Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte quarta, capitolo 7

Italiano English

Emanuele aveva visto con rabbia e gelosia allontanarsi donna Gabriella con Blasco; e, cedendo a un impulso, congedatosi dagli amici con un pretesto, era uscito dal palazzo, ma, invece di montare in carrozza, prese con sè il suo servo fidato, una specie di scudiero e di bravaccio, licenziando la carrozza e gli altri.

Vide Blasco allontanarsi in fretta e la carrozza di donna Gabriella andare al passo, e si pose dietro ad essa a una certa distanza, non avendo in verità alcun disegno prestabilito, ma rimuginando pensieri di vendetta e di rappresaglia.

Nulla gli pareva più mortificante che l'essere stato respinto per fare posto a Blasco; forse il suo dispetto sarebbe stato minore, se donna Gabriella avesse scelto qualche altro cavaliere. Provocarlo, sfidarlo, battersi, spedirlo all'altro mondo, erano cose che avrebbe potuto fare, senza che alcuno intervenisse: ma Blasco, in fondo, era suo fratello; per quanto non sentisse nessun riguardo, tuttavia paventava il giudizio del mondo; e del resto non si nascondeva che Blasco non avrebbe mai attaccato briga con lui. E intanto eccolo nuovamente fortunato, ricercato, desiderato, chiamato da quella donna bellissima che da due anni accendeva i suoi istinti di giovane puledro. Ora, vedendo la carrozza andare al passo, si domandava che cosa significasse: ma la risposta non si fece attendere molto, quando la vide fermarsi presso la chiesa della Catena, e montarvi un uomo che riconobbe alla taglia, per Blasco.

Allora strinse i pugni per la rabbia; e poichè i cavalli avevano accelerato un po' il passo non avrebbe potuto seguirli, supponendo che andavano a S. Domenico, pensò di tagliare la via, per le strade di traverso. Imboccò la strada di Porto Salvo che l'avrebbe guidato subito nella piazzetta dove era il portone della casa di donna Gabriella, e si sentì sollevare, quando vide Blasco entrare nella strada dei Crocifissari.

"Ella - pensò - lo ha congedato; dunque resta sola. Sta bene".

Ma non aveva finito di consolarsi con questo pensiero, quando si accorse che Blasco stava lì, fermo nell'ombra della strada, come uno che aspetti o che voglia scoprire qualche cosa.

Temette allora d'essersi scoperto e si rannicchiò sugli scalini, dove della povera gente russava. Vide Blasco ritornare indietro ed entrare nel vicoletto; egli allora discese cautamente, senza far rumore, ficcando gli occhi nell'ombra. Sentì schiudere un balcone e vide lì apparire una forma bianca. Era lei!...

"Che cosa fa?" si domandò mentalmente, col cuore serrato da un morso di collera e di gelosia.

Una tenue luce usciva dalla stanza e illuminava il dorso di donna Gabriella: egli poteva vedere quello che essa faceva: e infatti la vide rientrare e stendere le mani, e nella luce che investiva la ringhiera di ferro del balcone vide apparire Blasco, lo vide scavalcare ed entrare...

Allora ruppe in una imprecazione, alzando i pugni verso quel balcone. In un impeto di furore gli era venuta l'idea di andare a picchiare al portone, fracassarlo anche, irrompere in quella casa, svelare la vergogna di quella donna, ma l'immagine di Blasco gli si rizzava contro e lo fermava. Un perfido pensiero gli balenò in mente. Si chinò all'orecchio del servo e gli sussurrò alcune parole rapidamente, fremendo, con la bocca amara.

"Hai ben inteso? Va', corri!.."

Il servo non se lo fece ripete. Emanuele si ritrasse nella strada dei Crocifissari, passeggiando torvo e minaccioso e assaporando la vendetta. Come era lento il tempo! gli pareva lunghissimo, interminabile e fremeva di impazienza, battendo i piedi e imprecando contro il servo.

Di quando in quando guardava i balconi della palazzina, e delle visioni tormentose gli empivano il cervello e gli gonfiavano il cuore di una tempesta di odio: e più il tempo trascorreva, e più cresceva il tormento. Dopo meno d'un'ora udì un calpestio di gente che s'avvicinava, e poco dopo vide venire dal fondo della piazzetta un gruppo di persone, precedute da una lanterna.

"Finalmente!" disse.

Era un branco di pezzenti, giovinastri racimolati forse tra i banconi del vicino mercato, armati di ciottoli, che ridevano sguaiatamente. Innanzi a loro veniva il servo che, indicando la casa di donna Gabriella, diceva:

"È là. Siamo intesi: gridate, battete i ciottoli, dite tutto quello che volete; i nomi non c'è bisogno che ve li ripeta.'"

"Lasciate fare a me," disse uno di quei mascalzoni, che pareva il capoccia.

Entrarono nel vicolo e schieratisi sotto i balconi di donna Gabriella incominciarono una musica orribile, battendo un ciottolo contro l'altro, e imitando con la voce il suono delle trombe. Poi a un tratto tacquero, e uno di loro, dalla voce stentorea, cominciò a cantare:

Nenti a stu munnu, bedda, si po' fari

ca tutti cosi si vennu a sapiri;

quannu la cosa cchiù cilata pari

tantu si lassa di tutti vidiri.

Iu sacciu cu cui stati a cuntrastari,

ca ddocu susu l'aju vistu trasiri.

E mi consolu! sicutati a fari,

ca pri 'na donna nun si po' muriri...

E subito dopo i ciottoli ripresero la loro musica orribilmente fragorosa, che, ripercotendosi nel vicolo, lo tramutavano in un inferno:

poi tacquero, e la voce ripigliò:

Bedda a lu to iardinu cci haju statu

mi l'hè pigghiatu li spassi e piaciri;

di punta in punta l'haju firriatu

ci sunnu belli cosi di vidiri.

E di li frutti toi nn'haiu manciatu,

prunidda e varcuchedda damaschini;

Na troffa di cutugna cc'è lassatu,

cu veni appressu si l'havi a cogghiri!...

E nuovamente i ciottoli a pestare, e urli e risa e fischi e parolacce oscene. Qualche lazzo plebeo risonò:

"Ohè! ohè!... E che volete prendere il palio?... To', duchessa! to' dragone! Brr!..."

E delle risate formidabili accompagnavano quelle grida.

Si apriva qualche finestra, s'affacciava qualche volto insonnolito e curioso, guardava, domandava:

"Che cos'è? Che s'è sposato qualche vecchio imbecille?"

Seguivano poi l'indirizzo delle frasi; vedevano, indovinavano, si stupivano, ci prendevano gusto, ridevano. A poco a poco nel vicolo si destavano tutti; quei villani prendevano maggior vigore, a mano a mano che il numero degli spettatori aumentava e le allusioni diventavano più precise, più ardite, più audaci. Tutto il quartiere si destava per assistere a quella denigrazione turpe e vigliacca.

Emanuele era felice; guardava le finestre, guardava quegli strani schiamazzatori e spediva loro di tanto in tanto il servo, per incitarli vieppiù e alle incitazioni aggiungeva, sprone più efficace, manciate di monete di bronzo.

Qualche carrozza, che veniva da una conversazione, si fermava; dei volti si sporgevano, osservavano e si meravigliavano; qualche portantina si fermava anch'essa.

Usciva qualche cavaliere, si accorgeva di Emanuele, domandava:

"Ma!" rispondeva Emanuele, facendo lo gnorri, "non so; pare che l'abbiano con la duchessa..."

"Donna Gabriella?..."

"Così mi pare... È una cosa indegna, non è vero?"

"Indegna, davvero!... Ma perché?"

"Chi ne sa nulla?..."

Ma per quanto indegna, quella gazzarra era una cosa divertente, e dopo quella constatazione, ognuno riprendeva la sua strada; ed Emanuele fingeva di allontanarsi e ritornava indietro per godersi lo spettacolo. Ma ecco, a un tratto, mentre quella marmaglia nel vicolo pestava i ciottoli, sghignazzando, aprirsi il portone, e un uomo con la spada nuda slanciarsi sopra di essa, lasciando cadere una vera tempesta di piattonate, così improvvisa, impreveduta e furibonda, che tutta quella gente, mutando le risa in grida di terrore, fuggì, si sbandò, senza neppure curarsi di vedere donde piovessero. Blasco li inseguiva colpendo a destra e a manca:

"Malandrini!... vigliacchi!..."

Due di quelle formidabili piattonate raggiunsero il servo di Emanuele che, non tanto per paura, quanto per timore d'essere riconosciuto, si traeva indietro, strisciando lungo il muro. Blasco se ne accorse, ma mentre colpiva riconobbe che non era vestito di poveri cenci come quella canaglia e indovinò nell'ombra che indossava una livrea. Gli balzò addosso e lo afferrò per il collo. Quegli tentò di svincolarsi, cacciò la mano in tasca e la trasse armata di pugnale, ma Blasco fu lesto ad afferrargli il polso storcendoglielo così violentemente, che il servo mandò un urlo di dolore e si prostrò per terra, supplicando:

"Ah!... mi spezza l'osso!... signor padrone!.."

Emanuele era livido; avrebbe voluto accorrere in aiuto del suo servo, sembrandogli proprio una vigliaccheria abbandonarlo alla vendetta di Blasco, ma non voleva essere riconosciuto; tuttavia il livore, la gelosia, la vergogna, tutta un'onda di sentimenti fece impeto, vincendo ogni riluttanza ed egli si avvicinò come attirato da quelle grida, con aria di sorpresa domandando:

"Che cos'è? Che cosa ti succede? Dove sei?..."

Si trovò dinanzi al servo che gemeva per terra, col polso serrato nella mano di Blasco, il quale stava forse per dargli una lezione, quando la voce di Emanuele, riconosciuta, lo fermò.

"Emanuele!" gridò, guardando il fratello di fronte.

Emanuele, che voleva fingere di non sapere nulla e di non riconoscerlo, si trovò imbarazzato; balbettò:

"Voi?"

Ma, riprendendo il suo tono arrogante, aggiunse:

"Lasciate il mio servo!... Non vi ho dato il permesso di picchiare la mia servitù..."

"Ah! è un vostro servitore? Per bacco, signor duca della Motta, non avrei mai supposto che reclutaste la vostra servitù fra la canaglia del mercato! E vostro servo? Ebbene, dal momento che non insegnate loro la buona creanza, lo farò io. Prendi, villano, e va' a farti impiccare altrove!"

E alle parole aggiunse un così violento calcio nelle reni, che il malcapitato andò a rotolare cinque passi più lontano, senza potersi rialzare. Emanuele perdette il lume degli occhi; sguainò la spada gridando: "Ah! è troppo!..."

Si slanciò addosso a Blasco il quale con una mossa rapidissima e con un suo colpo maestro lo disarmò, facendogli volare via la spada, e presolo per le braccia, prima che egli avesse avuto il tempo di riaversi dallo stupore, sollevandolo in alto come un gingillo, e scotendolo ad ogni parola, gli disse con voce serrata dalla collera:

"Ringrazia il tuo santo che sei nato dallo stesso padre, perché ti avrei scannato come un cane idrofobo, ma se io non sono Caino, non sono neppure Abele: intanto, poichè ora capisco tutta la viltà delle tue opere e perché mi vergogno per te, domanderai perdono in ginocchio d'avere disonorato il nome di tuo padre..."

E tenendolo ancora in alto per le braccia, scotendolo violentemente, lo portò via, entrò nel portone, salì le scale, attraversò le sale fra i servitori attoniti, ed entrato nella camera dove donna Gabriella piangeva di dolore, di vergogna, di rabbia, glielo prostrò ai piedi dicendo:

"Donna Gabriella, il duca della Motta, mio fratello, mi prega di supplicarvi che lo perdoniate..." Donna Gabriella alzò gli occhi spaventata e stupita, guardò Blasco, guardò Emanuele e si coperse il volto. Emanuele per terra era livido, come un cadavere e non dava segno di vita.

Sulla porta intanto s'erano affollati i servi curiosi e ancora stupiti, e qualcuno, osservando l'abbigliamento della duchessa e il disordine del letto, sorrideva malignamente; ma Blasco, porgendo la mano a donna Gabriella, guardò tutti in volto, e disse con nobile alterezza:

"Ascoltatemi bene, voi; la signora duchessa mi ha fatto l'onore di concedermi la sua mano. Da stanotte io sono il vostro signore... Trasportate via il signor duchino, e con tutti i riguardi; e chiudete le porte..."

Due lacchè si slanciarono e sollevarono Emanuele; lo portarono via, chiudendo l'uscio della camera, con un sussurrio pieno di stupore, intanto che donna Gabriella, col volto raggiante e ancora lacrimoso, giungendo le mani, balbettava:

"Che avete detto?..."

"Quel che dovevo... Potevo forse abbandonare la vostra reputazione alle ciarle altrui? Posso lasciarvi indifesa?"

Ella ebbe uno di quegli impeti folli di riconoscenza di amore, di passione; si gettò ai piedi di Blasco, gli prese la mano, baciandogliela come in un delirio, e mormorando: "Grazie!... grazie!..."

Ma a un tratto il suo volto si rannuvolò; ella s'accorse che Blasco non rispondeva a quel delirio, e pareva come colpito da un pensiero grave e triste e allora il suo entusiasmo si raffreddò; un'onda ghiacciata le attraversò il corpo; si alzò dapprima timidamente, rinculando verso una sedia, ma poi un'idea occupò la sua mente, i suoi occhi balenarono di una luce fosca.

"Perché," domandò con angoscia inesprimibile; "perché ingannarmi?" Queste parole riscossero Blasco, guardò donna Gabriella e, vistala così alterata, le si fece dappresso e le disse:

"Chi vi inganna?... Dite di me?..."

"Sì... voi... avete detto qualche cosa dinanzi alla servitù... che non è possibile. È stata una menzogna; per salvarmi... l'avete detto voi stesso... ma è un inganno!"

"Oh no, non lo pensate, Gabriella..."

"Sì, sì, è un inganno. Lo sento... Voi non potete e non dovete sposarmi... So il perché... È una cosa orribile... Perché? Perché?..."

Si torceva le mani per il dolore.

"Gabriella! Gabriella!" diceva Blasco con pietà infinita: "Voi sbagliate... non è quello che pensate voi..."

Ma ella scoteva il capo, abbandonandosi al delirio di dolore e di gelosia che la prendeva.

"Non sbaglio. Mi conosco... Non sono come dovrei essere per venire a voi, per poter credere che voi siate tutto mio, per credere che le vostre parole, così solenni, siano dettate dall'amore e non dalla generosità..."

La sua voce diventò amara e tremante.

"No; non voglio la vostra generosità!... Che m'importa?... E l'anima vostra che voglio... e l'anima vostra non l'ho... è altrove!..."

"No, Gabriella!..."

"È altrove, ti dico!... Lo sento. Lei è pura, è ancora fanciulla ed io ho un passato... Io sono una donna che tutti accusano di frivolezza... ed è vero... e sono stata leggera, e tu lo sai!... Tu mi prendi, tu mi ubriachi di baci, ma il tuo cuore... la tua vita non sono con me! no! no!"

Blasco ebbe una pietà grandissima per quella povera donna che la passione rendeva forse anche troppo ingiusta verso se stessa; le prese le mani, la trasse a sè mormorandole all'orecchio dolci parole:

"Oh, Gabriella, perché ti tormenti? Ma che cosa sono io, povero bastardo senza avvenire, senza fortuna, per aspirare alla tua mano?... Ho forse presunto troppo, ho forse troppo osato; in quel momento non mi sovvenne altro, per spiegare la mia presenza qui... questa è la verità.... Un minuto fa io pensavo a quello sciagurato di Emanuele... Pensavo assai cose tristi, Gabriella... che mi stringevano l'anima.. Perché vuoi lacerare il tuo cuore con fantasmi che ormai sono cancellati e dispersi?... Non avvelenare questa notte. Non vedi tu dunque che insidiano la nostra gioia?... Tu mi hai voluto con te, mi hai aperto le braccia, perché ora le chiudi?... Non mi vuoi più dunque?"

Donna Gabriella lo guardò profondamente e con passione intensa, poi a un tratto aperse le braccia e con un singhiozzo disse: "Vieni!..."

Le loro labbra si ricercarono ancora; ma pareva che qualche cosa di gelido, di immobile si fosse frapposto fra loro.