Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte quarta, capitolo 8

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La mattina, dopo colazione, Blasco si recò da Coriolano; era così pallido e grave che arrestò sulle labbra dell'amico il motteggio che facilmente vi era affiorato.

"Che cosa vi succede?.. Avete un viso da mortorio!..."

"Mio caro, sfido a trovare un uomo col quale la sorte si sbizzarrisca nella più perfida maniera come con me!.."

"Siete dunque caduto nei lacci della giustizia?"

"Non è di ciò che mi lamento; sono ancora riconoscente a donna Gabriella, e sento di avere per lei quella stima e devozione che sempre ho avuto per lei!"

"Ecco una cosa che non mi stupisce, ma che dice già molto, badiamo, purchè non perdiate, verso la duchessa quel rispetto che avete usato per tutte le belle dame. È dunque una cosa seria questa volta?"

"Sì, confesso anzi di avere avuto torto nel giudicare donna Gabriella. Il suo amore per me è oggi quale era cinque anni fa, profondo e inalterato... Ella mi ha commosso..."

"Vi ha vinto!..."

"Forse. Che importa? La mia è una di quelle sconfitte che non dispiacciono ad alcuno..."

"L'amate? dite la verità..."

"Non lo so. In alcuni momenti, sì, mi pare di amarla profondamente, con tenerezza; in altri momenti, no, o meglio, sento qualcosa che mi opprime come una specie di sgomento... Ma non è questo che mi dà l'aria da mortorio, come dite voi; nè è di questo che accuso la sorte..."

"Ebbene, che cosa vi accade dunque?."

Blasco gli raccontò tutto quello che era avvenuto durante la notte e la scena violenta con Emanuele: la sua voce aveva il tono dell'amarezza che gli empiva il cuore.

"Capite, amico mio? ... Ed è mio fratello e io non posso afferrarlo per i piedi e fracassargli la testa al muro!... non avrei nessun debito verso di lui, e forse sopprimerlo sarebbe lo stesso che purgare la società di un rettile che, crescendo, l'avvelenerà... sarebbe anche la liberazione di una povera creatura che io stesso, io che avevo per lei, e ho tutt'ora, una vera affezione, gli ho destinato! E intanto egli è un Albamonte, ed è il capo della casa, il capo riconosciuto!"

Coriolano, che aveva ascoltato col più grande stupore quel racconto, non sapeva che dire; un lieve tremolio delle narici e il corrugare delle ciglia, erano i soli indizi del suo disgusto e della sua collera. Dopo un poco domandò:

"Che cosa volete che faccia?"

"Nulla."

"Emanuele non mi sembra tale da rassegnarsi; egli penserà a vendicarsi..."

"Lo so; me l'aspetto..."

"E non soltanto di voi..."

"Lo so; questo mi impensierisce di più perché, come non ignorate, io sono costretto a partire..."

"Se è per questo, non occorre dirvi che potete stare tranquillo: donna Gabriella sarà custodita e difesa..."

"Grazie, Coriolano; voi mi sollevate l'animo'... Oh, non potete credere come io abbia sofferto questa notte, e come sull'incidente m'abbia gelato il sangue."

"Lo credo; ma che volete farci? Voi siete ormai abituato ai colpi della fortuna e dovreste aspettarvene di ogni specie. Siate un po' filosofo, amico mio. E piuttosto che a quanto è già accaduto, pensate a quello che deve accadere. Dico deve, perché sembra che dimentichiate di avere un con to da regolare col signor conte di Gisia."

"Toh! è vero..."

"Dietro il quale, come potete supporre, c'è una vostra vecchia conoscenza: il principino di Iraci..."

"Me l'immaginavo. Ebbene, vi siete messo d'accordo?..."

"Perfettamente..."

"E ci batteremo?..."

"A guerra finita..."

"Come? A guerra finita?"

"Ma sì, diamine! volete che io mi adoperi per sottrarre a sua maestà cattolica un soldato come voi? Sarebbe un errore; e i padrini del signor conte, che sono dei sudditi fedelissimi, convengono con me, che è giusto e doveroso rimandare il duello...."

"Ma perché avete fatto questo?..."

"Perché? Ma... per divertirmi un po' alle spalle di quei signori. Quando io vedo dei tipi così buffi di soverchiatori e di prepotenti, provo una certa soddisfazione a patullarmeli. Lasciate andare; tanto, dopo quello che avete fatto, non crederanno che vi manchi l'animo; li mettiamo a dormire; quando sarà ora, li sveglieremo per sculacciarli e basta. Intanto avete un impiccio di meno. Vi dispiace?"

"Quanto fate voi, non ho di che dolermi. Forse mi sarebbe piaciuto sbrigarmi presto... E poi, immaginate che una palla mi spedisca all'altro mondo; io me ne andrei con un debito insoluto verso quell'amabile conte..."

"Ma in quel caso, che non vi auguro e che non prevedo, penserò io a pagare quei signori; non ci pensate. Desinerete con me oggi?"

"No, vi ringrazio; non posso..."

"Ho capito; pranzo di nozze!"

"Forse il vostro non è un motteggio, Coriolano..."

"Eh? Che dite?"

"Dico quello che non vi ho detto ancora, che dopo quello che è avvenuto questa notte, io mi sono sentito quasi spinto da un cumulo di sentimenti, a una promessa solenne. Soltanto che, per mio decoro, non darò l'anello nuziale, se non avrò almeno una compagnia ai miei ordini..."

"Diamine! diamine!... Dunque la cosa è più seria di quello che pensavo... Ma se voi avete creduto, da buon gentiluomo, di fare questo passo, non io vi biasimerò e ve ne fo anzi i miei complimenti. Andate, dunque, non vorrei incorrere nella collera della duchessa."

Ripresa l'uniforme e lasciato Coriolano, Blasco andò al quartiere e, dovendo percorrere il Cassaro, passò davanti il palazzo del principe di Geraci, sul cui portone due o tre servi parlavano concitati. Egli notò che v'era un insolito movimento, come per qualche cosa di straordinario e non potè impedire che gli venisse la curiosità di saperla; ma pensò che rivolgendosi ai servi avrebbe avuto l'aria di volerli provocare."

In quel punto usciva dal palazzo una portantina di cuoio, portata da facchini di piazza, che si indovinava appartenere ad un medico.

Vi si avvicinò e domandò con garbo al vecchio dottore se c'era qualche ammalato in palazzo.

"Il principino... Un travaso di bile."

"È una cosa grave?"

"Eh!.."

Quell' "eh" aveva un significato così chiaro, che Blasco, ringraziato il medico, se ne andò un po' rabbuiato in volto.

"L'ha voluto lui, pensava; perché spingermi a questo punto?".

Egli tacque a donna Gabriella questa notizia, e forse l'avrebbe taciuta anche senza averne l'intenzione, giacchè la duchessa quel giorno era così meravigliosamente bella ed affascinante, che egli, entrando, non potè fare a meno di esclamare con sincera ammirazione:

"Come siete bella!..."

Oh, sì; anche lei se ne era accorta, mentre stava dinanzi alla toletta per abbigliarsi. Il suo volto aveva un dolce pallore di perla, con delle lievissime velature rosee e azzurrine e i suoi occhi nell'azzurro che li cerchiava, avevano un languore umido e pieno di lampi, di desideri, di promesse; e in tutto l'insieme v'era come un certo incantevole abbandono pieno di una gioia serena e profonda. E quella mattina si era armata di tutte le seduzioni, scegliendo un vestito di seta leggera colore gridellino, ricco di pizzi e di veli, che appuntandosi sull'ampia scollatura, celavano come in una nube candida e lieve la sommità del seno bianco, sul quale qualche vena più indiscreta segnava delle linee appena visibili. Al collo non aveva messo alcun monile: lo aveva lasciato nudo nella bellezza delle sue linee carnose. V'era in tutto l'insieme una tale armonia di colori e di forme e nel gesto un po' lento una grazia piena di desideri, e negli occhi e nel sorriso così invincibili incanti, che Blasco ne sentì l'impero fin nelle intime profondità della vita, e dopo quella esclamazione, non potè contenersi dal baciare la mano di donna Gabriella con calore di passione.

"Ti piaccio?" gli domandò lei, con una voce insinuante e vibrante di felicità.

Per lui risposero i baci.

"Oh, tu non sai" diceva donna Gabriella, mentre desinavano l'uno di fronte all'altra, sorridendosi e talvolta tenendosi le mani "tu non sai come il tuo amore mi trasmuti. Io mi sento buona, disposta alla pietà per tutti, anche per coloro che mi hanno fatto male; mi sento quasi una voglia di abbracciare tutti, di dispensare a ognuno una parte della gioia che mi inonda... È dunque la felicità quella che dispone gli animi alla bontà?... E ricordando il passato... un brutto passato, mi pare quasi impossibile che io talvolta abbia potuto essere cattiva... Quanto sono felice!... E sei stato tu a operare questo miracolo!... Tu... il mio solo, unico, grande amore!... Non credi che tu sei il mio solo e unico amore?..."

"Sì, sì, lo credo," rispondeva Blasco inebriato.

Egli dimenticava tutto dinanzi a quella mirabile figura di donna, che pareva creata dall'amore: Violante, Emanuele, la guerra, tutto. Si trovava sul limitare di una vita intessuta di gioie dalle mani della voluttà sulla trama dei sogni; una vita ancora nuova per lui, che pure aveva toccato i trent'anni; e in un momento di suprema gioia le disse:

"Tutta la mia vita, Gabriella, non basta a ricompensarti di questi momenti!"

Ma qualche ora dopo si udirono i tamburi per le strade battere la generale. Blasco si alzò.

"Che cosa è mai?" domandò donna Gabriella impallidendo.

"Non lo senti? La generale. Dobbiamo lasciarci..."

"Così presto?... Come?..."

"Purtroppo. Stasera parte il mio squadrone per Termini."

"Partite?... Tu... Ma no, non è possibile! non voglio!... Tu devi restare con me..."

"Non posso! ... sono soldato! ..."

"Ma andrò io dal capitano, dal colonnello... parlerò io col generale... Chi è? Lucchese? Montemar?... Dirò che sei ammalato... Non voglio, capisci che non voglio?... Ti ho trovato, ti ho riguadagnato, e vuoi che ti perda di nuovo? Ora?"

"Ma no, Gabriella, tu non mi perdi... In fondo non vado lontano; in quattro ore si torna benissimo da Termini, e io verrò... verrò... Ma bisogna che io parta. Ascoltami, io ti ho fatto una promessa solenne... Debbo mantenerla... Ma ho anch'io il mio orgoglio... Io non ho un titolo, non ho un nome... sono un oscuro soldato! Lascia che io mi guadagni la mia sciarpa di capitano."

"Che m'importa? Che m'importa di tutto ciò? Io amo te!... Non sei un Albamonte? Che m'importa del resto? No, no... Non partire, te ne supplico!... te ne scongiuro... Ne morirò!.."

Gli allacciò il collo con le braccia, singhiozzando. Blasco soffriva, ma resisteva. Le domandò:

"Se io fossi un vile, mi crederesti degno di te?"

Ella lo guardò con aria smarrita, non sapendo che cosa rispondere.

"Vedi?" rispose; "eppure vuoi ch'io passi per un vile agli occhi di tutti, e che io sia svergognato e accusato come disertore..."

"Ma se ti perdo! se ti perdo!..." singhiozzò.

"Non avere paura... Sai bene che le palle non hanno ancora imparato la via per colpirmi... E poi, circondato e difeso dal tuo amore, mi sento invulnerabile."

Donna Gabriella tentò ancora un poco di trattenere Blasco, ma egli, liberatosi dolcemente dal tenero laccio che lo cingeva, baciatala lungamente e incoratala, partì. Prima di separarsi la duchessa gli domandò:

"Almeno lascia che ti saluti da lontano, quando tu partirai. Ti aspetterò per la strada... al ponte dell'Ammiraglio, in carrozza..."

Appena Blasco fu partito essa si lasciò cadere sopra una sedia, singhiozzando violentemente, e quella crisi di dolore ebbe una tregua soltanto verso la sera, quando, avvicinandosi l'ora della partenza, ella ordinò la sua carrozza e andò ad aspettare il passaggio dei dragoni che andavano a Termini.

Vide Blasco e, sporgendo fuori dalle tendine la mano, lo salutò. Egli si avvicinò invece alla carrozza e baciò quella mano. "Qualunque cosa ti possa occorrere durante la mia assenza," le disse, "fa assegnamento sul mio solo e fedele amico.."

"Il cavaliere della Floresta?..."

"Sì. Coriolano."

Lo squadrone andava in disordine, seguito da carri e da curiosi: sotto i ferri dei cavalli e le ruote dei carri il ponte risonava fragorosamente. Donna Gabriella guardava con curiosità e anche con un certo senso di rincrescimento quell'accozzaglia di gente, che non aveva più nulla in comune con la cavalleria dei secoli passati, della quale sentiva narrare. Uniformi lacere e adattate alla meglio, volti adusti, rapaci, briganteschi; raro qualche aspetto di gentiluomo, se non tra gli ufficiali.

Ella col cuore stretto vedeva Blasco in mezzo a quella gente e pensava che occorreva trarlo fuori... Chi infatti era più degno di lui di comandare quello squadrone? Non era egli un Albamonte? Oh! avrebbe dovuto cingere lui la corona ducale, che ornava invece la fronte di Emanuele!...

Seguì con gli occhi lo squadrone fin tanto che per la distanza, per la oscurità e solo per la polvere che sollevava non lo perdette di vista; solo allora se ne tornò pensierosa e dolente, ruminando qualche idea che le si era allogata nel cervello.

Sonava l'Ave, e diede ordine di andare a casa; alla servitù diede ordine rigoroso che non riceveva nessuno, neppure le amiche, nè quel giorno, nè i giorni appresso: salvo le persone che, espressamente, avrebbe indicato lei stessa; si chiuse nella sua camera che pareva ancora piena di dolci parole e del profumo del suo amore. Ella trascorse i giorni in una solitudine ancora più rigorosa, vietandosi anche di andare alla Marina a prendere un po' d'aria; usciva soltanto per recarsi alla messa di buon'ora nella vicina chiesa di S. Domenico. La sua solitudine era rallegrata dalle lettere che le giungevano dal campo di Termini, con le quali Blasco la informava di quanto accadeva; ella se le leggeva più volte, commossa e felice delle tenere parole, nelle quali Blasco effondeva il suo cuore e le pareva davvero di rinascere e di rifarsi una vita.