Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte quarta, capitolo 10

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Nel pomeriggio dell'8 agosto Blasco ritornò da Termini.

Il castello si era reso a discrezione, impotente a resistere, e ora i trecento difensori, senz'armi, circondati dai dragoni e dai fanti spagnoli, tornavano prigionieri nella stessa città dove erano entrati quattro anni innanzi come trionfatori.

Blasco corse subito a casa di donna Gabriella.

La bella donna non si era ancora riavuta dalla profonda commozione di quel ratto e giaceva a letto. La qual cosa a Blasco, che ignorava quanto era avvenuto, recò non poco stupore.

"Perché non m'avete avvertito? Che vi sentite?... Cattiva, se avessi saputo, sarei volato qui, al vostro fianco!"

Ella non poteva rispondere; stringeva a sè Blasco, con un tremore per tutta la persona come se lo spavento del pericolo corso le si rinnovasse. Non poteva parlare, perché la gioia di vedere il suo Blasco e la paura rinnovatasi, le empivano il cuore di sgomento.

Blasco si stupiva di quel silenzio, di quell'abbraccio muto e doloroso.

"Che cosa avete? Perché non dite nulla?"

Allora ella gli disse: "Sono stata tanto malata, e ho avuto paura di perdervi... perdervi per sempre!..."

"Avete potuto pensarlo?"

"Sì..."

Un tremito le corse per tutta la persona al rinnovarsi delle immagini che per sei giorni l'avevano tormentata, e le sue braccia strinsero in un impeto di passione l'uomo amato, come se avesse voluto abbarbicarsi a lui per non esserne più staccata.

"Siete una bambina" disse Blasco accarezzandola; poi scherzando riprese: "E perché mi perdevate? Ero io che vi lasciavo?"

Quella domanda tolse dall'imbarazzo donna Gabriella; rispose subito:

"Sì, sì... mi lasciavate, per correre dietro a un'altra donna più bella di me."

Ella si sottraeva così a una indagine che voleva evitare e non immaginava di aprire nel cuore di Blasco una porta serrata dalla volontà di dimenticare. Un'ombra passò per la mente di lui gli calò sul volto come una nube e in quell'ombra vide una fitta grata, e dietro di essa il volto severo e dolente di Violante: Violante sola. perduta nell'ampio monastero, senza amore, senza protezione, sospinta da volontà egoistiche al sacrificio, come un agnello innocente; Violante, che egli stesso aveva quasi consegnato al coltello dei sacrificatori, per una aberrazione della sua coscienza, per uno scrupolo, o per una illusione di fare meglio e bene; Violante, che egli aveva amato, come una dolce visione di gioia pura e serena, come un sogno, come qualcosa di indefinibile, di sovrumano: un rapimento, un incanto di tutta la vita.

Perché donna Gabriella disserrava la porta dell'edicola scavata dentro il suo cuore, nella quale aveva conservato la immagine di Violante? Perché?

Ella sentì forse il peso di quel ricordo, alzò il volto e guardò Blasco.

"Vi ho recato dispiacere?" gli domandò con tenerezza.

"No," rispose "no, ma che idea!..."

E tacquero un istante. Intuì donna Gabriella di aver commesso uno sbaglio? Di aver evocato qualche fantasma che credeva dimenticato? Si levò in ginocchio nel letto con la fine camicia in disordine e, stringendo il collo di Blasco con le belle braccia nude, tremando di sospetto e di passione, con un fremito di gelosia nelle parole, gli domandò a fior di bocca, sulla bocca di lui:

"Dimmi che ami me sola, e che mi amerai sempre... Dimmelo!..."

"Sì, sì, amo te sola!" rispose Blasco, afferrandosi a questa risposta, come a una corda di salvezza, per uscire dalle onde di quella visione dolorosa.

Donna Gabriella non gli aveva mai scritto o accennato cosa alcuna della sua avventura pericolosa; uscendo dal castello di S. Nicola l'uomo mascherato, le aveva detto:

"Signora duchessa, vi prego di non scrivere nulla al signor Blasco e di tacere anche quando egli verrà..."

Ella lo aveva guardato con stupore, e l'uomo mascherato, sorridendo, aveva soggiunto:

"Siamo i suoi migliori amici: e abbiamo il piacere e la fortuna di proteggervi e difendervi... Ne avete avuto la prova... Forse avremmo dovuto giungere più presto, ma la colpa non fu nostra; d'altronde siamo arrivati in tempo..."

"Oh, signore, chiunque siate voi e i vostri compagni, credete che io ve ne sono riconoscentissima. Vi prego però di farmi accompagnare a Termini..."

"Che bisogno avete di andare a Termini?..."

"Ma non sapete dunque che Blasco è gravemente ferito e muore?..."

"Blasco ferito? Muore? Ma no!... Chi ve l'ha detto?"

"Me l'ha scritto..."

"Non è possibile!..."

"Ho qui la sua lettera... Guardate!"

Trattala dal busto, l'aveva data a leggere all'uomo mascherato che, appena datovi uno sguardo, aveva compreso tutto e aveva esclamato:

"Ma non vi accorgete che questa lettera è falsa, e che fu scritta per trarvi in agguato?..."

"Che dite?"

"Ma è evidente, buon Dio!... Blasco non ha nulla; ebbi sue lettere ieri..."

"Ah!"

Una viva gioia aveva illuminato il volto di donna Gabriella e guardando il suo salvatore aveva esclamato:

"Vi riconosco, voi siete..."

"Zitta!... Non importa ch'io sia; vi basti sapere che avete accanto a voi un amico fedele, che non mancherà di esercitare sopra di voi la più accurata vigilanza. Vi prego però di tacere tutto a Blasco; è bene che egli non sappia nulla. Quanto all'altro, avete veduto che lezione gli abbiamo dato..."

Donna Gabriella aveva avuto un ultimo dubbio:

"Vi credo, ma perché se Blasco ha scritto a voi, non ha scritto a me?"

"Questo è un mistero che bisognerà decifrare..."

"Quella lettera che vi ho mostrato risponde pure a qualche cosa che io gli avevo scritto... e usa le stesse frasi che adopera Blasco..."

"Non cercate più. Essa dovette essere calcata sulla lettera di Blasco, oche, certamente, fu intercettata da Emanuele... Lasciate fare a me..."

Le aveva poi raccontato in che modo egli era potuto accorrere in suo aiuto, tacendo naturalmente ciò che era da tacere. Un servo che egli aveva mandato, come faceva, a informarsi nel vicinato se la notte era passata tranquilla, gli aveva riferito che la duchessa si accingeva a partire per Termini; e allora egli con alcuni servi era montato a cavallo per raggiungerla, temendo le strade infestate da ladroni. Quasi presso la gola di S. Nicola o di Calatorre aveva incontrato i due servi legati e accompagnati da alcuni malandrini: li aveva riconosciuti, liberati, e da loro aveva saputo tutto. Così era accorso.

Non era necessario aggiungere il perché delle sue raccomandazioni, cioè di lasciare ignorare ogni cosa a Blasco.

"Si acuirebbe l'odio fra i due fratelli, e non voglio" aveva concluso Coriolano; "bisogna invece che Emanuele riconosca e dia uno stato decoroso e conveniente al suo fratello maggiore, più degno di lui di cingere la corona ducale."

"Oh sì, è vero! Blasco merita un regno!..."

Coriolano, sorridendo di questa esagerazione scusabile in una donna innamorata, l'aveva poi obbligata a ritornare a Palermo ed ella aveva ubbidito, anche perché si sentiva male.

E non aveva scritto nulla, e aveva anche taciuto di sentirsi male.

Durante quei giorni di malattia il principe di Geraci era andato per visitarla, ma donna Gabriella aveva dato ordini severi di non ricevere alcuno, salvo che non fosse il cameriere fidato del cavaliere della Floresta. Ai suoi parenti, meravigliati di vederla ritornare così presto, aveva detto che s'era sentita improvvisamente male, e la febbre che l'aveva presa giustificava il pretesto; e gli uomini che l'avevano accompagnata, con una somma di denaro e con un giuramento si erano impegnati a non lasciarsi sfuggire una parola. Ciò che non era difficile ottenere da persone alle quali la stessa tortura non giungeva a strappare una confessione.

Così nulla era trapelato dalla parte di donna Gabriella e nulla era potuto trapelare dalla parte di Emanuele, giacchè i bravacci che egli aveva reclutato si erano dispersi, per paura di cadere nelle mani della giustizia o della vendetta del duchino, e avevano tutto l'interesse di non denunciarsi da sè per aggressione e ratto, raccontando quella bravura nella quale avevano avuto la peggio.

Emanuele non aveva fiatato. Sia perché il grave male da cui era stato preso aveva messo in pericolo la sua vita, sia per volontà sua, si era ostinatamente rifiutato di palesare quello che gli era accaduto o di fare qualche lontana allusione.

La luce poteva venire soltanto da quella lettera misteriosa dei Beati Paoli, che aveva colmato di terrore il principe di Geraci. Ma la luce era assai debole!

Egli era andato a trovare il principe di Carini, vicario generale per il Val di Mazara, per fargli leggere quella lettera, e per denunciare il grande delitto che la setta aveva commesso nella persona del suo nipote.

"Come vede vossignoria illustrissima, la setta è tutt'altro che spenta, come si era creduto; e ora osa non soltanto ammazzare i nostri figli, ma diffondere questi principi di ribellione contro la nostra autorità e la nostra condizione."

Il principe di Carini ne fu stupito. Certo che bisognava indagare e provvedere, ma occorreva avere qualche notizia di fatto dalla bocca stessa di Emanuele. Egli non sospettava che sarebbe bastato domandare a donna Gabriella, sua nipote, per avere la chiave del mistero e per ringraziare i Beati Paoli invece di punirli.

Ma Emanuele non parlò.

"Non ho bisogno della giustizia!" disse: "un duca della Motta può esercitarla da sè."

"Certo, pensava il principe suo nonno, - doveva esserci sotto una donna". Sapeva Emanuele abbastanza licenzioso e non faceva un grande sforzo di intelligenza per costruire un piccolo dramma di possibile vendetta di marito offeso. Per impedire che Emanuele, fermo com'era nell'idea di vendicarsi, potesse correre un pericolo maggiore, il principe non vedeva che un mezzo: farlo partire per qualche tempo, e al ritorno sposarlo con Violante, seppure non era anche meglio affrettare il matrimonio. Ne parlò al principe di Butera che approvò; i due nonni, persuasi di fare un'ottima cosa, stabilirono di celebrare le nozze l'8 dicembre, festa dell'Immacolata. Appena ristabilito, Emanuele avrebbe portato l'anello di fidanzamento a Violante, nel monastero di S. Caterina, e sarebbe partito.

"Mandatelo a Napoli o a Roma," propose il principe di Butera; "lo raccomanderemo all'ambasciatore di sua Maestà. Voi siete Grande di Spagna."

Ma la guarigione di Emanuele era lenta.

Durante questo tempo erano giunte notizie da Messina di una sommossa del popolo contro il principe di Lardaria, e delle vicende dell'assedio della cittadella e del Forte Salvatore, ancora in potere dei savoiardi. Dovendo spingere le operazioni per andare ad espugnare Milazzo, il Vicerè marchese de Lede richiese lo squadrone che era stato alla presa di Termini e Blasco ebbe l'ordine di partire.

"Oh, non ti lascerò partire solo" gli disse donna Gabriella, con tono risoluto. "Verrò anch'io..."

"Ma no, cara," oppose Blasco; "avrei paura per te..."

"Ed io non voglio rimanere qui, sola e lontana. Ha capito il signore?... No, no!... avrei paura. Tu sapessi che paura ho avuta!... Conducimi con te. Vedrai, io non ti recherò nessun fastidio, non ti sarò d'impiccio... E tu avrai un'amica da presso, che avrà di te ogni cura... Vicino a te mi sentirò più coraggiosa..."

Egli dovette cedere.

Lo squadrone partì per terra. Il mare non era sicuro, dopo il combattimento di Messina, nel quale le navi spagnole assalite da quelle inglesi avevano avuto la peggio.

L'Inghilterra era entrata improvvisamente in azione contro la Spagna, che, suscitata dall'irrequieto cardinale Alberoni, metteva in forse la pace dell'Europa. S'era stretta contro di essa appunto la quadruplice alleanza; e mentre l'armata inglese, forte di ventotto navi sotto gli ordini dell'Ammiraglio Bing, salpava da Napoli alla volta della Sicilia, reggimenti austriaci penetravano nella cittadella in aiuto dei savoiardi.

La flotta inglese era venuta nel Mare del Faro senza manifestare intenzioni ostili, ma dopo uno scambio di domande e risposte aveva dichiarato che aveva ordine di garantire la neutralità della penisola e il mantenimento dei patti della pace d'Utrecht, il che equivaleva a una dichiarazione di ostilità. E allora l'armata spagnola entrò in azione. Era forte di trentasette legni otto più degli inglesi, ma gli spagnoli disponevano di 7142 uomini e 1038 cannoni; gli inglesi di 9063 uomini e 1440 cannoni; il numero era dalla loro parte, come c'era la maggior perizia. L'armata spagnola era comandata dall'ammiraglio Castagnedo, inetto e irresoluto, che si lasciò assalire, sconfiggere, scusandosi poi con l'accusare gli inglesi come assassinos, fiuera de toda regla de milicia nacional. Le navi spagnole scampate alla sconfitta ricoverarono a Palermo e il mare rimase in balia dei nemici. Avventurarvi galere cariche di milizie, era lo stesso che farle catturare dagli inglesi. Di qui l'ordine di far partire le truppe spagnole per la via di terra, più lunga, ma più sicura.

I vetturali che dovevano percorrere quella strada, e chi doveva recarsi in uno dei paesi fra Palermo e Messina, approfittarono della favorevole circostanza per viaggiare sicuri, cosicchè una specie di carovana estranea alla milizia seguì lo squadrone di fanti. La lettiga di donna Gabriella non fu dunque sola; ed ella non ebbe bisogno di farsi accompagnare da servi. Anzi, perché nessuno sapesse dove andava, noleggiò una lettiga pubblica, e non condusse con sè che la cameriera fidata.

In casa fece sapere e fece dire che andava a passare l'autunno in una sua terra, presso il castello di Brucato.

Così, quando Emanuele rimessosi in condizione di potere uscire di casa, anelando dentro di sè la rivincita e la vendetta, cercato Matteo Lo Vecchio, seppe che donna Gabriella era partita, arse di collera.

"Partita? Per dove? Come?"

"Eh! si capisce che l'innamorato non l'avrebbe lasciata qui sola. È partita col signor Blasco per Messina, dove non sarà tanto facile nè a Vossignoria nè ad altri di raggiungerla."

"Oh! la vedremo!..."

Egli non sapeva però quello che il suo nonno e tutore aveva stabilito sul suo conto.