Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte quarta, capitolo 19

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Era donna Gabriella.

Col volto alterato dalla collera, dalla gelosia, dallo stupore, guardò intorno e ripetè la sua domanda:

"Dov'è dunque?... Che cosa vuol dire ciò?."

Ma Emanuele, che aveva già serrato l'uscio, rispose con un sogghigno:

"In verità non vi aspettavo così presto. Avrete certamente ammazzato i cavalli!..."

"Non vi comprendo..."

"Signora, signora madre, salvatemi!" supplicò Violante.

Donna Gabriella veramente non capiva nulla. Una letterina, qualche ora innanzi, le aveva fatto perdere quasi la ragione. Era così concepita:

"Signora, un amico che desidera la vostra felicità e si sdegna degli affronti che ricevete, vi avvisa che siete vilmente tradita: se volete la prova, fate attaccare la vostra carrozza, correte a Bagheria, troverete il signor Blasco fra le braccia di donna Violante".

Come una pazza aveva ordinato la sua carrozza.

"Fate crepare i cavalli!" aveva detto al cocchiere.

La strada le era sembrata lunghissima e i cavalli lenti. Il suo cervello era martellato da un pensiero torbido e feroce:

"Li ucciderò! li ucciderò tutti e due d'un colpo!"

Appena giunta, balzata dalla vettura, senza rilevare che nessun servo era accorso a riceverla, entrò, aprendo le stanze a una a una, gettandovi uno sguardo scrutatore, finchè da un grido confuso fu guidata alla camera di Violante. Ma non vi era Blasco; e le parole di Emanuele, oscure, piene d'un significato che la sua mente annebbiata non penetrava, la gettarono in una irresolutezza sospettosa.

Guardò Violante con le braccia legate, in ginocchio, smarrita, ansiosa; guardò Emanuele sogghignante, spavaldo, feroce; intuì qualche cosa. C'era sotto un tranello. Ma perché vi avevano attratta anche lei se la vittima, come pareva, era Violante?

Domandò nuovamente:

"Ma che cos'è dunque?"

Allora Emanuele le si accostò e, senza mutare sogghigno, disse:

"La signora duchessa si aspettava forse di trovare qui un'altra persona; mi rincresce della sua delusione, ma quella persona ha per ora ceduto il posto a me. Donna Gabriella, è l'ora della rivincita. E ho voluto fare partecipare anche voi alla gioia della mia vendetta, testimoniando alle mie nozze!..."

Donna Gabriella diede un passo indietro, arrossendo; intravide che era stata vittima di un inganno, ma non ebbe il sospetto che Emanuele tramasse qualcosa contro di lei. Non scorse che una vittima: Violante, che pallida, esterrefatta, la guardava con occhi nei quali erano adunate tutte le preghiere, tutte le speranze, tutti i terrori; Violante che spiava ansiosa ogni gesto, ogni sguardo, ogni tremito di colei che era stata la moglie di suo padre, che era amante dell'uomo amato, la sua più feroce nemica.

Vi sono attimi nei quali la percezione, l'associazione delle idee, la successione dei ricordi avvengono con una prodigiosa abbondanza e che compendiano in sè tutta una vita. Violante e donna Gabriella vissero quest'attimo.

Qualche cosa di perfido, la voluttà di una vendetta non sperata, ma desiderata e compiuta da altri, passò per un istante nel cuore di donna Gabriella e le balenò nel volto. Violante gemette: nella sua mente affiorò questo pensiero: "Essi sono d'accordo; ed io sono perduta!...".

Emanuele, soddisfatto delle sue parole, si chinò verso Violante, la sollevò da terra, la ripose sul letto.

"Signora! signora!.." gridò la fanciulla disperata.

Donna Gabriella soffriva e, cedendo a un nuovo impulso del suo cuore, disse:

"Quello che fate non è degno di un gentiluomo... Io non ho nulla a che fare qui... Lasciate almeno che io me ne vada..."

Ma Emanuele, fermandola e ridendo sguaiatamente, esclamò:

"Andarvene? oibò!... Ma anche voi siete mia schiava, ora! Ah, per dio! signora: troppi affronti ho io sofferto per rinunciare a quest'ora di vendetta. Voi siete entrambe in potere mio ed io vi avrò..."

Allora ciò che era ancora confuso e oscuro alla mente di donna Gabriella apparve chiaro in tutta la sua luridezza. Ella vide Emanuele guardare intorno alla camera, come per cercare qualche cosa; temette per sè, si slanciò alla finestra e scorse lì sotto un uomo; credendolo un aiuto, gridò:

"Accorrete! accorrete!..."

Ma l'uomo invece alzò le braccia armate di uno schioppo e la minacciò:

"Tacete, o vi sparo!..."

L'istinto della vita la rigettò indietro: Emanuele la ricevette e la avviluppò tra le sue braccia, per ridurla all'impotenza. Donna Gabriella vide tutto il pericolo al quale era esposta, intuì che se Emanuele giungeva a imprigionarla, a legarla come aveva fatto con Violante, tutte e due sarebbero soggiaciute a un oltraggio infame; la fantasia le esagerò il pericolo e la collera che ancora ardeva nelle sue vene divampò: nella sua eccitazione si esaltò.

Emanuele, vittorioso, la trascinò verso il letto, dicendo:

"Ecco!... voi siete ragionevole, cara duchessa!... Date l'esempio alla vostra figliastra!..."

Ma nell'atto di chinarsi per abbracciarla, mandò un urlo e premendosi il petto indietreggiò barcollando. Rapida come il lampo, donna Gabriella, trattosi un pugnale dal seno, glielo aveva immerso in pieno petto.

"Assassina!..." balbettò Emanuele con un gorgoglio e cadde pesantemente gemendo: "Muoio!..."

Donna Gabriella parve stupita e sgomentata della sua audacia.

Violante atterrita, piangendo, esclamò:

"Dio! Dio! Signora madre, che cosa ha fatto?"

Queste parole scossero la duchessa: pallida, coi capelli arruffati, con la fronte umida, le labbra tremanti, stringendo ancora il pugnale insanguinato, per un minuto guardò Violante; poi, repentinamente gettò l'arma, sciolse l'asciugamani, prese violentemente la fanciulla per mano e la tirò gridando:

"Vieni, fuggiamo!"

Un rumore confuso veniva di sotto la finestra, riempiendo di spavento le due donne: esse uscirono attraversando il corridoio e giunsero all'ingresso dove scalpitavano i cavalli attaccati alla carrozza. Donna Gabriella vi spinse dentro Violante, vi si cacciò lei, gridò al cocchiere:

"Sferza, ammazza i cavalli!... ma vola!"

Disse al suo staffiere che l'aveva accompagnata:

"Uccidi chi tenta fermarci."

La carrozza partì fragorosamente, intanto che intorno alla palazzina si levava un clamore straordinario e rimbombava qualche colpo di fucile.

All'uscire dalla villa, un uomo si slanciò verso la carrozza, gridando:

"Eccellenza!... Eccellenza!..."

Ma alla minaccia dello staffiere che, fedele all'ordine, aveva spianato una carabina, l'uomo si trasse da parte celandosi dietro un albero.

"Chi era?" domandò di dentro donna Gabriella.

"Eccellenza, era Matteo Lo Vecchio."

"Ah!"

Era infatti il birro che stava alle vedette, aspettando Emanuele, sicuro del colpo; ma vedendo tornare di corsa la carrozza della duchessa, meravigliato, non sapendo a che cosa attribuire quella che visibilmente era una fuga, e non avendo veduto bene chi vi fosse dentro, cercava di informarsi. Ma la carrozza si dileguò per lo stradale. Matteo Lo Vecchio si diresse verso la villa ma non aveva mosso dieci passi che vide venire fuggendo, inseguiti da grida, tre o quattro uomini, che nella fretta, gettavano le armi e uscendo dalla villa si sbandavano per i poderi.

"Ah! deve essere avvenuta qualche frittata!" pensò il birro, e appena uno di quegli uomini gli passò dinanzi, riconosciutolo, lo chiamò: "Ohè!... aspettate... che è successo?..."

"Hanno ammazzato il padrone!"

"Eh?"

Quasi contemporaneamente rimbombarono altri due colpi di fucile. Matteo Lo Vecchio vide apparire dal fondo del viale alcuni uomini.

"Qui, - pensò - bisogna raccomandarsi ai santi piedi!".

E volte le spalle fuggì anche lui, imboscandosi tra gli aranceti per sottrarsi alla vista.

Dentro la villa era una confusione, un vociare, un tramenio di gente che andava, veniva, si spingeva, sconvolta dall'avvenimento, incerta su ciò che si potesse fare.

Il lamento di Emanuele aveva richiamato l'attenzione dell'uomo che stava sotto la finestra, il quale fatto un cenno a un compagno appiattato tra gli alberi, si arrampicò fino al davanzale, per guardare nella camera e, alla vista del padrone che rantolava, aveva mandato un grido di terrore: ma quasi nel tempo stesso, dal folto degli alberi, erano partite due fucilate; altri bravacci che vi erano appostati erano balzati pieni di paura sulla spianata della villa fuggendo.

Il loro spavento s'era contagiato agli altri due e senza sapere perché nè dove era il pericolo, s'erano dati alla fuga. Dietro a loro il castaldo e qualche villano, sopraggiunti, avevano tirato altre fucilate, poi erano ritornati alla palazzina, dove intanto giungevano le due vecchie signore, sconvolte dai colpi.

Siccome la caccia si prolungava e i cacciatori con disinvoltura si erano distesi a catena impedendo alle signore la ritirata verso la villa, il castaldo, sospettoso, fece un cenno ai suoi uomini e disse alle signore, rispettosamente, che era tardi e la signorina era sola in casa. Così si incamminarono; il castaldo e un villano innanzi, le signore dietro, altri villani in coda. Quasi allo sbocco della boscaglia, il castaldo vide un uomo che s'arrampicava alla finestra della camera di Violante e sparò, gridando; l'effetto di quella fucilata fu meraviglioso. Colti alla sprovvista, i malandrini che erano appiattati credendosi assaliti, fuggirono e le signore e i villani temendo qualche sinistro si precipitarono nella casa; ma ai loro occhi si presentò uno spettacolo miserando: il giovane a terra, un grumo di sangue nella bocca, gli occhi spalancati, smarriti dallo spasimo.

Quel morto o moribondo, il disordine della camera, la assenza di Violante, riempirono di spavento le due vecchie signore che si misero a gridare: tutti si sparsero di qua e di là per cercare la fanciulla, mentre il castaldo e alcuni villani inseguivano a schioppettate i fuggitivi.

"Violante! Violante!..."

"Eccellenza!"

Non rispondeva alcuno. Un'angoscia indicibile si impadronì dei cuori; gli occhi, che invano avevano cercato, si guardavano con stupore pieno di ansia e di spavento; le vecchie signore piangevano e quel giovane per terra, sconosciuto a tutti, immobile nel suo tragico e raccapricciante abbandono, che nessuno sapeva come fosse entra to, e chi l'avesse ucciso e perché, quel giovane accresceva il terrore col mistero che lo avvolgeva. Tutti si affollavano per vederlo, stavano un attimo a guardarlo, a spiarlo con una curiosità muta, piena di supposizioni e di domande. Il castaldo gli si chinò accanto, e disse:

"È ancora vivo."

Una voce aggiunse:

"Correte a chiamare il padre parroco."

Cautamente sollevarono Emanuele da terra e lo adagiarono su quel medesimo letto dove egli aveva pensato di celebrare la sua duplice vendetta. Egli non dava segni di vita: i suoi polsi battevano appena. A un tratto per le sue membra passò un fremito, il suo corpo si distese, il capo reclinò leggermente sulla spalla.

"Reguia materna!" mormorò il castaldo con voce mesta e solenne, scoprendosi e inginocchiandosi. E tutti quei villani dai volti adusti e rugosi si inginocchiarono anche loro intorno al letto, ripetendo con più fervore, in quel loro latino storpiato, l'invocazione della pace eterna all'anima di quel giovane ignoto:

"Reguia materna!"