Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte terza, capitolo 20

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Donna Gabriella, giunta al palazzo, aveva appena scambiato col marito il saluto e aveva risposto a qualche domanda di lui, ed era andata a chiudersi nelle sue stanze. Le profonde emozioni di quel viaggio avevano turbato a fondo l'animo suo, già depresso e alterato da quanto era avvenuto al castello della Pietra e sentiva il prepotente bisogno di trovarsi sola e di abbandonarsi a se stessa.

Violante, invece, rimase col padre. Don Raimondo, tralasciando la gravità e l'austerità che soleva assumere dinanzi alla figliola, s'era lasciato vincere dall'affetto paterno, e dopo avere abbracciato con impeto la fanciulla, se l'era fatta sedere teneramente sulle ginocchia, come una bambina, e le rivolgeva mille domande. Egli voleva sapere minutamente la storia di quella prigionia e nella sua curiosità legittima v'era celato un dubbio atroce.

Le carezze paterne, cui Violante non era avvezza e che non poco la sorprendevano dolcemente, le domande che la sollecitavano, la premura affettuosa con cui la incoraggiava sciolsero ogni ritrosia e ogni soggezione, e la fanciulla si sentì quasi felice di poter narrare al padre la singolare avventura che le era capitata e che le riusciva ancora inesplicabile.

Anzi le singolari avventure: giacchè incominciò dal raccontargli il suo rapimento dal monastero e il miracoloso intervento del suo liberatore. Senza volerlo, ella nominava sempre "il signor Blasco" e la sua voce prendeva delle intonazioni gentili e affettuose che equivalevano ad aggettivi, ma non s'accorgeva che quando nominava "il signor Blasco" negli occhi del padre errava un lampo di odio.

"Oh" essa diceva, "senza il signor Blasco io sarei morta, signor padre!"

Tacque soltanto la scena con la matrigna, o riserbo o paura o quell'istintivo pudore che l'avvertiva di tacere un episodio che poteva equivalere a una rivelazione o una confessione.

"Ora va' a riposarti," disse don Raimondo alla fine "devi essere molto stanca; nessuno ti toccherà un capello, e del resto fra qualche giorno, appena ci sarà il primo grosso vascello inglese in partenza, ti porterò con me a Torino..."

"Partire?" gemette Violante sgomentata dall'idea di non vedere più il signor Blasco - Perché? Perché?"

"Perché io devo ritornare a corte, e non ti lascerò certamente esposta ad altri pericoli."

Il tono di queste parole fu alquanto duretto e Violante, che rivide nel volto paterno ritornare l'antica maschera severa e fredda, chinò il capo e non disse più nulla. Gli baciò la mano e si ritirò nella sua camera. Veramente sentì anche lei un gran bisogno di essere sola. Sola? oh, no; v'era un'immagine e un nome che le stavano sempre dinanzi agli occhi e nel cuore, ed ella desiderava di chiudersi nella sua camera, per poter abbandonarsi alla sua contemplazione.

Ma quale folla di pensieri e di sentimenti! Dov'era Blasco? L'aveva veduto fuggire audacemente allontanandosi dai compagni d'arme, l'aveva perduto d'occhio, ma non dubitava che fosse salvo. La grande fiducia nella invincibilità di quel suo eroe, la rendevano sicura e tranquilla sulla sorte di lui. Nel suo cervello egli era uno di quei principi o di quei personaggi meravigliosi delle fiabe che vincono tutti gli ostacoli, abbattono i giganti e i mostri, invulnerabili e protetti da qualche fata benevola. Di certo doveva avere un'occulta potenza per poter uscire da tanti pericoli, incolume e vittorioso. Ma dov'era? Che cosa faceva?

Sprofondandosi in questa ricerca le apparve nel fondo dei suoi pensieri una figura torbida e minacciosa: quella della matrigna; la vedeva ora armata di coltello come pronta a vibrare, ma non contro di lei, decisamente contro Blasco. Un freddo terrore la prese; la sua illusione fu così viva che le tolse la percezione della realtà, le sembrò che la porta della sua camera si aprisse e che donna Gabriella entrasse lentamente e si avvicinasse a lei. Il silenzio le inchiodò le labbra.

Veramente donna Gabriella aveva aperto ed era entrata e si avvicinava a Violante. Quando le fu vicina, vedendo la fanciulla immobile e con gli occhi sbarrati, la scosse per il braccio dicendo:

"Ebbene non ti alzi?..."

Violante mandò un grido e balzò in piedi passandosi la mano sugli occhi.

"Dio! che paura!..."

"Perché hai paura?" le domandò la duchessa con voce stridente. "Perché hai paura? Hai dunque commesso qualche fallo?"

"Oh, signora madre!... Io?..."

Cercò di rianimarsi. Donna Gabriella le stava dinanzi frugandola con uno sguardo inquisitore fino nel profondo dell'anima. Dopo un istante di silenzio le disse:

"Tuo padre ti ha domandato nulla?"

"Che cosa doveva domandarmi?"

"Non fare la scema. Certo ha voluto sapere quello che ci è accaduto."

"Sì, signora madre."

"Tutto?"

L'espressione di questa parola era abbastanza significativa per lasciare qualche dubbio nel cuore di Violante, che sorrise con dolce tristezza e rispose:

"Tutto, no... Qualche cosa ho taciuto..."

"Che cosa?"

"Ciò che poteva recare un gran dolore al mio signor padre..."

Donna Gabriella stette un po' in silenzio, guardando intorno nella camera, senza vedere; poi disse:

"Bada a te! una sola parola che tu dirai per quell'incidente e io ti ucciderò! ... E non ti salverà nessuno. Ti ucciderò di notte, nel sonno, perché nessuno possa accorrere in tuo aiuto!..."

Digrignava i denti con ferocia belluina, stringendo i pugni, lieta dello spavento che vedeva dipingersi sul volto della fanciulla.

"E prima di ucciderti dirò a tuo padre che sei l'amante di Blasco da Castiglione!..."

"Signora madre!..."

Giungendo le mani, col viso in fiamme, la supplicava di tacere.

"Hai dunque paura che io parli?" continuò spietatamente la duchessa.

"Ma che ho fatto io, signora madre, per meritarmi la sua collera? Che le ho fatto?..."

"Taci! ti proibisco di parlare... Taci! Che m'hai fatto? A me nulla. a tuo padre che hai recato onta; è la casa che hai svergognato... Oh, è inutile negare, so tutto..."

"Che cosa, signora madre? Che cosa?"

"Oh! l'innocente.."

"Vi giuro, signora, che io non ho commesso nulla di male!..."

"Taci!... Taci!... Sei del sangue di tuo padre e non puoi fallire."

Sentiva il bisogno di ingiuriare, di inveire per sfogare l'anima invelenita, insoddisfatta, arida e avida. Sapeva bene che Violante era pura, ma che importava? Le bastava sapere che ella amava Blasco, e che Blasco amava Violante, e che lei, lei donna piena di tutti i desideri, di tutti gli impeti, di tutti gli ardori, era stata abbandonata e disprezzata. Tutto ciò era più che sufficiente per accenderle nel cuore un vulcano di odio contro la fanciulla... Quest'idea la martellava fieramente; in quell'istante ebbe la visione netta di quell'amore e tutti i suoi nervi ne sussultarono.

Si avvicinò a Violante, la prese per i polsi e scotendola rudemente gridò:

"Tu non devi amarlo!... capisci?... Non devi amarlo!... non voglio, non voglio!"

La sua voce aveva lo spasimo di un singhiozzo.

Violante smarrita la supplicò ancora:

"Signora madre, per pietà!"

Ma improvvisamente una voce risonò dal fondo della camera:

"Gabriella, che cosa fate?"

Era don Raimondo: si avanzò in fretta e strinse fra le braccia la fanciulla che donna Gabriella aveva lasciata.

"Che cosa?" rispose questa, levandosi alteramente come donna ferita nella sua dignità; e, additando Violante, disse: "Tutelo i vostri interessi e il. vostro decoro, che costei vilipende."

"Chi? Violante?... Lei?..." E mutando tono aggiunse: "Ma voi, siete pazza!"

"Ah, sono pazza? Ma domandate a lei stessa se non è l'amante di Blasco da Castiglione."

Don Raimondo diede un balzo indietro come colpito da un fulmine.

"Lei?... Lei?..."

E, avvicinatosi nuovamente a Violante, le sollevò la fronte, gridando con uno stupore nel quale vibravano insieme incredulità, dolore e odio:

"Tu? Tu?... Ed è vero?"

Violante guardò il padre negli occhi e disse con fierezza:

"No, non è vero."

"Ella mente, mente, la sfacciata!"

"Tacete!" urlò don Raimondo.

"Non mento."

"Nega, dunque, se puoi, che tu ami Blasco da Castiglione. Lì c'è Cristo Crocifisso, giura!"

"L'amo, sì" esclamò la fanciulla, drizzandosi nella sua personcina con la dignità di una donna matura "l'amo, ma non sono la sua amante."

"Ella ha dormito fra le braccia di quell'uomo!" ribattè invelenita donna Gabriella.

Don Raimondo si chinò sulla figlia:

"È dunque vero?"

"Sì, è vero, egli dormì accanto a me, solo sul capezzale, ma non sono mai stata tanto sicura, neppure fra le braccia di mia madre."

Don Raimondo guardava ora la moglie, ora la figliuol'a, sballottato fra l'accusa e la difesa; ora credulo, ora no; gli ripugnava credere che la figlia fosse colpevole, ma intanto era pur vero che Violante amava l'odiato bastardo e si era trovata una notte in piena balia di lui. Nel suo primo racconto, Violante, per pudore, aveva taciuto quell'idillico episodio, che ora la duchessa odiosamente rivelava, trasformandolo e aggravandolo.

"È ella pura? È possibile?" si domandava don Raimondo. Un dubbio atroce s'impossessò del suo cuore. Coi pugni serrati, quasi minacciando, gridò alla figlia:

"Difenditi, dunque! discolpati se puoi!"

"Discolparsi? Ma se ha confessato!" gridò donna Gabriella.

Allora don Raimondo si volse alla moglie e il suo volto sfavillava di odio e di dolore.

"Tacete!" gridò. "So ben io ciò che vi muove ad accusare mia figlia; vi conosco abbastanza, donna Gabriella, e non siete voi chi deve tutelare il mio decoro. Uscite! A mia figlia penserò io."

Donna Gabriella diventò livida; la collera l'accecò.

"Esco, sì, e non solo da questa camera, ma anche dalla vostra casa. Troppo vi sono rimasta e non voglio essere più la complice delle vostre scelleratezze."

"Sciagurata!" gridò don Raimondo, allibendo, e in un impeto di rabbia e di paura sguainò la spada e fece per precipitarsi, ma Violante balzò in piedi e gli si avviticchiò al collo gridando:

"No, signor padre, no!"

Donna Gabriella non parve sgomentarsi; si ritirò lentamente e giunta sulla porta si voltò e lanciò queste ultime parole:

"Non mi stupite: queste mura sono avvezze al sangue; infatti è qui che fu assassinata Maddalena!"

"Ah, tu non vivrai!" gridò don Raimondo esasperato, e si slanciò, ma donna Gabriella era uscita e aveva sprangato la porta dietro di sè, e Violante gli si era già aggrappata al braccio. In quel punto un servo picchiò all'altra porta che dava sul corridoio:

"Chi è?" gridò don Raimondo, ringuainando sollecitamente la spada.

"Eccellenza, c'è l'illustrissimo signor capitano di giustizia."

"Eccomi."

Guardò la figliuola torbidamente e le disse: "Mettetevi il mantello e seguitemi."

Uscendo, don Raimondo ordinò al servo: "Fate attaccare subito la mia carrozza privata."

Poi entrò nello studio, dove il capitano di giustizia lo aspettava, lasciando Violante nell'anticamera con la vecchia cameriera: "Aspettami qui."

Il dialogo fra il duca e il capitano fu breve. Don Raimondo lo accompagnò fino allo scalone e si separò dicendo:

"Vi aspetterò qui dunque."

Entrato in sala, il servo gli disse che la carrozza era pronta.

"Venite," disse cupamente a Violante.

A piè della scala un piccolo uomo cieco d'un occhio, toltosi il berretto e stendendo la mano, domandò con voce piagnucolosa:

"La carità, Eccellenza, per l'amor di Dio!"

Don Raimondo si voltò rudemente e stava per farlo cacciare via, quando il cieco rapidamente soggiunse:

"Mi manda don Antonino."

Don Raimondo diè un balzo e si avvicinò al cieco.

"Chi, don Antonino?"

"Bucolaro... per quella faccenda."

Il duca si guardò intorno sospettoso, mise una moneta d'argento nella mano del cieco e domandò:

"Ebbene?"

"A mezzanotte da zi' Alessio."

"Prendete, buon uomo," disse forte don Raimondo, assentendo col capo, "e andate con Dio."

Il cieco se ne andò e don Raimondo, montato nella carrozza, dove Violante l'aspettava, ordinò: "A S. Caterina."