Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte terza, capitolo 24

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Veramente la notizia dell'assassinio di don Raimondo della Motta aveva riempito la città di uno stupore straordinario, anche per le circostanze che l'accompagnavano. Il mistero di quel pozzo, nel quale non si sapeva donde e come fosse penetrato, riusciva così inesplicabile, che allo stupore si aggiungeva anche un senso indefinito di sgomento.

Prime ad accorrere furono donna Gabriella e Violante. Donna Gabriella non provò, a dire il vero, un profondo dolore, non pianse, non si disperò; ebbe una specie di sbalordimento, ma non dubitò punto donde fosse venuto il colpo. La vista del marito inerte, pallido, ancora raggrumato di sangue, cadaverico, le ispirò una certa compassione mista a terrore. Le pareva di vedere la mano armata che aveva colpito il marito, rialzarsi e pendere, minacciosa, sopra le altre teste della famiglia.

Ma Violante diede in alte grida, scoppiò in lagrime e bisognò allontanarla dal letto paterno: le sue grida infastidirono la duchessa, come se nell'animo le avessero destato rimproveri o rimorsi.

"Taci!" le gridò "taci! Non è tempo di gridare, le tue grida disturbano..."

Erano stati chiamati due medici e tutti e due studiavano le ferite, scotendo il capo.

A furia di acque aromatiche e di altri eccitanti avevano potuto scuotere il letargo nel quale giaceva don Raimondo, che aveva ripreso coscienza, e s'era messo a guardare con un grande spavento negli occhi ancora appannati; poi li aveva richiusi e ora gemeva sommessamente, mentre i due uomini dell'arte, dopo avere unto certi balsami sulle sfilacce, lo medicavano e lo fasciavano.

Intanto accorrevano signori e ufficiali del governo; il capitano di giustizia che doveva portargli la notizia della cattura dei Beati Paoli, e che invece non aveva osato andare a confessargli la sua sconfitta, si era affrettato, ora che aveva appreso l'accaduto e correva, per raccogliere i primi particolari; e poco dopo era giunto il capitano degli alabardieri del Vicerè, il quale era rimasto sorpreso e non soltanto per la vittima, ma anche per l'audacia degli assassini.

I Branciforti, i La Grua, i Ventimiglia, tutte le grandi case imparentate con gli Albamonte ne furono commosse; il palazzo si riempì di gente.

Volevano sapere da donna Gabriella qualche notizia, una traccia, un indizio per avere la chiave del mistero e giungere alla scoperta degli assassini. Ma donna Gabriella era perplessa, temendo le conseguenze di quelle rivelazioni che avrebbe potuto fare. In quel momento ella non pensava a vendette o a rappresaglie. L'uomo ferito, moribondo, era infine suo marito, ed ella aveva il dovere di difenderlo e di difendere in lui il nome che aveva ricevuto.

Più volte il nome dei Beati Paoli le era affiorato sulla bocca, ma come avrebbe spiegato questa sua indicazione?

Non rivelò nulla e dichiarò di non avere sospetti, ma il suo silenzio fu vano. Dalle prime indagini stesse risultarono tre indizi di grandissima importanza nei quali il magistrato trovava il filo conduttore: il nome di Blasco da Castiglione, che "sapeva", e la circostanza che egli aveva dapprima guidato i servi ai due ingressi di quel sotterraneo che ormai si sapeva essere la sede dei Beati Paoli. Dunque il colpo era stato fatto dalla setta e Blasco da Castiglione doveva essere stato presente e conoscere i luoghi; terza circostanza: la grotta dei Beati Paoli doveva estendersi fin sotto il palazzo Albamonte e avere qualche sbocco, quello donde i misteriosi settari s'erano dileguati.

Bisognava avere nelle mani Blasco da Castiglione, ma qui cominciavano le difficoltà, perché, essendo egli colpito di bando, si teneva certamente celato. Si aggiunse un altro fatto che complicò le cose, intuendosi fra esso e le circostanze di quella notte un legame.

Il capitano Mangialocchi, rientrando di notte a Palermo, perché vergognoso del fiasco, aveva riferito che Blasco, sfuggito all'arresto, aveva accoppato Matteo Lo Vecchio e ucciso un compagno d'arme. Blasco dunque, sfuggito alla giustizia, era entrato a Palermo e si era trovato a quella riunione, dove il duca della Motta, che ne aveva ordinato l'arresto, era stato assassinato. Era dunque una vendetta di Blasco? Ma allora perché l'avrebbe salvato? Qui era l'enigma che la giustizia non sapeva risolvere.

Il Vicerè incaricò don Francesco Cavallaro, giudice della Gran Corte, di istruire il processo e la prima cosa fu la conferma del bando sopra Blasco da Castiglione, con una grossa taglia per coloro che l'avessero consegnato vivo o avessero indicato il suo nascondiglio.

Capitani, algozini, guardie, compagnie rurali furono messi in moto; la grotta dei Beati Paoli frugata da ogni parte, senza che però si scoprisse il passaggio segreto; e per ogni eventualità si ordinò che nella giornata stessa, per impedire l'agglomerarsi di curiosi, i due ingressi fossero murati solidamente.

Di tutto ciò Blasco non sapeva nulla. Ma scendendo col favore della notte dal convento dei Cappuccini verso la città, aveva potuto oltrepassare la Porta d'Ossuna indisturbato dai gabelloti, che occupavano il tempo giocando a carte e bevendo, e non guardavano mai sotto il naso i gentiluomini; e, percorrendo la strada di S. Agostino, andava raccogliendo a volo qua e là dai discorsi dei crocchi che si indugiavano nei dintorni del palazzo Albamonte qualche notizia che lo riguardava.

Egli si fermò nella piazzetta della Mercè, guardando il palazzo, dietro le cui finestre illuminate vedeva errare grandi ombre di persone. Non gli pareva prudente entrare. Perché, del resto, sarebbe entrato? Con quale titolo? E per quale fine? In verità ritrovava quasi inverosimile che egli si fosse recato in quel palazzo, dove non aveva più nulla da fare. Ma nell'ombra gli appariva dinanzi agli occhi la figura di Violante e il suo cuore abbattuto da tante commozioni si inteneriva. Aspettò lungamente; vide uscire dal palazzo portantine e qualche carrozza; ai colori delle livree riconosceva a chi appartenessero. Una portantina più semplice, e portata da "seggettieri" di piazza, gli indicò un medico; e allora si avvicinò e sporgendo il capo dentro domandò:

"Vossignoria mi perdoni, vuol darmi notizie dell'illustrissimo signor duca?"

"Ah, gravi, gravi! Speriamo che il Signore gliela mandi buona!"

Non era dunque avvenuta la morte ancora e il medico non aveva disperato. Aspettò ancora. La notte avvolgeva tutto, ma di qua e di là dal portone del palazzo avevano per quel la circostanza infisso al muro due torce a vento, per illuminare quel tratto di strada e Blasco senza esser veduto poteva a quella luce vedere chi entrava e chi usciva. Le ombre dietro le vetrate a poco a poco erano diminuite, e ora se ne vedevano raramente; anche le portantine e le carrozze s'erano diradate; poi non se ne vide uscire più nessuna. Forse in palazzo era rimasto appena qualche parente dei più vicini, qualche amico, a tenere compagnia alle donne.

Un servo venne fuori, con una bottiglia, forse per recarsi dal vicino aromatario, come allora si chiamavano i farmacisti; Blasco lo riconobbe e lo chiamò.

"Oh! Vossignoria?" esclamò il servo spaventato.

"Io, sì; sono venuto per informarmi. Ho avuto notizie dal medico... C'è gente sopra? ..."

"C'è il signor marchese di Regalmici, fratello della signora duchessa."

"Ah, bene! fatemi il favore, caro, di dire alla signora duchessa se si compiace di accettare la mia visita."

"Subito, ma..."

"Ma che?"

"Vostra signoria sa il bando?"

"Che bando?"

"Non so... non vorrei dire..."

"Dite pure, senza soggezione."

"Sia come si vuole, infine io non sono "infame"; ecco, c'è un bando e una grossa taglia contro vossignoria... si guardi; se qualcuno lo vedesse..."

"Grazie. Non vi date pensiero; certo non mi tradirete voi..."

"Io?..."

Il servo rimontò le scale del palazzo, e ritornò poco dopo.

"La signora duchessa l'aspetta..."

"Che cosa ha detto ricevendo l'ambasciata?"

"È impallidita e mi parve sulle prime che volesse dire di no..."

"C'è qualcuno presso di lei?.."

"In questo momento è sola..."

"Sta bene, grazie."

Lasciò il servo e infilò il portone; vide nella fretta che dalla piazza del Capo veniva verso il palazzo una portantina, preceduta da due volanti con le torce a vento. Entrando nella sala dove donna Gabriella riceveva le visite, non potè dominare una profonda commozione. Donna Gabriella era lì, in piedi, presso un seggiolone, bellissima tra le emozioni diverse e contrarie che le passavano sul volto, come nubi spinte dal vento sull'azzurro del cielo. Dolore, collera, odio, gelosia, desiderio, alterarono per un istante il bel viso, che però riprese tosto una gravità conveniente alla circostanza, ma non porse la mano a Blasco, rimanendo in piedi in un atteggiamento pieno di dignità e di dolore, che per un momento imbarazzò il giovane. Prima che egli avesse potuto trovare una parola, donna Gabriella gli disse:

"So che si deve a voi la scoperta di questo nero delitto e ve ne sono riconoscente, per quanto non mi spieghi ancora come voi abbiate saputo che il duca era stato assassinato."

Blasco, colpito dal tono freddo e dalla velata puntura delle ultime parole, si sentì rinfrancare, giacchè nulla valeva a toglierlo d'imbarazzo, quanto il dover prendere atteggiamento pugnace. Rispose con la stessa freddezza:

"Ero venuto soltanto per informarmi delle condizioni di vostro marito, e per esprimervi il mio cordoglio, non per ricevere ringraziamenti, nè per dare spiegazioni, che, perdonatemi, almeno in questo momento sono fuori luogo; ero venuto anche per constatare se il signor duca era assistito dalla sua famiglia... che sapevo dispersa..."

Donna Gabriella si morse il labbro inferiore, con un moto di dispetto.

"Voi vedete, signore," disse "che io sono al mio posto."

Accentuò quell'"io" in una maniera significativa come per dire: - "ed è inutile che voi domandiate di altre persone". C'era tra l'uno e l'altra come una sorda e latente ostilità frenata appena; rimproveri violenti salivano sulle loro bocche e la tempesta pareva addensarsi nel loro petto e prossima a scoppiare, quando un lacchè annunciò:

"Il signor cavaliere della Floresta desidera baciare le mani di vostra Eccellenza."

Blasco fece un gesto di grande stupore, ma donna Gabriella fece un cenno di assenso col capo e poco dopo Coriolano entrò col suo aspetto freddamente sereno, il suo sorriso fine e cortese, le sue maniere perfette, col bastone dal lungo fiocco nella mano stessa che teneva il cappello. Si avvicinò alla duchessa, le baciò galantemente la mano e salutò con un cenno amichevole e confidenziale Blasco, che lo guardava con uno sbalordimento pieno di indignazione e di collera.

"Credetemi, signora duchessa," disse dolcemente con voce compunta il cavaliere della Floresta, "che sono rimasto terribilmente sorpreso e addolorato della sventura capitata al signor duca... è una cosa inaudita, che ha colpito tutta la città!..."

Donna Gabriella sedette e indicò a Coriolano una sedia. Blasco rimase in piedi, con una mano sul fianco; pallido, minaccioso, conteneva a stento la sua collera e stringeva le mascelle per non lasciare adito alle parole che gli affluivano sulle labbra, e per contenere l'uragano che gli gonfiava il petto.

Coriolano si informava delle condizioni del ferito.

"Tre ferite!" esclamava con visibile orrore, "ma è una cosa orribile!... Che medico avete chiamato?"

"Don Francesco Pignocco, il protomedico del regno..."

"Avete fatto bene; e dà speranze?."

"Poche..."

"Mio Dio! ... Pensare che avrebbero potuto freddarlo!... e che senza l'intervento miracoloso del signor Blasco da Castiglione il povero duca a quest'ora sarebbe morto..."

Blasco strinse i pugni fino a cacciarsi le unghie nella carne; sotto l'apparente commozione, egli intese nelle ultime parole una lieve tinta di ironia, che sfuggì interamente a donna Gabriella. Ella mormorò con amara convinzione:

"Infatti, è così."

"E si hanno fondati sospetti?" domandò Coriolano.

"La giustizia pare sia sulle tracce..."

"Sì? Ne ho piacere."

Dicendo queste parole il cavaliere della Floresta lanciò uno sguardo scrutatore su Blasco che, divinando forse il pensiero di Coriolano, corrugò le sopracciglia con una espressione di collera e di sprezzo. Vi fu un istante di silenzio, nel quale donna Gabriella ebbe l'agio di accorgersi che Blasco e Coriolano, che sapeva amicissimi, non si guardavano se non con grande freddezza e riservatezza. Questa scoperta le diede un certo piacere, non già perché rispondesse ai suoi interessi, ma per malignità. Privo di questa amicizia, Blasco sarebbe rimasto solo, senza alcuna protezione in quel frangente pericoloso per la sua libertà e per la sua vita. Le balenò una perfida idea: quella di mandare a chiamare segretamente il capitano di giustizia e consegnargli il giovane, ma non si mosse. All'istinto della vendetta succedette il senso della ripugnanza per un'azione vigliacca, e anche - perché negarlo? - quel vago intimo desiderio di ripossedere il giovane, non già perché lo amasse, ma per dispetto e gelosia. Coriolano riprese il cappello, disse qualche altra parola di convenienza, con la stessa cortesia manierosa e impeccabile, baciò la mano di donna Gabriella e si avviò per uscire; ma, salutando Blasco con un cenno, gli disse:

"Mi hanno detto che voi partite, signore. È vero?"

La forma era una interrogazione, ma con un senso recondito, che Blasco intese perfettamente: era quasi un ordine di partire. Blasco rispose:

"Non ancora, signore, ho ancora qualche altro ufficio da compiere, qui..."

"Ah!... è giusto: non potete abbandonare la vostra buona opera di salvatore. Vi auguro di tutto cuore che i vostri sforzi siano coronati dal più lieto successo, ma... guardatevi, perché la giustizia è sui vostri passi."

"Non la temo."

Coriolano uscì. Blasco allora si avvicinò a donna Gabriella e le disse rapidamente:

"Permettetemi di ritornare... vi dirò il perché, ma vi avverto che ci va di mezzo la vita del duca."

La duchessa fece un gesto di paura.

"Non temete di nulla... Tornerò subito..."

Uscì, prima che donna Gabriella avesse il tempo di dire qualche parola; attraversò l'anticamera e domandò ai servi se il cavaliere della Floresta era già partito.

"Illustrissimo, no; è entrato nella stanza del signor duca per vederlo..."

"Ah!.."

Blasco, più che entrare, balzò nella camera dove era stato posto il duca: una grande sala semplice e quasi austera, in mezzo alla quale avevano collocato un letto. Don Raimondo giaceva immobile, con la testa fasciata, gli occhi sbarrati, fissi sul soffitto, pallido: sembrava piuttosto una statua di cera, che un essere vivente. In quel momento al suo capezzale v'erano il marchese di Regalmici e il razionale della casa, oltre a due lacchè, diritti dinanzi l'uscio, in attesa di ordini. Coriolano si avvicinò al letto, guardando freddamente quel corpo sul quale pareva pendesse la falce della morte; il suo volto non tradì la più lieve commozione.

Blasco, la cui voce pareva un ruggito: "Signore," gli mormorò accanto "signore, non vi sembra che sia ora di lasciare tranquillo il ferito?"

Coriolano fece le viste di non capire il significato di quella osservazione, e rispose con apparente tranquillità:

"Infatti... Siamo in troppi qui..."

Anche le sue parole avevano un senso recondito che Blasco parve intendere.

"Vi accompagno," disse.

Uscirono; ma giunti sul portone Blasco, non potendo più frenarsi, disse fra i denti:

"Signore, la vostra condotta è infame! ..."

"Lo credete?" rispose Coriolano freddamente.

"E se ho un dolore, un rimorso, una vergogna nella mia vita è di avervi conosciuto e avere stretto la vostra mano!"

"Il che significherebbe?..."

"Che quella piazzetta è solitaria, la notte profonda, e due persone di buona volontà vi si possono battere..."

"Un duello?... Con voi?... Qui?... Ma se avete voglia di battervi con me, lasciate almeno, secondo la buona usanza, che scelga il luogo e l'ora. Per adesso, ho da fare... Addio, signor Blasco..."

"Voi non partirete, per dio!..."

"Ascoltatemi, Blasco da Castiglione; io voglio darvi ancora qualche prova della mia tolleranza e della mia amicizia, checchè diciate... Voi non sapete quello che fate; badate bene però - (e qui abbassò la voce) che voi siete condannato, e sapete il perché... e se vi trovate qui lo dovete alla fortuna che vi assiste e all'interesse che ho per voi. Volete battervi con me? Vi contenterò, e vi aspetterò domani a ventidue ore a Colonna Rotta, nell'orto dove vi siete ritrovato all'alba. Ma state in guardia, perché dal palazzo Albamonte alla mannaia del piano della Marina siete più vicino di quel che crediate; e mettetevi in testa che nè il duello, nè qualunque altra cosa che voi possiate fare arresteranno il corso della giustizia!... A domani, Blasco da Castiglione; a domani..."

Blasco stava per rispondere, ma Coriolano, steso il dito all'angolo del Capo, donde si vedeva venire ballonzolando una lanterna, disse.

"Guardate: ecco la ronda! Partite, se non volete essere preso come un topo."

E, approfittando che istintivamente Blasco si ritrasse nell'ombra, entrò nella portantina e se ne andò rapidamente. Blasco gli gridò:

"A domani, non mancherò, certo!" e rientrò nel palazzo, in tempo per non essere veduto dalla ronda che, a passo cadenzato e battendo le picche sui ciottoli tirò innanzi, verso il Noviziato.

Blasco risalì nella sala dove era rimasta donna Gabriella ancora sorpresa e curiosa.

"Signora duchessa," le disse "permettetemi di passare qui la notte e di vegliare su vostro marito..."

"Perché? Non bastiamo noi? Non basta la servitù?..."

"Forse no. Lasciatemi vegliare... Non vi recherò nessun fastidio... Può darsi, anzi, che io vi renda qualche servizio..."

"Voi mi spaventate. Che c'è di nuovo?"

"Nulla, ma non è legittimo forse il mio desiderio di condurre a termine l'opera incominciata?"

Donna Gabriella non parve soddisfatta della risposta; certo il desiderio e l'insistenza di Blasco avevano un significato recondito, che le infondevano un senso di terrore. Poi un sospetto le balenò nella mente: Violante. Era la sua idea fissa, il suo tormento: l'onda della gelosia si sovrappose al terrore dell'ignoto, le passò sul volto, le empì la bocca di amarezza e gli occhi di livore.

"Allora," disse "io veglierò con voi."

"Perché volete stancarvi?..."

"Perché vorreste essere lasciato solo?..."

La risposta rivelò a Blasco quali sospetti attraversavano il cuore della duchessa: sorrise tristemente e con voce nella quale il dolore tremava, disse:

"Perché volete tormentarvi? Mi credete dunque d'animo capace di approfittare di una sventura, per soddisfare a un desiderio, ammesso che ne avessi uno? Supponevo, invece, di avervi dato prova di disinteresse e di sapere rinunziare anche alle gioie del la vita, di fronte a un grande dovere... Andate a riposarvi e siate più giusta... Quando saprete, e forse non sarà lontano il giorno, il terribile segreto della notte scorsa e perché vostro marito giace su quel letto, e perché io l'abbia salvato, e quello che mi sono proposto, oh! allora, donna Gabriella, voi mi renderete giustizia e riconoscerete che qui, sotto questo petto, v'è un cuore onesto e disinteressato, e soprattutto amante della giustizia... anche contro di sè, anzi contro di sè più che contro gli altri..."

Tacque un istante e chiuse il volto fra le mani, come per non lasciare trasparire il suo dolore, o per raccogliersi; indi rialzò la bella testa e, scossa la folta capigliatura, riprese con un sorriso amaro.

"Sapete voi chi sono io? Sapete se qui mi obblighi qualche cosa, oltre al sentimento di umanità... Forse il duca della Motta ve l'ha taciuto; ma perché lasciarvela ignorare?... A che pro tenere un segreto, che non è tale per altri?... Mi stupisco che non abbiate mai guardato il ritratto di don Emanuele, il morto duca... Ricordatevene... e guardatemi, donna Gabriella!..."

La duchessa lo guardò e allora, per la prima volta, sembrò cogliere i segni della rassomiglianza col grande ritratto; lo stupore le aprì gli occhi e la bocca e mormorò:

"Come?... Forse voi?..."

"Vi sorprende? Infatti nessuno avrebbe mai sospettato che questo Blasco senza nome avesse nelle vene, per un capriccio del nobile signor duca don Emanuele, il sangue degli Albamonte. Non lo sospettavo neppure io fino a qualche mese fa... Un bastardo, sì! Ecco quello che sono io, ma, poichè la mia fede di nascita non tace il nome di mio padre, e mi dà il diritto - se lo voglio, - di portare il nome degli Albamonte, voi riconoscerete in me il dovere di vegliare e difendere questa casa..."

Donna Gabriella non si riaveva ancora dallo stupore; continuava a mormorare:

"Voi?... Infatti, è vero!... Lo stesso viso... lo stesso aspetto!... Oh Dio!"

"Sì, il mio signor padre volle infatti darmi un pegno del suo amore, della sua previggenza, lasciandomi in retaggio le sue sembianze.. perché, recandole attorno, rivelino al mondo la onta recata a una povera fanciulla e la vergogna della mia nascita!... E voi temete... mi attribuite mire ambiziose! Quali ambizioni volete che io abbia? Quali sogni posso accarezzare?... L'amore, la ricchezza, la potenza? Essi appartengono al giovanotto, figlio legittimo di don Emanuele della Motta, suo erede, l'erede del suo titolo e della sua fortuna!"

"Che?" gridò donna Gabriella balzando in piedi con uno stupore ancor più grande. "Che cosa dite voi?... Il piccolo Emanuele... lo scomparso?... Vive?" "Dove?... Come?..."

"Vive!..." "È una lunga storia. Che v'importa saperla? È piena di sangue e di dolori; egli è vissuto e forse vive ancora nel mistero e nell'ignoranza del suo stato, ma domani egli, guidato da coloro che lo hanno allevato, entrerà qui, col suo nome, col suo titolo di duca della Motta..."

La duchessa, pallida e tremante di terrore, guardava Blasco colpita da quella rivelazione inaspettata, le cui lacune aveva rapidamente colmate con le mezze confessioni ricevute dal marito, che le apparivano alla memoria sotto una luce sinistra. Il giovanotto scomparso viveva ancora, e l'uomo che nella camera lì accanto giaceva immobile e bendato era un usurpatore ed era giunto alla usurpazione attraverso il delitto... Non era dunque la vittima di un odio, ma il reo colpito dalla giustizia divina, infallibile e inesorabile.

Ecco dunque che dall'oscurità usciva il fanciullo spogliato del suo, orbato della madre, privo del suo nome; usciva il seme di don Emanuele a gridare il delitto compiuto dallo zio!... Ecco affiorare dal fondo dell'oblio tutta una storia di scelleratezze, e travolgere colui che era stato fino al giorno innanzi l'arbitro della città! Quante vittime non vide ella levarsi dagli angoli oscuri di quel palazzo, tendendo le mani implacabili sul letto di quell'uomo?

Ebbe paura. Non certo per sè che non entrava per nulla nel passato di don Raimondo, ma di tutto quell'ignoto minaccioso e terribile che gravava sulla casa e del quale vedeva lì, nella stanza accanto, una delle prime spaventevoli manifestazioni. E quel bastardo? Che cosa voleva? Precedeva il fratello legittimo, o gli si piantava contro?

Così pareva; ma perché, invece di stringersi a lui, si accostava e assumeva atteggiamento di difensore dell'uomo che invece avrebbe dovuto aborrire? Interesse per don Raimondo? Oh, no, di certo!... Di lei? Ella era estranea e la sua vita e la sua dote non potevano patire oltraggio. Violante dunque?... Sì! lo intravedeva, lo sentiva nel silenzio stesso di Blasco, nello sforzo continuo per non nominarla. Ecco dunque che la sua gelosia la riprendeva; l'animo suo impressionabile passava da un sentimento all'altro, col medesimo impeto di passione. Che cosa importava l'esistenza del giovane figlio legittimo del duca della Motta; che cosa importava se il nuovo signore sarebbe venuto a impossessarsi del palazzo suo e a scacciare via gli usurpatori? Forse tutto ciò poteva impedire a Blasco di amare Violante, di aspirare a possederla? E quegli avvenimenti non giovavano forse a questa aspirazione? Violante sola, orfana, esposta alle minacce, pericolante, non si sarebbe, anche per necessità, gettata nelle braccia del cugino che le appariva come il suo naturale difensore?

Si sentì stringere la gola da un nodo. Guardò Blasco e con voce strozzata gli disse:

"Voi, però, non siete qui per lui... per don Raimondo, nè per vostro fratello... confessatelo..."

"No; non sono qui per loro..."

"Nè per me..."

Blasco non rispose subito; la sua lealtà gli aveva suggerito la parola che la convenienza e la delicatezza gli impedirono di dire. Con un giro di parole addolcì la risposta:

"Se sapessi voi esposta a un pericolo, non mancherei di offrirvi il mio braccio e la mia vita..."

"È dunque... per Violante!..."

"Sì; perché dovrei negarlo? Don Raimondo espia la morte di donna Aloisia; io ho tentato di salvarlo non per sè, ma per la figlia. Violante rimarrà sola.... e forse infamata dalla memoria paterna. Bisogna che ella ignori chi ebbe per padre, che non sia schiacciata dalla casa ove nacque, che rimanga duchessa della Motta..."

Donna Gabriella lo guardò stupita.

"Che cosa volete dire?"

Blasco continuò:

"Voi avete torto, donna Gabriella; voi dovreste unirvi con me per impedire che sulla povera fanciulla continui l'espiazione della colpa del padre."

La duchessa alzò le spalle con un gesto di noncuranza. Che cosa gliene importava? Quelle parole non attenuavano il suo tormento.

"Voi l'amate!" mormorò con voce cupa, fremente di odio e di dolore "voi l'amate!... Ecco la verità!... Volete farne la duchessa della Motta! E che vuol dire questo? Vi impedirà forse di farne la vostra amante?..."

"Oh! donna Gabriella!..."

I loro sguardi si incontrarono, e l'uno lesse nell'altra molte memorie del passato. Blasco riprese con voce più bassa e dolente:

"Fra tre o quattro giorni io partirò... e per sempre!... Il vostro sospetto è dunque ingiusto."

"Partite?"

"Che volete che faccia?..."

Donna Gabriella gettò una rapida occhiata nella camera di don Raimondo, e forse un perfido pensiero le attraversò la mente. Un breve silenzio li avvolse: poi come rispondendo a se stessa, ella mormorò: "Soltanto io resterò sola e abbandonata! ...".

V'era dentro queste parole un sentimento di dolore tale, che Blasco se ne sentì commosso, ma non rispose. Chinò il capo sospirando, forse con un rimpianto del passato e con uno sconforto del presente. Dopo un istante egli si alzò e si avvicinò alla camera di don Raimondo; i servi dormivano sulle sedie, il razionale s'era buttato sopra un canapè e dormiva anche lui, con un lieve russare. Il ferito aveva gli occhi socchiusi e l'aspetto così spaventevole, che Blasco temette una catastrofe e si precipitò sul letto per osservarlo. Nel sollevarsi, con l'animo rassicurato, i suoi occhi si posarono sulla finestra, e gli sembrò di vedere attraverso i vetri un'ombra che si dileguò rapidamente. Egli corse e l'aprì; la finestra dava sulla corte. Nell'oscurità gli parve di vedere quell'ombra sprofondare dentro la terra. Si ritrasse, richiuse la finestra e sprangò tutte le porte e le finestre.

Donna Gabriella lo vide rientrare col volto pallido e con la fronte madida di sudore.

"Che c'è?" domandò spaventata.

"Nulla!..."

"Il duca?..."

"Riposa. Andate a dormire, ve ne prego. Veglierò io."

Ma donna Gabriella gli domandò dolcemente:

"Non volete neppure che io rimanga accanto a voi, in questa ora? Vi sono diventata così odiosa?..."

Blasco non seppe rifiutarsi; sedette presso un tavolino in mezzo alla camera, donde attraverso l'uscio aperto si vedeva il letto di don Raimondo e donna Gabriella gli sedette accanto in una seggiola a bracciuoli, guardandolo silenziosamente. Poi mormorò sommessa e umile, come parlando con se stessa: "Se tu parti, ti seguirò."