Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte terza, capitolo 8

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Ritornando a Palermo con Violante, ancora commossa e quasi febbricitante, donna Gabriella era in preda a un profondo abbattimento, nel quale fermentava un lievito di collera, di dispetto, di amor proprio ferito, di gelosia e d'odio. L'odio avvolgeva insieme Violante e Blasco. Per quanto le risposte della fanciulla avessero il candore dell'innocenza, della inconsapevolezza e della insospettabilità e per quanto Blasco avesse con vivacità protestato contro ogni sospetto, e avesse giurato di non avere detto una sola parola, nè fatto alcun accenno di sentimenti alla fanciulla, donna Gabriella non poteva abolire nell'anima il sospetto che essi nascondessero con una finzione abilissima quanto era corso fra loro.

Ella non poteva credere che un uomo innamorato, trovandosi in possesso della donna amata, potesse imporsi il sacrificio più grande, quello del silenzio. Era sicura che Blasco aveva parlato; certo aveva fatto breccia nel cuore della fanciulla, già predisposto dalla simpatia. Avrebbe però voluto averne la conferma dalla bocca di tutti e due: una conferma precisa, particolareggiata; avrebbe voluto assaporare l'amara gioia di tormentare la propria gelosia e alimentare il proprio odio, con una narrazione minuta, per lei angosciosa. Che Blasco amasse Violante, ne era sicura ormai; l'aspetto di lui, il tono delle sue parole, quello smarrimento, quel subito arrossire e impallidire, erano segni rivelatori che non ammettevano neppure l'ombra di un dubbio.

Per tutta la strada, dondolate dalla lettiga, non disse una parola; ma giunta al palazzo, si chiuse in camera con la figliastra: afferratala violentemente per i polsi, ficcandole gli occhi negli occhi, le disse duramente:

"E così, dunque, che conservi l'onore della tua casa?"

Violante la guardò con uno stupore pieno di spavento: non capiva quelle parole, ma l'aspetto di donna Gabriella e la veemenza del gesto le incutevano un terrore che la facevano smarrire. Che cosa volevano dire quelle parole? Di che onore parlava? Che male aveva commesso?..

"Signora madre," balbettò: "non capisco!..."

La duchessa riprese con un riso convulso e sarcastico:

"Non capisci? Alla tua età, non capisci!.. Te lo farò capire io!..."

Tacque un po', come per assaporare il piacere delle indagini che voleva fare; poi, con la bocca amara le domandò:

"Quando il signor Blasco t'ha posto in sella, davanti a lui!.. t'ha posto davanti a lui, non è vero?"

"Sì..."

"Ebbene, ti ha egli abbracciata? Ti ha stretto per la vita... così?.."

Le cinse il busto, premendola per il seno; e la sua mano tremava...

"No, signora madre," rispose Violante con semplicità; "mi ha detto invece: "Abbracciatevi a me" e sono stata io ad abbracciarmi a lui per non cadere..."

"E... e t'è piaciuto stringerti a lui? Non hai provato nessuna gioia nel premerti a lui?"

Violante arrossì; il suo pudore si ridestava.

"Di'... parla!..."

"Non so... non potrei dirlo;" balbettò la fanciulla; "avevo tanta paura!"

"Non trovi bello il signor Blasco?"

Violante arrossì un'altra volta: poi sbiancò in volto e le sue labbra diventarono smorte. Il suo petto parve gonfiarsi: balbettò con voce supplichevole:

"Perché mi fa queste domande che mi confondono, mi fanno morire?.."

La sua voce tremava per le lacrime represse: ma donna Gabriella sentiva di dover essere più feroce e spietata:

"Confessa," disse con voce alterata e collerica "confessa che tu ami il signor Blasco!..."

Violante gettò un grido e si coperse il volto con le mani; amare? Che cosa voleva dire la sua matrigna? Ecco che quella parola svegliava improvvisamente nel fondo della sua coscienza oscuri istinti rivelatori, che fino a quel punto lei non aveva compreso, o che erano passati inosservati, e la conturbavano profondamente. Delle fiamme, succedendosi l'una dopo l'altra, le bruciavano il viso; delle lacrime cocenti le salivano agli occhi; una grande vergogna, un grande sgomento, uno smarrimento inesplicabile e inesprimibile la invasero. Quella parola: amare, che aveva pronunciato tante volte nelle preghiere, le appariva come una parola nuova, piena di misteri, di paure, di minacce, di cose ignote e tuttavia come un non so che, al quale non poteva sottrarsi, come una meta alla quale doveva giungere con un uomo... Un uomo!... Il signor Blasco! Il velo entro il quale Blasco da Castiglione le era apparso, ecco si squarciava; la simpatia oscura, quel dolce sentimento di attrazione che non le parevano nulla di straordinario, nulla di diverso da ciò che provava per altre persone la cui vista le recava piacere; quell'ammirazione, quella fiducia, quell'abbandono, quella gioia di vederselo accanto, di sapersi salvata da lui, di parlare di lui; tutto ciò era dunque amore!... Ella amava Blasco! E soltanto ora tremò al pensiero che lo aveva abbracciato, che si era stretta a lui, che aveva dormito col suo volto presso il volto di lui, con le sue mani nelle mani di lui. Tremò, e un brivido le corse per la persona e un dolore e un languore contemporaneamente le discesero per il sangue, e un singhiozzo le eruppe dal petto. Amava Blasco!... Lo spavento e la vergogna la pervadevano e tuttavia le insinuavano nel sangue un desiderio e un tormento.

Curva sopra di lei, donna Gabriella la scrutava; il suo sguardo scendeva, penetrava nelle profonde latebre di quel cuore inesperto che non conosceva infingimenti e si rivelava.

"Tu l'ami, dunque?" insisteva.

Le strappò violentemente le mani dal volto. Violante credette di avere commesso una gran colpa; l'aspetto minaccioso, alterato della matrigna le faceva apparire quello che ella chiamava amore, come qualcosa di mostruoso. Si buttò in ginocchio, dinanzi a donna Gabriella, singhiozzando:

"Perdono! perdono!..."

Perdono di che? Di che cosa si accusava? Che aveva fatto? Perdono!...

Donna Gabriella prese quelle parole come una confessione; l'ira e la gelo sia l'accecarono; percosse la figliastra, la buttò per terra, esclamando fra i denti serrati:

"Tu non lo vedrai mai più!... tu non l'avrai!... No! no! no!"

Uscì riserrando la porta e lasciando la povera fanciulla per terra, singhiozzante e atterrita.

La duchessa aveva il cuore gonfio dalla bramosia di vendicarsi: fece subito attaccare la sua carrozza e si recò al palazzo reale per chiedere un'udienza straordinaria al Vicerè.

Non era veramente giornata d'udienza e l'anticamera era vuota di postulanti; del resto l'anticamera del Vicerè Mattei non aveva nulla di comune con quelle dei vicerè spagnoli, alle quali i siciliani erano avvezzi.

Le abitudini di parsimonia che il re con la sua prammatica aveva cercato di imporre alla nobiltà del regno, erano rigidamente osservate nella misura su cui mantenevasi la corte viceregia. Salvo il numero strettamente necessario di lacchè, valletti, paggi, uscieri, camerieri, segretari e ufficiali non vi era quel codazzo di cavalieri e di parassiti che assiepavano le sale del palazzo reale ai tempi dei vicerè spagnoli, e che formavano per essi una corte sontuosa e veramente regale. Le livree stesse non avevano lo sfarzo di galloni e ricami, cui erano avvezzi gli occhi dei cittadini, e che, costituendo il segno esteriore della regalità, inorgoglivano il popolo della capitale, che vedeva in essa quasi un rispetto alla sua importanza, una prova della considerazione in cui era tenuto dal rappresentante del re.

Quella del Vicerè piemontese era una anticamera modesta, di gente che va al sodo e non cura gli apparati e le vanità: il conte Mattei aveva accettato dal Parlamento, come i vicerè spagnoli, il donativo di mille onze per sè e di duecento per il suo cameriere maggiore, ma non aveva con ciò derogato dalle sue consuetudini di vita, nè aveva posto la corte viceregia sopra un trono più magnifico.

Quando la duchessa giunse al palazzo reale, il conte Mattei stava ancora nel suo gabinetto di lavoro, col segretario, ordinando la posta consueta da spedire al re a Torino e cercando di orientarsi in quel labirinto di leggi, consuetudini, costituzioni, privilegi, prammatiche, giurisdizioni che costituivano la legislazione del regno. Egli aveva inoltre per le mani la questione di Roma; la lotta impegnatasi con la Curia, per l'interdetto lanciato sopra due diocesi: quella di Catania e quella di Girgenti, che minacciava di allargarsi per tutta la Sicilia.

Tuttavia l'aspetto alterato della duchessa, il suo nome, indussero il cameriere maggiore a passare l'ambasciata a sua Eccellenza. Se la segreteria fosse stata chiusa, se l'orario assegnato all'ufficio fosse stato trascorso, donna Gabriella avrebbe invano scosso l'inflessibilità del cameriere maggiore.

Sua Eccellenza si degnò ricevere la duchessa, in una saletta vicina. Anche egli rimase impressionato al vedere donna Gabriella, e temette che da Torino le fosse pervenuta qualche notizia dolorosa.

"Vengo a implorare la giustizia di vostra Eccellenza," gli disse donna Gabriella.

"Sono qui, appunto per esercitare questo ufficio, madama; parli pure..."

"Vostra Eccellenza sa dell'educanda che fu rapita l'altra notte dal monastero di Montevergini."

"Sì; ebbene?"

"Vostra Eccellenza sa ancora che l'educanda è la figlia del duca della Motta... e mia figliastra..."

"Sì, e ha dato gli ordini più rigorosi per ricercarla e punire i colpevoli..."

"Non occorre ricercare la fanciulla; ella è in casa mia!.."

"Come?..."

"La giustizia di vostra Eccellenza non è stata così sollecita, come me..."

Il conte Mattei aggrottò le sopracciglia, ma non potè dominare il suo stupore:

"E in casa di madama?... Dunque non l'avevano rapita?..."

"L'avevano rapita, Eccellenza; e stamattina, avvisata dalla povera fanciulla, sono andata io a riprenderla, in campagna, dove l'avevano quasi abbandonata... e in quale stato!..."

"Madama, mi stupisce... Dove?.."

"Alla Grazia... Conosco i colpevoli, anzi il colpevole..."

"E chi è costui?"

"Un avventuriero, che fu già ammesso in casa nostra dalla liberalità del duca, mio signore e marito; un certo Blasco da Castiglione, che forse voleva tirare un colpo sul patrimonio della fanciulla, una coerede del duca..."

"Blasco da Castiglione?... Aspetti, madama; non è un giovane che fu arrestato a Messina ed è fuggito?..."

"Appunto..."

"Ma è ricercato dalla giustizia!..."

"Ebbene, egli se ne ride, se può venire a Palermo e compiere, a dispetto di tutto, un'impresa come questa di rapire un'educanda!..."

"Ma furono avvisati i Beati Paoli."

"Egli deve essere uno dei capi."

"Madama può darmi delle indicazioni sul reo?"

"Egli si aggira per quelle contrade, a quanto sembra. Il luogo dove io ho trovato la mia figliastra appartiene al principe di Trabia..."

"Va bene: la ringrazio di queste notizie..."

"Ma non bisogna escludere, Eccellenza, che egli venga a Palermo e che a quest'ora, forse, ci si trovi..."

"Ha degli amici noti, oltre quelli della setta?"

"Uno, che io sappia... il cavaliere della Floresta..."

"Un signore?"

"Sì... è conosciuto..."

"Suo protettore?..."

"Forse..."

"Darò gli ordini opportuni..."

"Vostra Eccellenza tenga presente che, dopo questo ratto, la fanciulla se non ha perduto la vita, ha perduto la reputazione."

"Madama, lasci fare a me..."

Pareva con queste parole che il Vicerè congedasse la duchessa, ma donna Gabriella aggiunse:

"Intanto io non mi sento più si cura nel mio palazzo: supplico Vostra Eccellenza di ricoverarmi in qualche castello regio, con la figliastra, per mia tranquillità... fino al ritorno del signor duca mio marito!.."

Il Vicerè pensò un minuto e rispose:

"Non sarebbe mal fatto. Sarebbe contenta del castello di Termini? Vi fu ricoverata la famiglia del vicerè nei torbidi del 1709, se non sbaglio..."

"Ne sono contenta e ringrazio vostra Eccellenza di tanta bontà. E allora, vorrei supplicarla di dare gli ordini opportuni, perché io partirò subito..."

"Vuole partire per terra? Non glielo consiglierei: ho notizia di una banda di ladroni di strada, che scorrazza sulla strada di Termini..."

"Partirò per mare; ordinerò una feluca..."

"La farò accompagnare da un sergente."

"Oh, Eccellenza, gliene sono gratissima e scriverò al mio signor marito le sue grazie..."

Questa volta donna Gabriella si alzò, baciò la mano di sua Eccellenza, e se ne tornò al palazzo. Appena entrata chiamò il maestro di casa:

"Subito: andate alla Cala, contrattate una feluca che parta per Termini fra due, tre ore al più tardi: e ordinate i bauli per me e per la duchessina."

L'ordine mise a rumore il palazzo, già sossopra per gli avvenimenti straordinari di quei giorni. Le cameriere si affaccendarono a riempire bauli e sacchi di vesti, di biancheria e gioielli, e di tutto ciò che poteva occorrere all'abbigliamento della padrona. Dei servi andavano e venivano per avvertire il procuratore, il razionale o "contatore", - come allora si diceva - e i parenti. Quelle due ore furono un affaccendarsi, un correre, una via vai di portantine e di carrozze. La servitù pareva aver perduto la testa. Nella strada, dove per tutta la giornata non si era fatto che chiacchierare e commentare il rapimento, il ritrovamento e il ritorno della fanciulla, si formavano dei crocchi; la notizia che la duchessa si recava a Termini con la figliastra correva su tutte le bocche. Ognuno la spiegava a suo modo. C'era anche chi credeva che fosse una punizione, per non avere vegliato abbastanza sulla fanciulla.

Quando a ventun'ora d'Italia, la duchessa uscì dal palazzo, in carrozza, con la figliastra accanto, seguita in un'altra carrozza dalla sua cameriera e da un servo, trovò la strada quasi sbarrata dalla folla e dovette aprirsi il varco a stento.

I parenti più vicini l'accompagnarono fino alla Cala dove la feluca era ormeggiata, presso la chiesa dì Piedigrotta. per tutto quel tempo donna Gabriella non disse una parola alla figliastra. Le sole parole che le rivolse, tornando dal palazzo reale, furono queste:

"Le fanciulle pari vostre si chiudono nei castelli, preparatevi a partire."

E non le disse altro. Violante rimase come impietrita da quell'annunzio e più dalla durezza con cui le fu dato: obbedì e per tutto il tragitto se ne stette nell'angolo della carrozza come per sottrarsi agli occhi di tutti, e col capo basso per non vedere e per non essere veduta. Credeva veramente di avere commesso qualche grave mancanza, e che questa le si leggesse sul volto: ma intanto, da quando la parola di donna Gabriella le aveva squarciato la nebbia della inconsapevolezza e le aveva illuminato, senza volerlo, le profondità del cuore, Violante non pensava che a Blasco e la immagine del giovane le insisteva dinanzi agli occhi della mente, così, come lei l'aveva lungamente guardato, col bel volto appoggiato al suo guanciale e soffuso della dolce tranquillità del sonno.