Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte quarta, capitolo 16

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Come per caso, donna Gabriella s'incontrò nel parlatorio di Santa Caterina con Violante, che accompagnata dal principe di Butera era andata a visitare le zie. Anche donna Gabriella, avvicinandosi la Pasqua, era andata per visitare le due vecchie cognate.

Dopo tanto tempo, era la prima volta che la matrigna e la figliastra si trovavano accanto. Esse si salutarono cerimoniosamente, con garbo, ma con freddezza. Si scambiarono alcune parole insignificanti, poi la duchessa entrò in argomento fingendo di domandare informazione sull'andamento della causa di nullità.

"Speriamo fra quattro o cinque mesi di uscirne," disse il principe.

Donna Gabriella parve addolorarsene.

"Ma è proprio una cosa irriconciliabile?"

Il principe e Violante fecero un viso come per dire: "Ci può essere una domanda più sciocca di questa?". Ma donna Gabriella non si sgomentò, cominciò una predica edificante, resa eloquente dall'occulto motivo che la spingeva. Lodava Emanuele che era ricco, bello, valoroso, aveva tutto per essere un marito invidiabile... Non si amavano? L'amore sarebbe venuto certamente dopo. Intanto si evitavano altre ciarle; se ne erano fatte troppe e non tutte benevole. Ed Emanuele, poi, non lo dava a vedere, ma era innamoratissimo di Violante e avrebbe commesso qualche pazzia...

Violante l'ascoltava con uno stupore sempre più crescente e pensando alle passeggiate di donna Gabriella sulle Mura delle Cattive, si domandava se ella non avesse ricevuto qualche incarico da Emanuele. Era fredda. diventò sospettosa. Il principe di Butera però intervenne. Ormai le cose erano incominciate e non era il caso di ritornare indietro. Peggio per don Emanuele. Invece di andare a passare la notte in casa di una signora di quel genere, doveva andare da lui. Via! Non erano più cose da discorrerne senza venir meno ai riguardi che meritava una dama "di qualità". Pregò donna Gabriella di non insistere su una conversazione penosa per tutti.

La duchessa mostrò di avere dispiacere. Dentro di sè, però, sentì ruggire la sua collera. In quei giorni aveva ricevuto delle lettere anonime che la istigavano a tenere gli occhi aperti, perché le si preparavano giorni di gran dolore; qualche lettera faceva delle allusioni a infedeltà, tradimenti delle persone che più aveva care e vicine.

Il rifiuto di Violante, le parole del principe, le sonarono all'orecchio come l'effetto di altri suggerimenti, dietro i quali il suo spirito sospettoso vedeva l'immagine di Blasco.

Tentò di ribattere con una parola di scherzo, sussurrata quasi all'orecchio di Violante.

"Non saresti forse... innamorata di qualcuno?... Di' la verità."

Violante la guardò col viso in fiamme; l'aspetto di donna Gabriella era come contraffatto.

"No," le rispose seccamente, e da quel momento divenne cupa e silenziosa.

Esse si erano comprese, ma allo sguardo anelante, iracondo, tempestoso di donna Gabriella, Violante opponeva uno sguardo pieno di altero disdegno.

"Signora," le disse scandendo le sillabe, "quando sarà annullato il mio matrimonio, io verrò a chiedere a queste mura la pace che non ebbi mai da quando mia madre morì!..."

Donna Gabriella stette ancora un minuto, poi si accomiatò e se ne andò col cuore in gran tempesta. Quando si chiuse nella carrozza, abbassando le cortine perché nessuno la vedesse, si abbandonò alle lacrime di dispetto, di collera, di gelosia, di odio. Nessuno le poteva togliere dal capo che fra Blasco e Violante doveva esserci qualche intesa.

"Ma la sventerò! - singhiozzava - la sventerò!...".

Niente la rendeva più irragionevole, caparbia, feroce, come quegli impeti di gelosia.

La sera, ella si piantò dinanzi a Blasco con gli occhi che pareva le fiammeggiassero e lo minacciò:

"Bada! ho la prova che tu non mi ami, non mi puoi amare... È inutile negarlo. Non potrei crederti... Ma bada, ti ripeto. Io ho calpestato ogni cosa per darmi a te tutta, tutta!... Io sono vissuta e vivo di te. Ebbene io ti ammazzerò con le mie mani!"

Scoppiò in lacrime dopo queste parole e ci volle tutta la pietà e la tenerezza di Blasco per calmarla. Ma cominciò per lei una vita di sospetti, di ansie, di paure, di impeti folli, tra i quali si logorava e perdeva quella giocondità e quella passionalità che erano i suoi fascini potenti.

Un'altra lettera anonima in quei giorni le diceva:

"Una persona devota, che non vuole essere veduta, potrebbe darvi qualche notizia importante intorno a ciò che maggiormente interessa il vostro amore. Non fate parola con nessuno di questa lettera; e se volete almeno avere la chiave di quello che più vi addolora, favorite andare in carrozza alla strada Colonna; un uomo presso la fontana si avvicinerà e domanderà l'elemosina per le anime sante del purgatorio. Silenzio e prudenza".

Questa lettera non le diede pace. Ella fu irrequieta fino al pomeriggio seguente, quando si recò alla marina. Appena uscita dalla Porta Felice, un uomo vestito col sacco di una con fraternita, col cappuccio sugli occhi e una cassetta nelle mani, si avvicinò alla carrozza, scotendo la cassetta e gemendo:

"Anime sante!..."

Donna Gabriella fece l'atto di voler dare l'elemosina. L'uomo della confraternita porse la cassetta e mormorò:

"Vostra signoria illustrissima vuole che il signor don Blasco le sia fedele? Bisognerebbe prima di tutto sapere dove ha posto un involtino che contiene alcune vecchie scritture che appartenevano a un abate e che contenevano cose preziosissime... È un piccolo plico ripiegato in quattro, involto in un foglio di carta e legato con una cordicella..."

"Che carte sono?"

"Non potrei dirlo.... ma si tratta di scritture... magiche. Sono scongiuri e orazioni terribili, che chi le ha è padrone della vita altrui." Donna Gabriella trasalì e un brivido di paura le corse nel sangue, ma non volle mostrare di credere subito, temendo che si trattasse di qualche inganno. Finse di non avere nessun interesse in quella faccenda e rispose con alterezza:

"Signore, non so che cosa possa importarmi delle carte del signor Blasco."

E ordinò alla carrozza di proseguire, ma il confrate supplicò:

"Un momento, illustrissima. Non mi scacci così. Vengo per il suo bene, e non voglio nessun compenso io. Grazie al cielo, campo del mio. Mi fa pena vederla deperire così!... Quelle carte hanno "ligato" altre persone..."

"Violante!" pensò fra sè donna Gabriella con un fremito di odio.

"Se vostra signoria illustrissima," continuò l'incappucciato "vuole dunque vendicarsi e riacquistare il signor don Blasco, procuri di sapere dove le ha..."

Donna Gabriella si domandò mentalmente:

"Che interesse può avere costui di occuparsi di me?".

Il dubbio forse trapelò dagli occhi suoi, perché il confrate riprese:

"C'è un'altra persona che a sua volta soffre, e la cui guarigione dipende dal rendere nulla la "legatura". Vostra signoria illustrissima vede dunque che nelle sue mani sta la sua pace e quella di altre persone. Dopodomani, a questora, io passerò con la mia cassetta dinanzi al bastione. Venga. Supplico vostra signoria di non mancare."

La riverì e si allontanò, scotendo la cassetta e gridando con voce lamentevole:

"Anime sante!..."

Donna Gabriella rimase pensierosa: quelle carte, quella "fattura" quell'intervento di cose soprannaturali ingombrarono il suo spirito. Credeva e non credeva: la gelosia le esagerava tutto e le rendeva credibili le cose più inverosimili. Ma come fare? Domandare direttamente a Blasco, equivaleva a insospettirlo e sarebbe stato peggio. Un nome le balenò alla mente: Coriolano. Non era egli il grande e unico amico di Blasco? Non ne conosceva forse tutti i segreti?

Tornata a casa, si affrettò a mandarlo a pregare perché favorisse da lei. Una tale richiesta stupì non poco il cavaliere della Floresta, che non tardò ad ubbidire all'invito della bellissima dama.

Alle prime parole che, dopo un giro difficile e complicato di preghiere e di proteste, donna Gabriella gli rivolse intorno a un plico misterioso, sottratto da Blasco a un abate, Coriolano si fece serio; ma quando ella gli affermò che quelle carte contenevano scongiuri e orazioni per "fatturare" non potè trattenersi dal ridere.

"Chi ve l'ha detto? scusate..."

Donna Gabriella esitò, ma alle istanze di Coriolano cedette e gli riferì tutto.

"Dov'è quella lettera?"

Ella la cercò e gliela diede: il cavaliere della Floresta vi gettò un'occhiata, stropicciò le dita sulla carta, l'odorò e se la pose in tasca.

"Che cosa fate?" gli domandò la duchessa.

"Permettete; mi serve per sapere chi l'ha scritta..."

"Potete saperlo?..."

"Sì. È affare mio, non ve ne curate. Ora vi dirò che Blasco non possiede alcun plico..."

"Come potete affermarlo?..."

"Ne sono sicurissimo. Un solo plico egli possedeva, ed ora non è più in potere suo..."

"Ah! vedete?"

"Sì, ma quel plico conteneva tutt'altro che scongiuri; erano rivelazioni gravissime e terribili sul conto di una persona, ora morta, e non servono più a nulla..."

"Voi parlate con tanta sicurezza, che mi rendete perplessa..."

"Gli è che quel plico apparteneva ad alcune persone di mia conoscenza, ed era stato loro rubato da un essere spregevole...."

"O non era in potere di un abate?..."

"di un essere spregevole che si era travestito appunto da abate per compiere quella sua birboneria. Blasco lo ritolse a quel birbone e lo restituì a coloro cui apparteneva... Ecco tutto."

Donna Gabriella, stupita, lo guardava a bocca aperta: quello che Coriolano diceva era così preciso e circostanziato ed egli parlava con tanta sicurezza, che non era il caso di mettere in dubbio quanto diceva.

"Ma perché," osservò, più per lo stupore che ne provava, che per qualche dubbio che le rimanesse "perché quel confrate delle Anime Sante mi avrebbe imbrogliato?"

"Questo lo saprò, non dubitate; lasciate fare a me."

Quella sera, verso la mezzanotte, si videro delle ombre rasentare i muri della piazza SS. Quaranta Martiri del Casalotto, dietro Casa Professa, e sparire nell'ombra di una porticina, che si apriva misteriosamente accanto alla porta della chiesa.

Donna Gabriella quella sera aveva pregato invano Blasco di rimanere; egli aveva resistito a tutte le seduzioni, adducendo delle ragioni imperiose, che insospettirono la duchessa. Ella smaniò tutta la notte, immaginando chi sa che cosa e correndo dietro alle sue fantasie, tormentandosi e ritornando alla storiella degli scongiuri e degli incantesimi, nonostante le assicurazioni di Coriolano. Smaniava.

Dall'orologio di San Domenico sonarono tre ore di notte. Donna Gabriella aveva sentito sonare uno dopo l'altra quelle ore e il suo spirito s'era andato sempre più offuscando sotto le nubi delle sue immaginazioni e il suo cuore a mano a mano era andato piegandosi sotto l'onda del dolore irragionevole. Ella si persuadeva di una verità - tale la credeva - che non scaturiva da alcun fatto nuovo ma che per lei non era meno terribile e reale: che Blasco era andato via perché aveva promesso a qualche altra donna di passare con lei la serata. Non poteva essere altrimenti. Questa fantasia la prese talmente, le penetrò a tal punto nel sangue, che si mise a piangere; e poi, con una risoluzione improvvisa, chiamò la sua cameriera e le ordinò di far preparare la sua portantina ordinaria di mezzo lutto e i due volanti senza livrea.

La cameriera ne fu stupita. Che cosa aveva dunque la padrona? Era forse ammattita? Donna Gabriella dovette ripeterle l'ordine, per persuaderla a ubbidire.

Un istante dopo ella usciva dal palazzo. Aveva ordinato che la portassero al palazzo della Floresta. Voleva persuadersi che Blasco fosse in casa, voleva la prova materiale che egli fosse innocente del tradimento di cui lei lo incolpava.

Il portone del palazzo della Floresta era chiuso, ma la portantina non vi era ancora arrivata, che si aprì e lasciò uscire due uomini. Essi passarono accanto alle torce dei volanti e dal fondo della portantina donna Gabriella riconobbe Coriolano e Blasco. Non gridò per non scoprirsi, ma appena essi passarono oltre, lei diede ordine di ritornare indietro. Disse a uno dei due volanti:

"Hai riconosciuto quei signori che son passati?"

"Eccellenza, sì."

"Bene. Bisogna seguirli, ma senza dare sospetto."

"Vostra Eccellenza sarà servita."

Quella portantina così modesta non dava sospetto. Di notte non era difficile incontrarne, perché medici, levatrici, padri confessori non si servivano d'altri mezzi e c'era sempre gente che nasceva e gente che moriva. Coriolano e Blasco non potevano dunque pensare di essere seguiti.

D'altronde, oltrepassata di poco la chiesa di S. Orsola, essi sparirono nell'ombra del vicoletto che veniva dopo e i volanti non seppero, perché non potevano, indicare dove fossero entrati. Riconobbero il vicolo, ma la piazzetta era deserta e silenziosa, immersa nell'ombra notturna, e le casette intorno sulle quali si ergeva l'antica torre del palazzo Marchese, con la bella finestra rabescata, erano chiuse e non lasciavano trapelare segno di vita. I volanti ebbero un bel guardare: non videro alcuno, non scorsero nulla.

Donna Gabriella ne fu desolata. Dove poteva essere andato Blasco? Erano sicuri i volanti che egli era entrato nella piazzetta? E potevano affermare che non fosse uscito dall'altro lato, dal vicoletto che conduceva a Casa Professa?

"Torniamo a casa," disse con voce alterata dal dispetto e dal dolore.

Il corteo riprese il cammino verso i Quattro Canti; era già notte alta e un senso di paura corse per le vene di donna Gabriella. La paura la faceva rinsavire e le mostrava l'assurdo di quella spedizione notturna, che non era approdata a nulla.

Attraversò i Quattro Canti e discese giù per via Toledo. Una carrozza preceduta da quattro volanti, che le veniva incontro al trotto, le diede nuova paura. Istintivamente si tirò in fondo, come per nascondersi. Al lume delle torce aveva riconosciuto la livrea di casa della Motta, segno che nella carrozza c'era Emanuele.

"Dio! se mi vedesse! - esclamò fra sè - sarei perduta!...".

Ma la carrozza prosegui la sua strada, come se non avesse neppure veduto la portantina; poco dopo il rumore delle ruote si smorzò quasi repentinamente: forse la carrozza era svoltata per qualche via laterale, il che rassicurò alquanto donna Gabriella. Appena giunta a casa chiamò uno dei volanti.

"Vai," gli disse, "al palazzo della Floresta e spia a che ora rientra il cavaliere Albamonte e con chi. Non muoverti senza averlo visto prima rientrare... E soprattutto non ti lasciar vedere. Bada bene. Qualunque sia l'ora in cui tornerai, fammi svegliare."

Il volante partì.

S'appostò nel vano d'una porta e aspettò. Sonò la mezzanotte, sonò il tocco, sonarono due ore, il volante vide venir fuori dalle tenebre due ombre, che s'avvicinavano al palazzo della Floresta; aguzzò gli occhi e tentò di riconoscerle; una di esse gli sembrò appunto Blasco; d'altronde chi poteva aprire ed entrare nel palazzo della Floresta a quell'ora se non il padrone di casa o il suo ospite? Aspettò ancora un minuto per vedere se il portone si riaprisse, e i due che erano entrati uscissero. Quando si persuase che era inutile aspettare, si mosse.

Una voce lo arrestò di botto.

Si voltò vivamente e si vide addosso Matteo Lo Vecchio, che sorrideva d'un sorriso diabolico.

"Che cosa volete?" gli domandò.

"Niente, figlio mio, ero qui, vi ho veduto e siccome sono curioso ho voluto vedere quello che facevate..."

"E vi pare niente impicciarsi dei fatti altrui?..."

"Secondo, giovanotto mio: qualche volta è bene impicciarsene... Per esempio, voi che stavate facendo qui?"

"Quel che mi piace..."

"La risposta è buona, ma è pericolosa, perché..."

Matteo Lo Vecchio cavò rapidamente dalla tasca una pistola, e puntatala al petto del volante, afferratolo per un braccio, continuò:

"perché se fai un passo, se gridi, se ti muovi, ti ammazzo come un cane."

Il volante non era un vigliacco, ma non era neppure un uomo di gran coraggio; dinanzi alla pistola la sua petulanza venne meno; pallido, balbettando, domandò:

"Ma chi siete? Che volete?"

"Chi sono non t'importa saperlo; quello che voglio è presto detto: Che cosa fai qui? E bada a dirmi la verità, perché ho sempre modo di fartela dire a nerbate nella Carbonera o alla Vicaria. Scegli tu."

"Che cosa facevo?... Ma l'avete veduto, voi... Guardavo..."

"Tu sei un ladruncolo, molto probabilmente, e tentavi qualche colpo contro il signor della Floresta."

"Io? Ladro io?... Oh, con chi credete di aver da fare?..."

"Non gridare tanto. Come ti chiami? Che arte fai?"

"Oh, ma insomma..."

"Non vuoi rispondere? Bada, ti consegnerò alla ronda, e nerbate..."

Il volante cercava di svincolarsi e fuggire, ma Matteo Lo Vecchio lo teneva forte, e a ogni movimento alzava la pistola; quel gesto calmava per incanto il malcapitato.

"Non mi riconosci dunque? Non sai chi sono? Guardami bene."

Il volante gli ficcò gli occhi nel viso, e disse non senza spavento:

"Matteo Lo Vecchio!"

"Ora parlerai, spero..."

"Io sono volante... volante della signora duchessa della Motta."

"Ah!"

Il birro si turbò: era stato in verità troppo imprudente a farsi riconoscere, ma non poteva più ritirarsi, bisognava rimediare. Rapidamente suppose perché la duchessa avesse spedito quel suo servo a fare la posta a Blasco e intuì il vantaggio che poteva trarne. Disse al volante:

"Vieni con me... su!..."

"Dove?"

"Vieni con me e sta' zitto."

Lo spinse innanzi, senza lasciarlo; allo sbocco della via del Bosco incontrarono una ronda. Matteo Lo Vecchio emise un fischio particolare che la fece accorrere.

"Attaccate questo malandrino," disse. "Va spargendo notizie contro sua maestà e dice che gli imperiali sono sbarcati a Milazzo e verranno a riprendersi Palermo."

Il volante stupefatto, gridò:

"Ma non è vero! non è vero!..."

"Sta' zitto, cialtrone... È un nemico del re! Portatelo alla Vicaria e non ve lo fate scappare."

In quei giorni le sorti della guerra andavano peggiorando per le armi spagnole; i soccorsi alemanni penetrati a Milazzo rendevano vano l'assedio; la notizia che fin dal mese di gennaio l'imperatore Carlo VI aveva nominato il conte di Merey generale in capo comandante delle truppe tedesche in Sicilia, e che si apprestava una spedizione chi diceva di trenta e chi di quarantamila uomini, quella notizia s'era diffusa per la città e rendeva gli animi paurosi, ma più pauroso il governo, che aveva dato ordini severissimi contro i propagatori di notizie.

Ciò spiega l'accusa di Matteo Lo Vecchio e il terrore del povero volante, che, legato come un salame, fu trascinato via.

Matteo si allontanò fregandosi le mani e dicendo tra sè:

"Cara signora duchessa, mi dispiace per vossignoria, ma il tiro è grazioso davvero!...".