Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte terza, capitolo 9

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Il pomeriggio era uno splendore di cielo autunnale e il mare per tutta la ampiezza del golfo e fino al limite dell'orizzonte era un gran piano azzurro dolcemente increspato alla superficie. Capo Zafferano soffuso della luce del sole pareva fatto di rose e di viole, mentre Monte Pellegrino appariva in un'ombra bigia.

La feluca aveva spiegato le vele e sembrava guizzare sopra le onde, lieve come un grande uccello. Il capitano, ritto a poppa, regolava la manovra e dietro a lui il timoniere governava il timone secondo i cenni del capitano. Donna Gabriella e Violante s'erano sedute sopra i cuscini, dentro la cabina di coperta; i due servi s'erano accomodati sotto una tenda, lì a fianco. Un grosso cane nero si era avvicinato a loro e poi alla cabina, fiutando serio e taciturno e s'era andato ad accovacciare ai piedi del capitano. L'equipaggio di sei uomini compreso il mozzo, attendeva a manovrare per prendere vento. Una piccola fiamma di color bianco e rosso, issata in cima all'albero, sventolando, produceva un frullio continuo e uguale. Il sergente che accompagnava le donne passeggiava.

A mano a mano che la nave prendeva il largo, la costa si dispiegava dinanzi agli occhi di donna Gabriella; e la città ricominciava a vedere nettamente dal bastione di Gonzaga al fianco meridionale, dai bastioni del Tuono e di Vega, a Porta Felice, fino al forte della Garita che segnava la bocca della Cala e al Castello che sorgeva all'altro lato. Oltre i bastioni sorgevano i campanili e le cupole; si riconoscevano quelli della Cattedrale, aguzzi e gialli. Di qua la pianura di S. Erasmo coi forti della Tonnarazza e del Sagramento e poi il verde dei giardini; in fondo, la corona dei monti, un anfiteatro ampio e magnifico, e Monreale distesa sopra un colle, e di fronte il piccolo villaggio del Parco e in alto i ruderi del Castellaccio. Poi, cadendo a poco a poco il sole dietro la aguzza cima di Monte Cuccio, tutto questo scenario si copriva di una ombra cinerea, dalla quale emergeva qualche cima, qualche punta rosea, che diventava color di rame acceso, poi illanguidiva, rientrava nell'ombra cinerea. Una grande malinconia avvolgeva tutte le cose. Veniva la sera. Dalla città ormai lontana giunse tenue e dolce il suono delle campane. Altre navi passavano silenziose per rientrare nel porto.

La feluca aveva ormai raggiunto la altezza del Capo Zafferano e ora ne doppiava l'estrema punta, oltre la quale s'apre più vasta e meno tranquilla l'ampia insenatura nella quale sorgono Termini e Cefalù. Il monte Catalfano, la cui estrema sporgenza forma il capo, è alle sue spalle frastagliato da seni e scogliere che paiono nascondigli. Una galea vi si poteva nascondere senza essere veduta e i barbareschi, che lo sapevano, spesso vi si appostavano, eludendo la vigilanza delle guardie di marina, sperse lungo il litorale, nelle torri di avviso, delle quali ancora qua e là si trovano gli avanzi.

La feluca aveva aggirato quella specie di faraglione che forma l'estrema punta del capo, ed entrava, quasi costeggiando, nel gran seno termitano. Il capitano aveva fatto ammainare alcune vele secondo la nuova rotta e aveva fatto accendere il fanale a prua, sebbene ancora nel cielo dominasse lo ultimo chiarore del giorno; e sicuro ormai della rotta s'era messo a sedere sul cassero di prua, dove i marinai, acceso il fuoco in un fornellino di coccio, cocevano una minestra di pesce. Donna Gabriella aveva fatto accendere una lucernetta di terracotta smaltata e recitava il rosario, e Violante stava rannicchiata in un angolo, senza muoversi nè fiatare, per la soggezione che aveva della matrigna e per un vago senso di paura che la dominava.

Ad un tratto s'udì un gran tonfo di remi e una barca guizzò da dietro un farfallone, movendo rapidamente sulla stessa linea della feluca. Non aveva fanale. Pareva una di quelle paranze d'alto mare, lunghe, capaci e veloci al corso. Il capitano ficcò gli occhi nella penombra e disse:

"Otto rematori e molta gente a bordo... Saranno soldati. Pescatori no, di certo... Pare che abbiano la stessa rotta."

La barca, vogando parallelamente a babordo della feluca, l'aveva sorpassata di una quarantina di braccia, quando invece di continuare, si fermò, virò di bordo, e si pose quasi sulla stessa rotta della feluca come per stringersele addosso.

Il capitano si alzò e venne al bordo della nave, ma ecco improvvisamente balenare delle canne di fucili, dei lampi squarciare le tenebre, delle palle, sibilando, forare, sbrandellare la vela, bruciacchiarla in quattro o cinque punti diversi.

"Ohè!" gridò il capitano, impugnando un fucile. Il sergente glielo tolse di mano e fece fuoco, ma una seconda scarica dilaniò la vela in altri punti, tempestò l'albero e ferì sergente e marinai. Il lampo delle fucilate rivelò gli uomini della barca.

"Siamo assaliti dai corsari!" gridò il capitano.

Un sentore di arsiccio avvertì che la vela stava già bruciando. "I remi! i remi!" ordinò il capitano.

Ma la barca gli si era stretta addosso; degli uomini armati di rostri e di ramponi, l'arrembarono. Dodici uomini, dei quali alcuni vestiti alla foggia dei barbareschi, altri in una foggia strana, ma armati di schioppi e di mazze balzarono sulla feluca gettandosi sopra il capitano e i marinai, che la paura di quell'assalto aveva inchiodato quasi sul loro bastimento.

Quelle fucilate avevano agghiacciato il sangue nelle vene di donna Gabriella e di Violante; non sapevano di che cosa si trattasse, ma temevano qualche sinistro. Le catture dei legni non erano in quei tempi così infrequenti da non temere, in viaggio, di fare qualche incontro e il capitano aveva preferito navigare di notte lungo la costa perché col buio c'era maggiore probabilità di sicurezza. Donna Gabriella, dunque, corse con la mente al terribile pericolo di cadere nelle mani dei barbareschi e il terrore che n'ebbe fu così grande, che per poco non svenne. Ella sapeva quale sorte era serbata alle donne giovani e belle: l'harem. Sì, sapeva di fanciulle vendute nei mercati di Costantinopoli, d'Algeri, o di Tunisi e portati poi al sultano o al Bey.

Per istinto ella si cacciò in fondo alla cabina, rannicchiandosi per celarsi, credendo di potere sfuggire alla ricerca di quei banditi, ma in quel punto due uomini si presentarono alla porta della cabina, gridando:

"Non un gesto o siete morte!..."

Ma esse non potevano muoversi; il terrore aveva serrato loro la lingua e intorpidito le membra. Due uomini le presero, se le caricarono sulle braccia e le trasportarono nella loro barca: gli altri, intanto, dopo avere bastonato e legato i marinai, il servo e la cameriera, rovistavano la feluca, ne toglievano le armi, una tenda, i cuscini, il bagaglio e con questo bottino ritornarono sulla loro paranza.

Le due donne vi stavano rannicchiate, mute, terrorizzate; nel comune peri colo si stringevano l'una all'altra, come se ciò desse loro conforto. I corsari piantarono sopra i banchi di poppa la tenda, vi posero sotto i cuscini e vi fecero adagiare le due donne; indi, impugnati i remi, salparono facendo a ritroso il cammino della feluca, che abbandonarono in balia del vento e delle onde, coi suoi uomini legati e sparsi sul cassero.

Spuntava in quel momento dietro il dorso dei monti la luna e diffondeva la sua mite luce su tutto.

La barca, superato il Capo Zafferano, invece di ritornare in città, come per una stolta speranza aveva creduto donna Gabriella, filava velocemente al largo; gli otto remi con ritmo uguale fendevano le onde, che si infrangevano in mille riflessi, come bianche scintille sprigionate da un braciere al rimescolio della paletta.

In fondo ai banchi, sotto la tenda, le due donne si tenevano strette, guardando i rematori che si curvavano con moto uniforme sui remi, fissando gli uomini armati, che stavano di qua e di là coi fucili sulle braccia, vigilando e spiando il mare intorno. Donna Gabriella non poteva vederli in volto; alcuni di essi avevano la maschera nera; altri si celavano in una specie di cappuccio. Questa cura di nascondersi il volto insospettì la duchessa: i corsari avevano forse bisogno di non farsi conoscere? E non avrebbero dovuto avere una nave da corsa? Quella era più una barca da pescatori, che una nave da corsa. I corsari usavano galere o brigantini a tre alberi e nell'ampio specchio d'acqua non se ne vedeva alcuno. Chi erano dunque i rapitori? Quelle vesti orientali, con cui alcuni si erano camuffati, non erano forse un trucco? Condotta da pensiero in pensiero, fra dubbi e sospetti, uno gliene balenò che la fece rabbrividire e che le parve, più che sospetto, certezza: i Beati Paoli! Essi avevano fallito il primo tentativo per l'intervento di Blasco; riuscivano adesso a fare un colpo migliore, impadronendosi di due persone, invece che di una. Un terrore insensato la invase e le diffuse un gran tremore per tutte le membra; ella cominciò a battere i denti, con uno stridore convulso che spaventò la fanciulla.

"Che cosa è mai, signora madre?" balbettò, sentendosi smarrire.

Donna Gabriella non rispose. Guardava ora quegli uomini, temendo di vederseli piombare addosso, a un tratto, ed esserne scempio. Le tornavano alla memoria le parole del marito, il racconto di tutte le persecuzioni che, per vendetta di colpe di cui lo accusavano, non gli davano tregua e immaginava che, se tale e tanto era l'odio della setta, ella era certamente destinata a essergli immolata. Ma che c'entrava lei? Perché far pagare a lei, che non vi aveva avuto alcuna parte, i delitti di cui era accusato don Raimondo? Violante... ma Violante era figlia di lui, e si poteva capire fino ad un certo punto, che si punisse il padre nei figli. Lei però non era del suo sangue; l'avevano legata a lui ragioni di convenienza più che di simpatia, e poteva anche dire che fino a quell'epoca, aveva anche quasi diviso la sua dalla vita di don Raimondo. Si pentiva di essersi associata a lui e avere assunto, con la difesa, una parte delle responsabilità del marito: certamente i Beati Paoli sapevano ciò che lei aveva fatto a Messina e se ne vendicavano. Questa idea le empiva il petto di singhiozzi, perché non era così forte da imporsi coraggio e da dominarsi; si abbandonava invece allo spavento.

Violante non disse nulla: lo spavento della matrigna sopraffaceva anche lei con un terrore tanto più indomabile, in quanto non sapeva da quali nuove idee provenisse lo spavento di donna Gabriella.

E intanto la barca volava. La costa appariva lontana e la massa di Monte Pellegrino, nera e tagliente, discopriva ora dietro di sè, più basso, erto sul mare, Monte Gallo. La valle fra i due monti era diffusa del tenue lume lunare. Ora in fondo all'orizzonte, incerta nell'ombra del cielo, appariva la macchia di un monte isolato e pareva che la barca vi dirigesse la sua prora. Donna Gabriella riconobbe Ustica.

Andavano dunque in quell'isola solitaria e deserta, rifugio e nido di pirati? Ivi si poteva essere uccisi e abbandonati, preda di uccelli rapaci, senza che anima viva ne sapesse nulla, giacchè in quel tempo l'isola non era abitata. Guardò la lontana sponda del la Sicilia frastagliata di monti, e pensò che a poche miglia, in fondo a una larga spiaggia, sopra un colle, c'era il castello di Carini, dove nessuno si sarebbe attentato a nuocerle, perché sarebbe stata difesa dai vassalli di casa sua. Come mai non aveva pensato a rifugiarsi in quel castello? E allora le affluirono alla mente le ragioni che l'avevano spinta verso Termini, e vide nella figliastra la fonte di quella gelosia che l'aveva accecata; e l'odio sopito dalla paura si ridestò, divampò. Ella pensò con gioia feroce che anche la figliastra sarebbe stata uccisa, e prima di ucciderla quegli uomini certo avrebbero fatto ludibrio di quel corpo ancora acerbo; Violante sarebbe passata dalle braccia di uno a quelle degli altri, svergognata, insozzata da baci osceni e diversi, prima di morire: e nessuno l'avrebbe salvata, nessuno!

Così trascorreva la notte; la luna era già alta nel cielo e spandeva dovunque il suo chiarore. Ustica appariva chiaramente, con le sue valli profonde e nere, gli scogli irti a fior d'acqua, le sponde orlate di una spuma che al chiarore lunare biancheggiava come lo argento.

La barca finalmente si fermò in una piccola rada naturale, formata da scogli che la riparavano dai venti. Allora uno di quegli uomini si presentò sotto la tenda e disse:

"Alzatevi, siamo arrivati."

Donna Gabriella giunse le mani supplicando:

"Signori, signori!... abbiate pietà di me... vi darò tutto quello che volete, ma non mi fate nulla... Non ho commesso nulla... non vi conosco!... abbiate pietà!"

L'uomo la rassicurò:

"Non abbiate paura: non vi sarà fatto il menomo male e nessuno vi mancherà di riguardo... Ma bisogna sbarcare..."

"Mi abbandonate in quest'isola?"

"No, signora... Ma sbrighiamoci."

Violante seguiva quei dialoghi tremando, aspettando ansiosa una parola che la confortasse. Anche lei temeva ora di essere ricaduta in balia degli uomini che l'avevano rapita la prima volta, e stava come un agnelletto dinanzi al coltello che deve sgozzarlo. Bisognò obbedire e sbarcare. Quegli uomini armati si erano posti dinanzi e dietro di loro, come per impedire anche un atto di follia. Essi le aiutarono a mettere piede a terra e le trassero sulla costa, fra alcuni sassi, dove si fermarono. Quattro uomini sedettero, coi fucili fra le gambe, il volto coperto dalla maschera, taciturni e rigidi; gli altri ritornarono alla barca. Donna Gabriella vide che quelli che avevano vesti barbaresche se ne liberavano, ne facevano dei fardelli e li nascondevano a poppa e che gli altri si toglievano il cappuccio e la maschera fidando nella lontananza che rendeva impossibile vederli in volto. Vide anche con uno stringimento di cuore, che la barca si allontanò dalla riva e prese il largo. Poco dopo cominciò ad albeggiare e a spirare un venticello frizzante che faceva accapponare la pelle.

Uno di quegli uomini si accorse che le due donne sentivano freddo e porse loro dei mantelli, senza dire una parola. Verso mezzodì si vide un piccolo bastimento a due alberi, con le vele spiegate, avvicinarsi alla costa. Donna Gabriella e Violante guardarono trepidando, non sapendo se fosse qualche soccorso insperato, ma invece ben presto, disingannate, tremarono all'idea di un nuovo pericolo.

Dalla nave infatti una specie di banderuola rossa sventolò a riprese in cima all'albero; uno degli uomini che stavano lì accanto, trasse un fazzoletto rosso dalla tasca, lo legò alla canna del fucile come una bandiera e, montato sopra un sasso, per tre volte, a riprese, lo sventolò. Non ci voleva gran che a indovinare che erano dei segnali.

"Vengono a prenderci," disse seccamente uno degli uomini mascherati a donna Gabriella.

"Per andare dove?"

"Non lo sappiamo..."

"Come? Non lo sapete?..."

"Non lo sappiamo," ripetè lo uomo con un tono che significava: è inutile domandare; tacete!...

Poco dopo il bastimento approdò a poca distanza dalla costa e calò in mare un caicco, con un rematore. Vi fecero entrare le due donne con uno di quegli uomini mascherati, che le accompagnò a bordo del bastimento; il caicco ritornò a terra per imbarcare gli altri e un'ora dopo il bastimento virava di bordo, prendeva vento e filava come una saetta.

Donna Gabriella e Violante furono fatte entrare nella cabina del comandante, sul castello di poppa, dove c'era una specie di letto e un tavolino. Esse non potevano vedere nessuno, ma capirono subito che coloro che comandavano la nave e gli uomini mascherati, appartenevano tutti alla stessa combriccola. Infatti un uomo, che fino allora non avevano veduto, ma col viso mascherato anche lui, s'era affacciato alla cabina, e dopo aver fatto deporre da un marinaio una cesta sul tavolino, aveva detto a donna Gabriella, con accento cortese:

"Vostra signoria probabilmente avrà fame; in questa cesta c'è un po' di roba fredda... Vostra signoria mangi e stia tranquilla."

Ma lei non aveva fame, o forse lo spavento che si era impossessato di lei, non le faceva sentire gli stimoli dello stomaco. Si stupiva di quelle maniere cortesi e dei segni visibili di rispetto, per i quali pareva che non fosse prigioniera, ma una donna che viaggiasse per diporto in una sua nave. Un marinaio, col berretto in mano, le aveva detto:

"Se vossignoria ha bisogno di qualche cosa chiami picchiando sulla parete."

Bisogno? Oh, ne aveva uno solo, prepotente: sapere dove la portavano e perché l'avevano catturata. Picchiò. Il marinaio si presentò sulla porta:

"Comandi?"

"Chiamatemi il capitano, il comito, il padrone, insomma chi comanda la nave..."

"Subito."

Un vecchio lupo di mare, tutto raso, il volto abbronzato e rugoso, venne poco dopo, col cappello in testa e le maniche rimboccate.

"Vossignoria vuole me?"

"Scusate, brav'uomo: voi siete il capitano."

"Illustrissima, sì."

"Ebbene, vi prego di dirmi dove andiamo..."

"Non lo so, hanno noleggiato il mio bastimento.... io comando la ciurma, so che devo fare questa rotta, ma ignoro il punto di sbarco, ancora."

"Ma dove siamo?"

"All'altezza del Capo S. Vito..."

"Come mai, se siete il capitano, non sapete dove si sbarca?... C'è dunque altri che comanda?"

"Illustrissima, sì..."

"Voi siete un brav'uomo, e io mi ricorderò di voi; vi supplico di chiamarmi costui che comanda..."

"Se non è che questo la servo subito."

Ella aspettò, ansiosa di conoscere questo capo e di sapere la ragione della sua cattura. Violante, sebbene non parlasse, la seguiva con l'anima sospesa in una incertezza piena di terrori misteriosi. Ma entrambe rimasero deluse quando videro entrare nella cabina l'uomo mascherato che aveva rivolto loro l'invito di mangiare.

"So che vossignoria desidera parlarmi" disse.

Donna Gabriella giunse le mani:

"Se siete voi il capo, se siete voi che comandate, signore, vi scongiuro, vi supplico per quello che avete di più sacro; ditemi perché mi avete sequestrata, ditemi dove mi conducete... che cosa volete da me..."

"Nulla, signora duchessa: noi non vogliamo nulla. Abbiamo l'ordine di custodirla con tutti ! riguardi della. sua condizione e di sbarcarla nella marina di Girgenti..."

"Non siete dunque voi che comandate?"

"No, signora..."

"E chi dunque?"

"Dio solo lo conosce..."

"O signore, non vi prendete giuoco di me; fatelo per le anime dei vostri morti... Chi vi ha ordinato questo?..."

"Gliel'ho detto, il nostro capo..."

"Ma..."

"Credevo che vossignoria avesse compreso in potere di chi si trova..."

Ella tremò; balbettò: "I Beati Paoli..."

"Per servirla," confermò inchinandosi, ma sorridendo ironicamente sotto la maschera.

"I Beati Paoli..." mormorò Violante si sentiva venir meno e ricordando il primo ratto. Questa volta era nelle loro mani, senza speranza di essere salvata da nessuno. Blasco, prode e valoroso, emerse dal fondo del cuore ai suoi occhi: dov'era dunque? E perché non aveva vegliato su lei?..

Un silenzio opprimente calò sopra le due donne, che non sapevano che dire e che fare e il loro terrore era così vivo e angoscioso, che l'uomo mascherato ne parve commosso.

"Vostra signoria si rassicuri che non le sarà torto un capello, e che non le mancherà nulla di ciò che occorre a una dama di qualità del suo grado; e lo stesso dico della signora duchessina... Abbiano fiducia. Gli ordini sono rigorosi e precisi, nè le loro persone, nè i loro averi, nè il loro onore avranno a temere. Soltanto che staranno come prigioniere, e quindi obbligate a non fare nessun atto di resistenza, a non destare alcun sospetto, perché in questo caso abbiamo ordine di ucciderle immediatamente..."

Il tono delle sue parole, a questo punto, ebbe una durezza crudele, che apparve maggiore alla vista del calcio di una pistola, che egli portava infilata alla cintura.

"Ma io sono certo," aggiunse egli più dolcemente "che non saremo costretti a questo rigore. Del resto, perché vostra signoria dovrebbe gridare? Noi non facciamo che contentarla. Vostra signoria voleva ricoverarsi nel castello di Termini; ebbene, noi, invece, la ricovereremo in un altro castello, dove sarà meglio servita e più sicura, perché non avrà nulla da temere..."

"Ma è una prigionia!... una prigionia perpetua!" gridò disperatamente donna Gabriella.

"Oh no, signora; essa durerà quanto piacerà a vostra signoria e allo illustrissimo signor duca della Motta, suo marito."

Il giorno dopo donna Gabriella e Violante sbarcavano in un punto remo to della spiaggia meridionale, in un sito sabbioso, che s'elevava in colline giallognole, qua e là sparse di lentischi e di palme da scope, isole verdi in un mare giallo. La spiaggia era deserta, nè era segnata da alcun sentiero. Cinque uomini sbarcarono con le donne e se le posero in mezzo; avevano barbe e parrucche posticce, che li rendevano irriconoscibili; uno solo teneva la maschera sul volto, ed era il capo con cui donna Gabriella aveva parlato.

Salirono lentamente la collina, sulla cui sommità si vedevano sparsi per terra grandi massi e tronchi di colonne smisurate, sui quali sorgeva ancora, come un naufrago che stenda la mano oltre l'onda che gli sovrasta, una colonna mozza. Erano gli avanzi di Selinunte, in gran parte ancora sepolti sotto il terriccio. Presso quelle rovine incontrarono un vetturale che si traeva dietro, legati l'uno all'altro, cinque cavalli e due mule, bardati e sellati.

Donna Gabriella e Violante furono fatte montare sulle mule, e poste in mezzo agli uomini che già erano in sella, e la comitiva, guidata dal vetturale, si avviò. Tutto intorno era una campagna uniforme, senza vegetazione, deserta, che non finiva mai. Lontano lontano, si disegnavano cerulei i dorsi dei monti, dietro poggi e colline aride, o coperte di erbe selvatiche e di lentischi. Incontrarono dei pastori che appoggiati al bastone e sonando uno zufolo di canna sorvegliavano le pecore sparse fra le erbe e i cespugli: lo scalpitio faceva loro voltare il capo: essi riconoscevano due dame e si sberrettavano, immaginando che fossero due signore che si recassero nelle loro terre, accompagnate da campieri. Fu il solo incontro; le terre erano deserte: non una fattoria, non una casa, non un pometo, non una cisterna. Il feudo, il latifondo, in tutto il suo squallore.

Sopra una collina v'erano le torri di avviso costruite fin dal '500 per tutto il litorale, che servivano principalmente per avvertire l'avvicinarsi di galere barbaresche.

Cavalcavano in silenzio per quella ampia solitudine; al vetturale certo quel silenzio parve opprimente, perché cominciò a cantare una di quelle patetiche arie siciliane, che paiono gemiti di passione e di dolore.

Quel canto scendeva nel cuore di Violante come un invito a piangere: in quelle solitudini, in mezzo a quella gente, dinanzi all'ignoto della sua sorte lontana, in una regione ignota che poteva essere per lei così la Sicilia come l'Africa, priva di un cuore che la intendesse, di un seno sul quale rifugiarsi, accanto a quella matrigna che le dava soggezione, ella sentiva sempre più trasportarsi a Blasco, e nella visione di quella immagine provava come un sollievo. Quel canto che esprimeva il dolore della lontananza con una espressione che rispondeva allo stato dell'animo suo con un desiderio e una passione che lei sentiva ora dentro di sè, la commoveva profondamente. Le pareva d'ascoltare la sua stessa voce.

Donna Gabriella, invece, stava muta, con le sopracciglia aggrottate, pallida, dibattendosi internamente fra due sentimenti, uno di paura, l'altro di speranza. La paura di un ignoto terribile, come l'esecuzione di una vendetta da lungo tempo premeditata e che ora piombava sul suo capo, non potendo cadere sul capo di don Raimondo; la speranza che in fondo sarebbe stata una viltà prendersela con lei e che, a giudicare dalle maniere rispettose di quegli uomini e dallo assicurazioni abbastanza precise di quello che pareva il loro capo, non volessero veramente usarle alcuna violenza.

Ella pensava soltanto a sè, ora, e non si preoccupava della figliastra, anzi riflettendo che quella rappresaglia era diretta contro don Raimondo trovava quasi ragionevole che Violante la subisse. Del resto il pericolo che sovrastava entrambe non aveva in lei attutito il morso della gelosia; pensava con feroce compiacimento che forse Violante sarebbe uscita da quella avventura svisata e brutta. Ah, se ciò potesse avvenire!... Ella non avrebbe avuto più una rivale così pericolosa e odiosa.

Cavalcarono quasi tutta la giornata, non concedendosi che qualche riposo, all'ombra di un albero solitario, per prendere un boccone. Avevano raggiunto la linea delle montagne e ora per gole profonde e boscose, ora per ripide chine, o salendo su per sentieri sull'orlo di precipizi che facevano venire il capogiro erano andati avanti, senza incontrare una città, un borgo, un castello. Qualche volta, ai piedi o sui fianchi di un monte vedevano più o meno lontano biancheggiare la massa confusa di una città; le due donne credevano che quella fosse la meta del viaggio, ma ad un nuovo gruppo di colli, la città spariva ai loro occhi.

Finalmente, sulla cresta di un'alta rupe videro un castello, simile a un falco appollaiato, con la torre alta e merlata, le mura massicce.

La guida disse, indicandolo al capo della comitiva: "Ecco."

Donna Gabriella udì e guardò anche lei, domandandosi come avrebbe fatto a salire su quella rupe, sulla quale non pareva segnato alcun sentiero.

Ma il sentiero c'era, girava dall'altro lato, serpeggiando; le bestie, un po' stanche, lo salirono a fatica; dopo mezz'ora giungevano dinanzi alla porta dove altri uomini armati pareva che aspettassero.

Una donna, una vecchietta manierosa e umile, venne a ricevere le donne, a piè della scala che correva esternamente lungo il muro della corte e aveva un aspetto onesto e rassicurante, ma l'aspetto degli uomini, sebbene rispettoso, pareva dire: "Badate, da qui non si scappa".