temete?" disse. "Vi giuro sul mio onore che ella non corre alcun pericolo, non le sarà torto un capello, ma ci è necessaria. Bisogna che Emanuele sia restituito a libertà e posto al sicuro da ogni possibile attentato: noi non otterremo questo, senza tenere in ostaggio la moglie e la figlia di don Raimondo della Motta.

"E se egli non cedesse?" domandò Blasco con trepidazione.

Coriolano tacque un po'.

"Non rispondete?"

"Sarebbe una cosa molto grave" rispose il cavaliere della Floresta.

"Ah! vedete dunque che la vostra promessa è subordinata..."

"No; vi ho giurato sul mio onore che nè la fanciulla e neppure la duchessa soffriranno la menoma violenza, salvo la limitazione della loro libertà. Esse staranno chiuse in un castello, ma trattate con tutti i riguardi dovuti al loro grado..."

Blasco pareva tormentato da un pensiero; dopo un istante di silenzio, disse:

"Se io vi garantissi non soltanto la liberazione di Emanuele, ma anche il riconoscimento del suo grado e la restituzione del titolo e del patrimonio?.."

"Voi, Blasco?" esclamò stupito il cavaliere della Floresta.

"Io, sì;... se vi garantissi questo, avreste alcuna difficoltà ad affidarmi le due donne di casa Albamonte?"

"Badate all'impegno che assumete, Blasco!..."

"So quel che dico..."

"Avete dunque questo potere?" domandò Coriolano con uno sguardo penetrante.

"L'ho."

V'era tale sicurezza nel tono delle sue parole, che Coriolano lo guardò con stupore crescente. Che cosa poteva rendere Blasco così sicuro? S'era forse ravvicinato con donna Gabriella e credeva di servirsene per riuscire? Non gli pareva che ciò fosse sufficiente a dare al giovane tanta sicurezza, perché don Raimondo non si era mai lasciato trascinare dalla moglie. Che cosa c'era dunque? Non era il caso di respingere la proposta di Blasco, ma neppure gli pareva di poterla accogliere interamente.

Non c'era che una strada.

"Volete una tregua?" domandò.

"Sia pure una tregua..."

"Di che durata?"

"Il tempo di andare a Torino e ritornare..."

"Risparmiatevi questo viaggio. Perché invece verrà qui il duca della Motta..."

"Verrà?..."

"Fra quindici giorni, venti al più, egli saprà che la sua famiglia è in potere nostro."

"E per tutto questo tempo, quella povera creatura?"

"Non soffrirà il più lieve disagio, ve l'ho detto."

Blasco chinò il capo pensando a Violante, e uno sgomento doloroso gli strinse il cuore. Mormorò con un misto di rammarico, di dolore, di collera:

"Ah! perché, perché siete voi, qui, dinanzi a me, e non un nemico, o anche un ignoto?..."

Coriolano sorrise e si rimise la maschera, dicendo gravemente:

"Blasco, qui dentro due uomini soltanto hanno visto il mio volto: voi e don Girolamo Ammirata, e nessun altro. Quei venti fratelli che si trovano nella sala, pur essendo i principali della società, non conoscono che questa maschera; per gli altri affiliati sono un mito! Nè qui, nè fuori di qui, neppure quando siamo soli vi sfugga un solo accenno!"

"Volete che vi prometta il più scrupoloso silenzio?"

"No, vi conosco. Ed ora aspettate che io mandi a rilevarvi e soprattutto ubbiditemi."

Uscì, lasciando il giovane sopraffatto da mille pensieri, da mille sentimenti, che gli turbinavano nello spirito, che lo conturbavano a fondo. Il tribunale dei Beati Paoli era ancora adunato; quegli uomini avevano deposto per un momento la maschera e parlavano fra loro; alcuni stretti intorno a don Girolamo Ammirata, si facevano raccontare particolareggiatamente come era riuscito vano il tentato ratto di Violante. Egli l'aveva scampata bella; ma Andrea ne aveva ricevuto una stoccata, che se fosse stata un dito più giù l'avrebbe spedito.

"Quel giovane è un demonio, ve lo dico io..."

Coriolano rientrò nella cripta in quel momento e tosto si fece un gran silenzio, tutti si rimisero la maschera e ripresero il loro posto. Il cavaliere della Floresta disse: "Abbiamo un nuovo fratello. Che ognuno di voi lo aiuti e lo protegga, se lo vede in pericolo."

Blasco un momento dopo fu introdotto nella sala, e, colto all'improvviso dall'invito di Coriolano, dovette giurare, secondo la formula suggerita, fedeltà e silenzio. Ognuno di quei fratelli, a turno, gli si avvicinò, lo abbracciò, si punse il braccio, e con la goccia di sangue gli fece un piccolo segno di croce sulla fronte. Ripreso il loro posto, incominciò la relazione dei fatti e dei lamenti raccolti. La miseria urlava per la bocca di quegli uomini, ai quali la maschera dava una immobilità e una impassibilità marmorea: i maggiori lamenti erano per la riscossione del "donativo" deliberato dal Parlamento, e che al solito gravava solo sul popolo. Centomila scudi gravavano sulla macinazione dei frumenti; sulle città demaniali gravavano altri centomila scudi, quasi; quarantamila sulla città di Palermo, centotrentamila sui mercanti; ventimila su gl'impiegati; mentre sui baroni non pesavano che cinquantamila scudi, e meno di settemila sul clero; cosicchè il tributo dei possessori di tutta la terra e di tutta la ricchezza del regno, nobiltà e clero, non giungeva a un terzo di quello che erano costretti a pagare i non abbienti e questo lieve contributo essi lo spremevano dal sangue dei contadini per mezzo dei loro ufficiali, dei loro segretari, dei loro algozini, con ogni vessazione. Tutta una storia di estorsioni, di sequestri, di pignoramenti, di vendite forzose, che gettava sul lastrico la povera gente che non poteva pagare nè per sè, nè per il barone e per il convento di cui era vassallo, passava lugubremente a volta a volta, per quella cripta, che pareva segregata dal mondo. Ed erano anche lamenti contro usurai dissanguatori, giudici che cedevano alle amicizie o che si lasciavano corrompere, ufficiali inumani e ingordi, che cercavano di strappare ancora per proprio vantaggio qualcosa alle vittime.

Blasco ascoltava e sentiva scavarsi nel petto un vuoto, per lo sgomento: la vita gli appariva sotto un aspetto assai diverso e tutto un mondo insospettato si rivelava agli occhi suoi; e quel Parlamento che si adunava con tanta pompa solenne e pareva la difesa e la guarentigia del regno e di cui tutti erano gelosi, gli appariva ora come il complice di quelle spoliazioni.

Mancava poco al mattino quando il tribunale tolse la sua seduta. I Beati Paoli uscirono a uno alla volta, misteriosamente, dileguandosi nell'ombra di un corridoio. Quando tutti furono fuori, Coriolano disse a Blasco:

"Andiamo."

Ma invece di seguire lo stesso cammino degli altri, condusse Blasco per un andito che da una porticina segreta dava in una scala, sul cui pianerottolo una lampada ad olio ardeva dinanzi ad una Madonna dipinta su ardesia. Blasco notò che mentre la prima volta, entrando, aveva dovuto discendere, ora, uscendo, invece di salire, discendeva un'altra volta. La scala terminava con un largo vestibolo, chiuso da un portone. Coriolano trasse di tasca una chiave, aprì lo sportello piccolo e basso, uscì, fece uscire Blasco e richiuse:

"Vedete" disse sorridendo "noi siamo sotto la protezione della legge; questa casa donde siamo usciti appartiene a un giudice."

Era infatti la casa del giudice Baldi nella strada che da San Cosmo mena al Capo.