Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte terza, capitolo 17

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Il viaggio verso Palermo fu triste e silenzioso. Blasco aveva fatto apprestare due lettighe, giù ai piedi della rupe, in una delle quali entrò donna Gabriella, nell'altra Violante e la zia Nora. Gli uomini armati, a cavallo, precedevano e seguivano in due gruppi le due lettighe, ma accanto a quella di donna Gabriella cavalcava Blasco, accanto all'altra Cristiano.

Dopo quella crisi che per poco non aveva fatto della duchessa una omicida e una suicida, ella si era chiusa in un mutismo cupo e disperato. Blasco aveva tentato qualche parola di conforto, per sollevarne lo spirito, per richiamarla in se stessa, ma ella non gli rispose; solo una volta fissò intensamente sopra di lui il suo sguardo fosco e profondo e un'altra volta levò gli occhi su in alto verso la rupe sulla quale torreggiava il castello, in parte rovinato, di cui ignorava ancora il nome e il sito. Era l'antico castello della Pietra, le cui rovine si vedevano ancora in cima alla rocca, donde aveva preso il nome la vicina Alessandria, edificata nel 1570 da Blasco Barresi, signore del castello.

Il sentiero percorreva le coste di alte montagne, qua e là coperte di folte boscaglie; si lasciava a destra S. Stefano di Quisquina e si sprofondava tra le falde del monte Carcaci. Passarono la notte a Prizzi donde partirono all'alba per Mezzojuso. Pareva una comitiva di signori che tornassero dal loro feudo. Le sonagliere delle mule attaccate alle lettighe risonavano, e pareva come se altre comitive viaggiassero per vie sconosciute e misteriose. Rocca Busambra avvolse nell'ombra delle sue alte creste i viaggiatori, che attraversarono lo stato di Godrano nel quale il Bosco di Ficuzza metteva una larga macchia nera e paurosa. La notte seguente sostarono a Marineo; dormirono tutti tranne Blasco e donna Gabriella. Essi erano stati ospitati nel castello del marchese, ma Blasco aveva diviso le donne e temendo doppiamente che donna Gabriella o attentasse contro di sè, o che si lasciasse trasportare dalla gelosia contro Violante, s'era sistemato nella stanza anteriore alla camera di donna Gabriella. Ma ella era divenuta quasi un automa, si lasciava guidare dovunque, senza una volontà sua e per tutta la notte non si fece sentire.

Quando la mattina dopo, la zia Nora bussò alla sua porta per domandarle se le occorreva qualcosa, si stupì di vederla bella e vestita, come il giorno innanzi, seduta presso la finestra, con la fronte appoggiata alla palma della mano, così come l'aveva lasciata la sera innanzi.

Ripartirono sul far del giorno. Il viaggio proseguì verso Misilmeri, in silenzio. Ormai si avvicinavano alla città, dove sarebbero arrivati poche ore dopo, giacchè Misilmeri non è lontana dalla capitale più di nove miglia. La strada attraversava una gola, detta Portella, che era un nido di briganti e ladroni dove quasi sempre i viandanti e i vetturali erano assaliti e depredati.

La comitiva aveva percorso regioni e contrade molto infestate da ladroni, ma aveva avuto cura di prendere sentieri poco battuti e di allontanarsi dalla strada percorsa di solito dai viaggiatori e dai "canceddi", lungo la quale si appostavano i ladri di campagna per compiere con profitto le loro imprese. Avevano, dunque, fino a quel punto compiuto il viaggio senza alcun incidente che avrebbe potuto spaventare o compromettere l'integrità personale delle donne. Ma qui non avevano altra via da scegliere: anche volendo prendere qualche scorciatoia, avrebbero dovuto attraversare prima quel passo. Nel timore di qualche incontro Blasco mandò avanti Cristiano e uno dei suoi uomini per perlustrare la strada: egli con un altro si collocò davanti le lettighe, gli altri due della scorta li pose dietro.

Erano sei uomini risoluti, che non avrebbero indietreggiato dinanzi a un battaglione.

Cristiano e il suo compagno spinsero i cavalli di buon trotto, ma non avevano fatto un terzo di miglio, che si imbatterono in una compagnia rurale, col suo capitano e l'algozino. L'algozino era Matteo Lo Vecchio.

Essi fermarono Cristiano, salutandolo alla maniera dei contadini:

"Gesù e Maria!"

Il capitano domandò:

"Siete campieri?"

"Sissignore."

"Di chi?"

"Dell'illustrissimo cavaliere della Floresta."

"Bene. Avete osservato qualche persona sospetta per la strada?"

"Nessuno, signor capitano..." I compagni d'arme avevano intanto circondato i due campieri, tagliando loro con una doppia fila la ritirata verso le lettighe. A un cenno spianarono i fucili addosso ai campieri.

"A terra!" ordinò il capitano.

Cristiano impallidì e si morse il dito, con una grossa bestemmia; indi, quasi per una improvvisa risoluzione, si lasciò cadere da cavallo e tratta la pistola dalla cintola fece l'atto di tirare al capitano, ma alcuni compagni gli spinsero addosso il cavallo e lo atterrarono. In breve, Cristiano e il compagno, nonostante si difendessero a pugni e a calci, furono legati, bastonati, gettati addosso ai cavalli, come due involti, e portati via da alcuni compagni d'arme.

"E questa è una," disse Matteo Lo Vecchio; "il meglio viene adesso. Andate innanzi, io verrò alla lontana; ma badate bene perché la bestia è selvaggia..."

Il capitano fece un gesto come per dire che l'aveva da fare con lui. Fra uno di quei bravacci, che, sebbene di non ignobili natali, si gettavano nella malavita diventando ladri, ricattatori, sopraffattori, omicidi, e finendo poi al servizio della giustizia; le compagnie rurali erano infatti reclutate tra il fior fiore del malandrinaggio delle campagne. Spesso reggevano il sacco alle bande dei briganti, specialmente se erano lasciate in balia di se stesse; diventavano ferocemente birresche, se avevano promessa di premi da qualche barone impegnato alla impresa.

La compagnia si allontanava al passo, intanto che Matteo Lo Vecchio, smontato da cavallo, sedeva sopra un sasso. I compagni andavano con un'aria tranquilla e dimessa, per non destare sospetto: svoltando l'angolo che la strada formava sulla china del colle, si trovarono di fronte alla comitiva.

Blasco trasalì ma non lo dimostrò e continuò ad avanzare con aspetto tranquillo: il sentiero non era così largo da permettere che vi potessero passare contemporaneamente le lettighe e lo squadrone dei compagni d'arme rurali. Il capitano salutò rispettosamente Blasco e diede ordine ai suoi di fermarsi e di lasciar passare: i compagni d'arme si divisero in due ali schierandosi di qua e di là lasciando in mezzo la comitiva. Essi tenevano i fucili attraverso l'arcione, sulle cosce: e Blasco, guardato il compagno che gli stava più vicino, si accorse che il fucile aveva il cane alzato. Un sospetto gli balenò alla mente; il sospetto gli si tramutò in certezza quando vide il sentiero chiuso da due compagni che vi si piazzarono al centro, e gli altri alzare i fucili e prendere di mira lui e i tre campieri.

"Fermi!" gridò il capitano; "che nessuno si muova, se non vuole morire!"

Blasco impallidì; non per sè ma per le donne, che a quel grido si erano allacciate dalle lettighe, spaventate, non sapendo in chi fossero incappate; Blasco disse al capitano:

"Signore, forse siete in equivoco."

"Te lo darò io l'equivoco!" rispose arrogantemente il capitano e voltosi ai compagni, aggiunse: "se si muove fategli fare il ballo dell'orso."

Blasco sentì i suoi nervi irrigidirsi e la collera serrargli le mascelle.

"Il primo che osa mettermi un dito addosso lo ammazzo come un cane!... Che cosa volete?"

"Nient'altro che arrestarti, legarti, e condurti al Castello..."

"Me?."

"Ordine del re..."

"Proprio me?"

"Proprio te, il nominato Blasco da Castiglione..."

Vi fu un minuto di silenzio; Blasco tremendo, guardò i suoi tre campieri, che se ne stavano immobili, impassibili, e i compagni d'arme coi fucili spianati; guardò le lettighe; dei pensieri opposti tenzonarono nel suo spirito. Certo, se non vi fossero state le donne di mezzo, che in un conflitto potevano essere colpite, non avrebbe discusso troppo sul partito da prendere, ma d'altra parte lasciarsi prendere in quel modo...

Egli visse un istante così intenso e vertiginoso che gli parve di essere vissuto dieci anni: un sudore freddo gli inumidì la fronte. Abbracciò con uno sguardo strategico la sua posizione. Egli si trovava circondato da tre lati da una diecina di compagni d'arme, dall'altro aveva le lettighe: non poteva aprirsi un passaggio dai lati, perché il sentiero era avvallato, nè di dietro, perché v'erano le lettighe, i suoi campieri e gli altri compagni d'arme; se mai avrebbe potuto tentare dalla fronte dove il passo gli era chiuso dal capitano e da un compagno d'arme. Forzare quel passo? Era da tentare, certamente, giacchè i compagni d'arme trovandosi gli uni di fronte agli altri, avrebbero corso il pericolo di uccidersi a vicenda, se egli si fosse sottratto alla loro mira con una mossa fulminea. Ma in questo caso, come avrebbe fatto a non lasciare le signore in balia di quell'orda? Tutte queste riflessioni si susseguirono quasi nello stesso istante, con la stessa rapidità con cui di notte, al corruscare di un lampo, baluginano nel cielo buio i mostruosi fantasmi delle nubi.

"Scusate, signor capitano," disse con una arrendevolezza che celava una lieve punta di ironia; "per arrestarmi e condurmi al Castello, avrete certamente un ordine..."

"Ce l'ho, e se non l'avessi sarebbe la stessa cosa..."

"Bravo! Si vede che siete un uomo nel vero senso della parola. E ho piacere, quasi, di farmi arrestare da voi. Però mi farete il favore, almeno, di dirmi se anche queste signore che io accompagno, e questi campieri, che non appartengono a me, devono essere arrestati..."

Il capitano gonfiò un po' le gote:

"Le signore," disse "no... Quanto ai campieri... si vedrà!.." "E allora, abbiate la bontà di fare accompagnare al loro palazzo l'illustrissima signora duchessa e la duchessina della Motta, giacchè io dovevo, appunto per incarico del signor duca, compiere quest'ufficio... Vuol dire che le signore mi scuseranno presso il signor duca, e il signor duca penserà poi lui a... premiarvi di quello che fate."

Queste parole misero un po' in imbarazzo il capitano; arrestare Blasco stava bene; Matteo Lo Vecchio aveva l'ordine e gli aveva promesso oltre alla taglia un grosso premio per conto di un signore; ma le due dame, che appartenevano, nientemeno, ad uno dei più alti personaggi del regno... quelle bisognava non solo mandarle libere, ma servirle con ogni attenzione riguardosa, e farle accompagnare fino al palazzo del signor duca.

"È giusto;" disse; e rivoltosi ai suoi uomini, aggiunse: "Avete sentito? Badate dunque a voi."

Blasco sorrise sotto il naso e riprese:

"E allora, signor capitano, se non vi spiace, fate passare prima le signore, perché non sembri che accompagnino un uomo arrestato."

Il capitano trovò ragionevole questa proposta e, fatto cenno a due compagni d'arme di stringersi a Blasco, disse:

"Pigliatevi in mezzo costui e se tenta di scappare, ammazzatelo."

E intanto che uno dei compagni prendeva per la briglia il cavallo di Blasco, il capitano ordinava a quelli che sbarravano la strada di lasciare libero il passo e ai lettighieri di andare avanti.

Ma donna Gabriella, che pallida e muta aveva assistito dallo sportello della lettiga a questa scena, gridò ai lettighieri:

"Fermatevi!"

Il capitano si stupì di quel contr'ordine, ma donna Gabriella, aperto lo sportello della lettiga e mostratasi in tutta la sua cupa bellezza, gli disse:

"La mia lettiga non riceve ordini che da me... E quanto al signore, vi avverto che io non tornerò al mio palazzo, se non sarò consegnata al duca della Motta, mio marito, dal signor Blasco da Castiglione. Badate a quello che fate..."

Il capitano avrebbe voluto rispondere con la sua insolente arroganza, ma trattandosi del duca della Motta si lasciò consigliare dalla prudenza e si scusò:

"Illustrissima... sono gli ordini..."

"Da chi li avete ricevuti? Dal Vicerè?... Da mio marito?..."

Dalla sua lettiga Violante, con le mani giunte, il volto soffuso di spavento, assisteva in silenzio; il cuore le batteva in petto con violenza e la sua voce interiore invocava con fervide preci l'aiuto divino. In quel momento, in cui vedeva la matrigna difendere Blasco, ella dimenticava quello che aveva sofferto da lei, e in cuor suo la benediceva.

Ma intanto che il capitano, imbarazzato, perché non avrebbe voluto dispiacere alla duchessa da cui poteva sperare qualche vantaggio, non si risolveva, e che i suoi uomini pur la curiosità si distraevano a guardare, avvenne un fatto meraviglioso.

Blasco aveva tormentato con gli sproni il suo cavallo, che frenato da lui e tenuto per il morso, gli fremeva sotto e aveva dei guizzi per tutti i muscoli. Approfittando di quell'istante di disattenzione, e trovando aperto il passo dinanzi a sè, egli, in un medesimo tempo chinandosi sul collo del generoso animale, diede un formidabile pugno sul braccio del compagno d'arme che teneva il freno e una violenta spronata nei fianchi del cavallo.

Quegli allentò la mano; questo libero, impaziente, eccitato spiccò un salto, superò il passaggio, si slanciò di carriera con un urlo terribile.

Grida di spavento, di stupore, di rabbia, gli risposero, alle quali seguì immediatamente una spaventevole scarica di fucili e una nube avvolse le lettighe.

"Dagli addosso!... su! addosso!" gridò il capitano con la schiuma alla bocca, "prendetelo a ogni costo!.."

Le fucilate erano state tirate nel momento in cui Blasco spariva dietro la curva del sentiero e nessuna lo colse; soltanto una palla, rimbalzando da un sasso, gli si schiacciò alla gamba. Nello scompiglio di quell'istante, nello accorrere per quella fuga audace e inopinata, i compagni d'arme dimenticarono i campieri, i quali approfittando di quella confusione fuggirono dalla parte opposta, verso Misilmeri, ma non senza esplodere tre fucilate contro i compagni d'arme, tra i quali accrebbero lo scompiglio per il timore di un contrattacco alle spalle.

Le fucilate avevano fatto balzare in piedi Matteo Lo Vecchio che, sospettando qualche diavoleria - e da Blasco se ne aspettava di tutti i colori, armato di fucile, guardò per il sentiero, e riconobbe Blasco. Intuì; si gettò da parte, puntò il fucile e come lo vide passare, gli sparò quasi a bruciapelo. Il ruggito di Blasco gli rivelò che lo aveva colpito; infatti gli parve di vederlo traballare, ma invece aveva colpito ad una spalla il povero cavallo che, fatti due passi, stramazzò per terra. Con un grido di trionfo il birro corse, ma Blasco era già in piedi con l'archibugio in pugno; appena si vide Matteo Lo Vecchio a portata di mano, gridò:

"Ah, cane! sei qui?..."

E alzato il fucile gli scaraventò col calcio un colpo sulla testa.

Il birro cadde senza neppure dire: ah!

Uno scalpitio di cavalli fece voltare Blasco, che vide venirsi addosso, di galoppo, cinque o sei compagni. Il suo cavallo sbarrava il sentiero; atterrarne un altro era quasi opporre una barricata fra sè e i compagni: prese di mira quello che galoppava innanzi e fece fuoco: cavallo e cavaliere si impennarono e stramazzarono per terra. Blasco si slanciò allora su per la costa del colle, irta di sassi e di siepi, dove a lui, pedone, il fuggire serpeggiando e sottrarsi alla mira altrui era in certo modo agevole; riusciva difficile, invece, ai cavalli costretti a saltare ostacoli a ogni passo... Alcune fucilate lo inseguirono: i compagni spronarono i cavalli su per il colle, ma Blasco aveva sopra di loro il vantaggio del tempo e l'agilità dell'istinto di conservazione. Donna Gabriella, alla fuga di Blasco aveva mandato un grido di gioia ed era saltata giù dalla lettiga, trepidando; Violante l'aveva seguita: entrambe alle fucilate s'erano sentite invadere dallo spavento; la fanciulla s'era buttata per terra gridando:

"Oh, Dio! oh, Dio!..."

Nè sapeva trovare altre parole.

Donna Gabriella, invece, s'era messa a gridare:

"Capitano!... Capitano!... Non fate sparare!..."

Ma il capitano, che si vedeva sfuggire la preda, non le aveva dato retta.

In un attimo i compagni d'arme si dispersero.

Alcuni, sgomentati dalla sorpresa delle tre fucilate sparate dai campieri fuggiti, s'erano calati giù per il sentiero, verso la valle; gli altri s'erano posti col capitano a inseguire Blasco. L'angustia del sentiero impediva loro di correre tutti insieme e i due cavalli e il compagno d'arme caduto formavano una barriera, che li costringeva ad attardarsi un po'.

In breve donna Gabriella e Violante si trovarono sole, con la zia Nora, i lettighieri e le mule che, in mezzo a un così improvviso fracasso, dopo avere drizzato le orecchie, se ne stavano col muso atterrato, sognando forse il sacco dell'avena e della crusca. La duchessa guardò intorno, e i suoi occhi si fissarono su Violante, il cui aspetto esprimeva tutta una folla di sentimenti; ebbero un balenio fosco e minaccioso, ma ricaddero tosto nella loro cupezza. Imperiosamente disse alla figliastra:

"Risali nella lettiga."

Violante obbedì senza dire una parola.

Anche donna Gabriella montò nella sua lettiga, ma non diede ordine ai lettighieri di incamminarsi, perché dall'altra costa del colle, donde erano spariti i compagni d'arme, risonavano colpi di fucile e la paura la tratteneva.

Poco dopo videro due compagni di arme ritornare, portando disteso sopra il dorso di un cavallo Matteo Lo Vecchio col capo e il volto orribilmente coperti di sangue, immobile, senza vita.

Quella vista, quel sangue empirono di orrore le donne, che si ritrassero indietro chiudendo gli occhi. Donna Gabriella temette di incontrare altri feriti, altri morti, di vedere altro sangue, di dover attraversare un campo di battaglia; la sua paura si accrebbe; ordinò ai lettighieri:

"Torniamo indietro!... Torniamo a Misilmeri!..."

Ma Violante pensò a Blasco. Se fosse ferito, moribondo, in mezzo alla strada, alla mercè di quei malandrini?

"Signora madre," disse timidamente sporgendo il capo fuori della lettiga "vuole abbandonare il signor Blasco? E se gli fosse accaduta qualche disgrazia?"

Donna Gabriella impallidì e riprese la sua espressione cupa, lumeggiata da un lampo ironico e geloso.

"Vorresti correre a salvarlo?..."

Uno dei lettighieri intervenne:

"Se vostra Eccellenza ha premura di andare a Palermo, si potrebbe prendere un'altra strada, invece di tornare indietro."

"Che strada?" domandò la duchessa.

"Una scorciatoia. È un sentiero difficile, ma si va sicuri da incontri..."

Donna Gabriella riflettè un minuto e disse: "Andiamo!"

Le mule, scotendo i sonagli, spinte dai lettighieri rifecero per un tratto la strada percorsa, poi piegarono per un piccolo sentiero segnato tra i sassi e le macchie dai contadini che attraversavano la montagna. Il sentiero serpeggiava sulla costa piuttosto ripida, e la salita fu lunga. Verso le ventidue ore, donna Gabriella e Violante rientravano nel palazzo della Motta.

La zia Nora era discesa a Porta di Termini e s'era dileguata, a piedi, per uno di quei vicoli.