Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte quarta, capitolo 15

Italiano English

Il matrimonio di Violante aveva reso Blasco taciturno, e il giorno delle nozze, con un pretesto, si era sottratto alla compagnia di Coriolano e a quella medesima di donna Gabriella, andandosene in campagna, e non ne ritornò che il mercoledì delle Ceneri, quando per la città si diffondeva la notizia che Emanuele, da quel giovane scapestrato che era, aveva trascorso la notte in casa della prima donna del Santa Lucia.

Ne fu sdegnato, ma nel tempo stesso non potè celare la propria gioia, e volle sapere da Coriolano i particolari che erano di dominio pubblico.

La sua gioia aumentò quando seppe che Violante aveva vietato allo sposo l'accesso nella sua camera.

"Che volete farci?" concluse sorridendo Coriolano: "Emanuele aveva fame, non ha trovato la cena in casa, ed è andato a cenare fuori: è compatibile, e credo abbia agito con spirito..."

"Ma brava! brava!" esclamava Blasco che non pensava certo alla fame di Emanuele; "ma sapete che quella fanciulla ha carattere? Non lo avrei supposto!... Come son contento!..."

"Scusate, di che siete contento? Del carattere, se così vi piace chiamarlo, o delle spranghe che barricarono la porta?"

Blasco arrossì leggermente. Coriolano che lo guardava con quel suo occhio sereno e dolce, ma nel tempo stesso investigatore, disse:

"È una consolazione effimera. Questi sono assedi che finiscono sempre con una resa a discrezione. Se questo stato dovesse continuare finirebbe col coprire di ridicolo gli attori, e il ridicolo cadrebbe anche sopra gli autori di questo matrimonio. È dunque naturale che le spranghe cadano, e le porte si aprano..."

"Lo credete?" disse Blasco impallidendo.

"Diamine!... Ma scusate;" aggiunse Coriolano, "perché vi fate pallido?"

"Io?... ma no..."

"Ma sì!... Ditemi la verità, siete ancora innamorato di donna Violante?"

Blasco fece col capo un gesto di negazione; non osava dire di no. Le parole di Coriolano destavano troppe memorie e troppi sentimenti assopiti per poter affermare quello che non era.

Ma non voleva confessarlo. Ormai egli non era più libero di sè: aveva legato il suo destino a quello di donna Gabriella e gli sarebbe parsa una indegnità, una vigliaccheria disonorevole, mancare alla promessa che, in un momento critico, eccezionale, aveva fatto. Se fino a quel giorno donna Gabriella non era divenuta legalmente sua moglie, era stato unicamente perché lei non aveva voluto.

"Voglio essere amata da te liberamente, fuori da ogni vincolo, da ogni obbligo che non sia quello del cuore... Temo, amico mio, che il giorno in cui io sarò tua moglie guadagnerò il diritto di uscire al tuo braccio senza biasimo altrui, ma perderò il tuo amore, ed io voglio il tuo amore".

Queste parole lo avevano legato a donna Gabriella ancora più fortemente che non avrebbe fatto la benedizione di un prete.

Ma intanto sentiva che nel suo cuore c'era qualcosa che egli non poteva dare: c'era qualcosa che glielo vietava. Anch'egli, ora, lo vedeva nettamente, aveva sprangato le stanze più riposte del suo cuore dinanzi a donna Gabriella, perché in quelle stanze aveva chiuso l'immagine di Violante coi sogni, con le speranze, coi dolori di un amore solitario.

Coriolano scosse il capo e mormorò:

"Ahimè! quanto siete mutato! Dov'è il mio Blasco che conobbi un giorno sulla strada Colonna a tu per tu col principe di Iraci?"

Anche Blasco sorrise a questa evocazione, ma d'un sorriso triste. Davvero che non era più lui; un fiume torbido era disceso a inondare i verdi campi della sua spensieratezza.

"Divento vecchio, amico mio."

"A trent'anni? Via! non lo pensate neppure... So io di che genere è la vostra vecchiaia. Ma parliamo d'altro."

Qualche giorno dopo circolò per le conversazioni la notizia che si iniziava la causa di annullamento del matrimonio di Emanuele e Coriolano la comunicò a Blasco.

"Come!" esclamò questi illuminandosi di gioia: "Come? un annullamento?"

"Certo. è la migliore soluzione. Ci rimetteranno duecent'onze e ognuno riprenderà la sua libertà..."

"Oh, che cosa mi dite!"

Blasco non potè celare la profonda commozione provata per quella notizia; il suo volto aveva ripreso, come per incanto, l'antica giovialità. Violante riprendeva la sua libertà, Violante, ancora fanciulla, intatta, pura!

"Ma sapete," disse "che è una cosa straordinaria?"

Non trovò altre parole che queste così sciocche, ma che gliene importava? Non era già che egli volesse dire qualche cosa, voleva soltanto celare sotto una frase qualunque tutto quello che invece avrebbe voluto dire.

Certo, egli non osava nutrire o formulare alcuna speranza, ma la sola idea che Emanuele non avrebbe mai posseduto la fanciulla, e non avrebbe mai avuto alcun diritto su di lei, bastava a renderlo felice.

Donna Gabriella al vederlo quel giorno più espansivo, più gaio, quasi febbrile, come non lo aveva veduto da alcuni giorni ne fu dapprima stupita, poi se ne adombrò e sospettò il vero. Allora toccò a lei diventare cupa e chiusa. Era evidente che se la notizia della separazione di Violante lo riempiva di gioia, egli l'amava ancora: quelli che erano stati fino allora sospetti vaghi e indeterminati si tramutarono in realtà e le gonfiarono il petto di gelosia. Si domandava se la condotta dei due sposi, la prima notte delle nozze, non era stata per caso l'effetto del veleno che lei aveva sparso nelle loro anime; ed esagerandosi la portata delle sue parole ora si accusava d'aver provocato, per la sua smania di aver voluto esercitare quelle piccole rappresaglie, quella causa che avrebbe resa libera, desiderabile e nuovamente pericolosa Violante.

Ella vedeva impallidire la stella della sua felicità. V'era dunque qualche cosa di fatale, di ineluttabile che le toglieva tutto il possesso dell'uomo amato? O prima o poi non si sarebbe egli un giorno disciolto dalle sue braccia, per seguire il fantasma dell'anima anelante? Che cosa dunque occorreva per impedirlo? Poter mandare a monte quella causa di nullità, e ravvicinare gli sposi!

La primavera fu quell'anno tiepida e serena; a marzo pareva di essere in maggio. La passeggiata nel Cassaro era frequentata e anche quella fuori Porta Nuova, ma v'erano delle carrozze che si spingevano fino alla marina, durante il pomeriggio; come v'erano delle anime solitarie che, lasciando il frastuono della maggiore strada della città, preferivano la tranquillità di quella vasta piazza sul mare, nella cui ampiezza il rumore delle poche carrozze si spegneva. Anche sul terrapieno che correva lungo la cortina di mura fra Porta Felice ed il palazzo Butera, con le sue terrazze sulle Mura delle Cattive, così dette perché offrivano un passeggio ritirato alle vedove, si vedeva qualche figura abbrunata o qualche portantina coi pennacchi, le tendine, le frange nere.

Un dopopranzo donna Gabriella, triste e torbida, si fece portare sulle Mura delle Cattive. Ella vestiva ancora il bruno, ma dalla sua portantina erano già spariti in parte i segni di lutto. A metà del terrapieno fece fermare la portantina e ne scese per godere lo spettacolo bellissimo del ma re, che si allargava sotto gli occhi suoi in tutta l'ampiezza del golfo. Alla sua destra si protendeva a sprone il baluardo del Tuono, con le grosse artiglierie di ferro; dietro, a venti passi, si levava la lunga palazzata del palazzo Butera, con le sue terrazze.

Donna Gabriella vi rivolse uno sguardo e trasalì; appoggiata al parapetto della terrazza vide Violante, avvolta in una mantiglia, che guardava anche lei il mare e il capo Zafferano, e le piccole piccole nubi simili a mazzi di rose e di viole gigantesche, diffuse nel cielo che prendeva una lieve tinta d'ametista.

Guardò un poco la fanciulla assorta e parve richiamarne l'attenzione, perché Violante abbassato lo sguardo su di lei fece un gesto di stupore; allora la salutò con la mano, abbozzando un sorriso.

Aveva fatto uno sforzo per sorridere, col cuore gonfio di amarezza, vedendola ancora più bella di prima e in un atteggiamento che aveva, nella linea malinconica, un fascino misterioso.

Violante sembrò meravigliarsi di quel saluto inaspettato, tuttavia, seguendo le abitudini di educazione, le rispose con un inchino cerimonioso e riservato.

Per un istante si guardarono. Donna Gabriella aveva il capo oppresso da pensieri e da progetti che si succedevano, si combattevano; voleva e disvoleva; a un improvviso ardimento si opponeva subito uno scoraggiamento invincibile; la gelosia le ardeva gli occhi, l'amore la tormentava, i desideri, l'odio la tiravano indietro, l'interesse la spingeva. Violante, dal canto suo, la guardava come aspettando la ragione di quel saluto. Non si erano più vedute da tanto tempo; donna Gabriella non aveva preso parte alle feste nuziali, nè si era doluta o rallegrata della ricuperata libertà della fanciulla; non si era fatta viva neppure con un saluto, con un cenno. Perché mai la salutava adesso? Era venuta sulle Mura delle Cattive per vederla? Quando si accorse che donna Gabriella non si risolveva a dire nulla, Violante, per sottrarsi a una situazione che le costava qualche sacrificio, le fece un'altra riverenza e rientrò in casa.

La duchessa ebbe un moto di dispetto contro di sè e contro la fanciulla. Che cosa volesse e quale fosse il suo disegno non era ancora ben chiaro nella sua mente, ma le pareva che l'atto di Violante le togliesse la possibilità di un buon successo.

Non osò ritornare l'indomani; pure desiderava rivederla, con una vaga speranza che da un suo abboccamento con Violante sarebbe riuscita a qualcosa per riguadagnare un'altra volta Blasco. Dopo due o tre giorni ritornò sulle Mura delle Cattive, ma non rivide Violante. Vide invece Matteo Lo Vecchio, che la salutò profondamente. La vista del birro le fece ribrezzo; ricordò che egli aveva tentato di avvelenare Blasco nel castello di Messina e un improvviso impeto le suggerì di farlo arrestare, nonostante fossero trascorsi cinque anni.

Il birro arrivò sino all'estremo del terrapieno e tornò indietro, ripassando dinanzi alla portantina, e inchinandosi nuovamente, gettando una sbirciatina di traverso sulla duchessa, con un sorriso maligno. Egli si era accorto delle occhiate impazienti che donna Gabriella volgeva alla terrazza del palazzo Butera.

La sera Emanuele lo seppe.

"Che diamine va a fare sotto la terrazza di Butera?" domandò il giovane a se stesso.

Che andasse per vedere Violante non gli passò neppure per la mente; suppose che si trattasse di ben altro, e una sorda collera gelosa gli riscaldò il sangue. Mentalmente coperse di ingiurie e di male parole la duchessa, alla quale non aveva mai perdonato le umiliazioni sofferte, senza avere avuto neppure la soddisfazione di baciarla; e su di lei accarezzava sempre l'idea di una rivincita rumorosa e tale da rendere donna Gabriella la favola della città; la copriva di insulti e di sconcezze, credendo che qualche nuovo capriccio la conducesse su quella terrazza. Ciò gli dava piacere soltanto perché recava onta a Blasco.

"Per dio! quel bastardo del demonio ha il fatto suo! Ci ho gusto. Lo metteremo sotto la protezione di S. Pasquale! Ah, se potessi avere qualche prova, se potessi sapere qualche indicazione!...".

"Matteo Lo Vecchio, voglio sapere che cosa va a fare la duchessa sulle Mura delle Cattive."

"Vostra Eccellenza lo saprà."

Qualche giorno dopo, il birro venne a dirglielo.

"La signora duchessa fa all'amore."

"Ah! lo dicevo..."

"Soltanto che non è un uomo..."

"Come?"

"Fa all'amore con la figliastra."

"Donna Violante?"

"Appunto."

"Voi scherzate..."

"Io? Non ho mai parlato con tanto senno... Ho visto io la signora duchessa parlare con donna Violante... la duchessa dalle Mura delle Cattive e la figliastra dalla terrazza del palazzo Butera."

Emanuele non ne fu persuaso; forse s'erano vedute quella volta per un caso qualunque, ma certamente donna Gabriella non si sarebbe disturbata ad andare fin là per i begli occhi di Violante, per la quale non aveva mai avuto simpatia. Matteo Lo Vecchio non era stato accorto. Bisognava ritornarci.

Il birro si inchinò:

"Se vostra Eccellenza me l'ordina, ubbidirò, ma le assicuro che la signora duchessa non va per altro..."

Riferì dopo altri due o tre giorni la medesima cosa. La duchessa domandava alla figliastra se rientrava nel monastero, o se andava a visitare le zie; avrebbe voluto vederla da vicino, e parlarle di mille cose...

Emanuele ne era stupito. Ma dunque erano in buoni rapporti? Allora si ricordò del domino celeste e delle sue parole velenose: una finzione per impedire il suo ingresso nella stanza nuziale, per provocare quello scandalo dell'annullamento. Era stata una vendetta di donna Gabriella. Gli sembrava così chiaro, così logico, che non ne ebbe alcun dubbio.

"Ah! la signora duchessa non è dunque soddisfatta? La signora duchessa, dopo avermi esposto al ridicolo, mi leva la moglie? Ah! è lei dunque l'autrice di tutto ciò che mi è capitato? Ma sta bene, signora, sta bene! Vedremo se sarò bravo a darvi una lezione che vi durerà tutta la vita... con tutta la protezione dei Beati Paoli!..."

Matteo Lo Vecchio aguzzò l'orecchio: la protezione dei Beati Paoli? C'era dunque qualche cosa che egli non sapeva? Ma guarda un po' che anche la signora duchessa sarà un'affiliata! Occhio, Matteo!

Emanuele passeggiava, sbuffando; a un tratto si fermò dinanzi al birro:

"E voi? Che cosa fate voi? Vi ho fatto venire Girolamo Ammirata, vi ho dato carta bianca, ma quelle carte... E adesso mi sarebbero utili per quella sgualdrina di donna Violante!.. Potergliele sciorinare sul muso, poterle dire: "Vostro padre fu un malfattore, ed io lo farò sapere ai quattro venti; infamerò la sua memoria e vendicherò mia madre e me!...". Ecco che cosa voglio dirle!... Che cosa avete fatto? Dove sono le carte? Voglio umiliare, svergognare quelle due donne, voglio vederle ai miei piedi... averle, e gettarle ai cani!... Avete inteso? Io vi farò ricco se giungerò a vendicarmi, ma vi farò ammazzare se mi ingannate... se credete di prendervi giuoco di me..."

Matteo Lo Vecchio lo lasciò sfogare, standosene umilmente in atto di ascoltarlo ma con un volto che lasciava travedere una lieve sfumatura canzonatoria. Quando Emanuele ebbe finito disse:

"Vostra Eccellenza mi permette di parlare?"

"Che cosa potete dire?"

"Che le carte verranno. Abbia pazienza. Non bisogna esporsi a essere presi per ladri: sarebbe compromettere tutto, e specialmente vostra Eccellenza. Lasci fare a me. Anch'io ho un certo conto da sistemare coi Beati Paoli, e vendicando vostra Eccellenza, vendico anche me stesso."

Egli pensava fra sè: "La duchessa è protetta dai Beati Paoli; affiliata, propriamente non sarà, ma certamente questa protezione le viene dal bastardo; lei deve sapere molte cose della setta del diavolo. Deve dunque sapere delle carte; e può anche darsi che le abbia in deposito come una preziosa memoria del suo illustre marito, che il diavolo l'abbia in gloria! Bisogna dunque lavorarsi la duchessa e strapparle questo segreto. Come? Per fare di una donna innamorata quello che si vuole non c'è che la gelosia. Noi ingelosiremo la signora duchessa fino al punto di farle fare delle pazzie. Vediamo un po'...".

Il birro dalla fantasia feconda elaborava un vasto piano di vendette, nel quale voleva trarre don Girolamo, Andrea, Blasco e Coriolano. Vi sarebbero cadute anche donna Gabriella e Violante, senza alcuna colpa; ma non era cosa tale da commuovere o da impensierire Matteo Lo Vecchio. Quanto a Emanuele, che egli giungesse a umiliare, svergognare le due dame, non gli importava un corno; che riuscisse o no a vendicarsi non gli premeva; per lui Emanuele era soltanto una bandiera che doveva proteggerlo e che al momento opportuno egli avrebbe gettato sul fuoco, se fosse stato necessario.

Era un piano diabolico, che occorreva studiare, ma della cui riuscita non dubitava punto.

Intanto che rassicurava il duca della Motta, gli suggeriva qualche bel colpo. Andrea, per esempio, era un uomo da affidargli qualche incarico scabroso. In pieno giorno, dall'angolo del vicolo di S. Antonio, aveva tirato una pistolettata a don Raimondo; poi era entrato nei Beati Paoli, ed era stato uno degli architetti della cabala contro don Raimondo. Oh lo conosceva bene, lui! Maneggiare il coltello? Ce n'erano pochi che potevano stargli accanto. Non poteva digerire Blasco: una volta voleva ammazzarlo ed era uomo capace di farlo...

Emanuele ascoltava e pensava.

"Diamine! perché allora l'ho messo da parte? E se ora...".

Quell'ora restava sospeso in una reticenza gravida di mille idee.

"Sta bene! sta bene!" disse congedando Matteo Lo Vecchio.

Matteo Lo Vecchio incontrò nel l'anticamera Andrea, e trascinandoselo amichevolmente fin giù nell'androne, gli sussurrò all'orecchio:

"Ho parlato di voi a sua Eccellenza. Vedrete che d'ora innanzi riconoscerà i vostri meriti."

Andrea lo ringraziò. Un occhio osservatore avrebbe scorto nel viso dell'antico servo di casa Albamonte una diffidenza ironica, ma il birro con la coda dell'occhio osservava Girolamo Ammirata, che stava sulla soglia di un balcone li di fronte, guardandolo con l'occhio di chi vuole capire quello che si dica lontano da sè; non si accorse dunque di niente, e se ne andò.

Don Girolamo uscì quasi nel tempo stesso e lo pedinò, intanto che Emanuele chiamava a sè Andrea.