Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte quarta, capitolo 20

Italiano English

Donna Gabriella giunse al suo palazzo in preda a una crisi nervosa e dovette smontare dalla carrozza aiutata da Violante e dallo staffiere: ella ordinò subito che chiudessero il portone. Aveva paura. Sebbene ciò che aveva fatto era legittimo per il diritto di difendere se stessa, pure l'idea di avere ucciso un uomo la colmava di terrore. Le pareva che già la giustizia fosse sulle sue tracce; il birro Matteo Lo Vecchio l'aveva veduta, a quell'ora aveva ricostruito il delitto, l'aveva anche denunziata.

"Chiudete tutte le porte!" ordinava, tremando improvvisamente a ogni lieve rumore.

Violante l'aveva seguita in silenzio, non osando neppure rivolgerle una parola di conforto. Aveva anche lei gli occhi pieni della visione orrenda: Emanuele, supino per terra, con gli occhi esterrefatti nella morte. Quella giovinezza stroncata in un attimo quel l'espressione atterrita non le si partivano dinanzi agli occhi. Ella tremava.

Tuttavia sentiva e confessava che donna Gabriella l'aveva salvata; l'aveva salvata giungendo alla villa nel momento in cui stava per soggiacere all'amplesso abominevole di Emanuele l'aveva salvata sopprimendo violentemente quel prepotente che pareva già sicuro della vittoria e che si apparecchiava a compiere sotto gli occhi suoi un rito infame.

Lei doveva la sua incolumità a quella donna che era stata la sua più feroce nemica, e verso la quale il suo cuore si era sentito prendere da odio e da gelosia. Caso, fortuna, provvidenza volontà divina? Non lo sapeva. Che importava del resto?

Se ora non piangeva su qualcosa d'irreparabile, di perduto per sempre, non lo doveva forse all'intervento e al coraggio di donna Gabriella? Se ora si trovava al sicuro, lontana dal pericolo che l'aveva insidiata non lo doveva a donna Gabriella? Non aveva la matrigna soffocato, spento in un impeto di carità umana, le voci dell'odio per porgerle le mani liberatrici a costo anche di insanguinarle?..

Quando, attraversate frettolosamente le sale, donna Gabriella, tirandosi dietro Violante, entrò nella sua camera e vi si chiuse, pallida, tremante, sospettosa, la fanciulla le si buttò fra le braccia, e allora tutte e due si misero a piangere.

In quel mentre Coriolano della Floresta entrava nella camera di Blasco che, sdraiato in un seggiolone, vagava con lo sguardo dietro i suoi sogni e i suoi pensieri. L'aspetto di Coriolano, che appariva turbato da qualcosa di grave, lo meravigliò.

"Che cosa c'è?"

"Emanuele è stato ucciso due ore e mezzo fa..."

Blasco balzò in piedi impallidendo e balbettò:

"Che dite?... Ucciso?..."

"La verità; ne ho ricevuto or ora l'annunzio e sono corso ad avvertirvi..."

"Ma come?"

"È stato ucciso a Bagheria..."

Blasco diventò più pallido e corrugò le sopracciglia.

"A Bagheria, dite?... Ma allora egli..."

"Sì, egli, fingendo di andare ad una partita di caccia, era invece piombato nel casino di Butera in un momento in cui non c'era nessuno, tranne donna Violante..."

"Oh Dio!..."

"Era una cosa già macchinata e così nascostamente che non ne ebbi alcun sentore. Ho ordinato però una punizione agli informatori che non mi avvisarono della partenza di Emanuele, per farlo pedinare..."

"Lasciate andare questi particolari, che non m'importano... Dite piuttosto..."

"Donna Violante è salva... Emanuele fu ucciso prima che avesse potuto compiere una violenza..."

"Ah!... grazie! Ma non mi tenete in pena, raccontatemi tutto, in nome di Dio..."

"Non posso ancora raccontarvi nulla di preciso, perché quelle che vi do, sono le prime notizie ricevute. Posso soltanto dire che Emanuele fu ucciso da una donna..."

"Da una donna?"

"Precisamente. Da donna Gabriella."

Blasco mandò un grido di stupore e il suo volto espresse una grande incredulità.

"Donna Gabriella? Come? Dove?... Ma non v'ingannate forse?"

"Donna Gabriella era stata attratta nel casino, non so perché nè come; e certo però che piantò una pugnalata nel petto a Emanuele e condusse con sè Violante, togliendola da ogni pericolo. Andate a trovare la duchessa che deve essere già tornata."

Coriolano non aveva finito, che già Blasco aveva preso il cappello, la spada, il lungo bastone e s'era lanciato alla porta dicendo:

"Ci vedremo più tardi."

Egli corse a casa di donna Gabriella col cuore in tumulto per quello che aveva udito, e per quello che non sapeva, ma temeva di trovare e che supponeva assai grave. Donna Gabriella non lo ricevette. Udendo dal valletto, attraverso l'uscio, l'annunzio dell'arrivo di Blasco, guardò biecamente Violante che era divenuta più pallida e, dischiusa la porta, affacciò il volto e disse a Blasco che stava ansioso in mezzo alla sala:

"Va'! va'!... non puoi entrare... Non ti voglio adesso... Va' a trovare il principe di Butera; digli che venga qui, subito. Va'... Verrai domani. Ora no, non voglio! Capisci che non voglio?..."

Nell'accento, nello sguardo, nello spasimo doloroso del volto v'era tanto dolore supplichevole, che Blasco non seppe insistere e andò via. Donna Gabriella richiuse la porta e si avvicinò a Violante che era rimasta immobile con la fronte offuscata da un'ombra. La guardò un momento e le domandò:

"Che pensi?"

La sua voce aveva preso un tono che voleva essere aspro, ma non riusciva a celare il profondo dolore che le rigurgitava nel petto.

Violante sollevò i suoi grandi occhi limpidi e dolenti e rispose dolcemente:

"Nulla, signora madre..."

"Hai udito con chi parlavo?..."

Violante arrossì un poco.

"Signora, sì," disse.

Un baleno di collera sfavillò negli occhi di donna Gabriella, ma si spense subito; prese la mano di Violante e le domandò con voce tremante di timore:

"L'ami ancora?"

Nuovamente le fiamme salirono sul volto di Violante, che non rispose. Ma era facile scorgere la viva commozione del suo cuore, al frequente pulsare delle arterie, che pareva volessero rompersi. La duchessa aspettò un istante una risposta, poi riprese:

"Ascoltami. Io ho ucciso un uomo... l'ho ucciso per te... Per un istante accarezzai l'idea che egli ti oltraggiasse, perché mi sembrava così di vendicarmi e quasi l'avrei aiutato... per umiliarti, per vilipenderti, per annientarti... Ma poi ho pensato tante altre cose... E allora ho voluto salvarti... e ho ucciso!..."

Si coperse gli occhi con le mani, come per non vedere l'orrendo spettacolo. Violante, giungendo le mani, commossa, supplichevole, le mormorò:

"Signora... signora madre!..."

La duchessa alzò il capo e aveva gli occhi pieni di lacrime. Riprese:

"Ho ucciso!... Ora, ascoltami... per quello che ho fatto, per il sangue versato... per quello che soffro. io ti supplico di dirmi la verità. Me la dirai? Me la dirai?..."

"Che cosa vuole che le dica?" le domandò Violante con un filo di voce.

"Dimmi se tu l'ami ancora. Questo pensiero mi è fitto qui nel cervello, come un chiodo... Tu lo sai, lui mi appartiene ora; appartiene a me; m'ha preso tutta la vita... Ora, forse, ora che ho ucciso, mi guarderà con orrore... eppure, vedi... ti ho salvato, ti ho liberato da quello sciagurato, per lui, perché sentivo che questo gli avrebbe fatto piacere, e che Lui dovrebbe essermene grato... Dimmelo, dunque. Il dubbio è più tormentoso della realtà; dimmi se tu l'ami ancora..."

Le sue parole erano piene di affanno e il suo volto aveva l'inesprimibile angoscia dei grandi dolori profondi. Violante si sentiva stringere il cuore; la pietà le suggeriva la menzogna, la sua lealtà le imponeva di non celare nulla a chi la supplicava con tanto calore. Vinse la lealtà.

"Oh! signora madre, perché si tormenta così? Ebbene, le dirò tutto, sì, è meglio per me e per lei... Io lo amai... lo amai come un sogno, come qualcosa di alto, di grande, di sublime, di divino quasi!..."

"Sì, sì!" balbettava donna Gabriella esaltandosi, "lui è così."

"Ma ora..."

"Ora?"

"Ora ho solennemente giurato di consacrarmi a Dio. Rientrerò nel monastero e prenderò il velo... e il mondo si chiuderà eternamente, per me... Egli non udì mai dalla mia bocca una parola; egli non seppe mai se io avessi per lui un sentimento... e non lo saprà mai! Ecco quello che posso dirle..."

Donna Gabriella le prese le mani; nei suoi occhi brillava un sentimento di riconoscenza e una tenerezza veramente materna, ma i singhiozzi che le gonfiavano il petto le impedivano di parlare.

Esse si trovavano in questo stato di commozione, quando il valletto venne ad annunziare il principe di Butera.

Violante partì la stessa sera, in carrozza, col principe suo nonno, il quale era furibondo non solo per l'attentato contro sua nipote, ma anche e di più perché si era osato tentare una cosa simile in casa sua.

Minacciava di fare impiccare il castaldo e i villani che avevano lasciato la casa in balia del primo venuto e si doleva che Emanuele fosse morto, perché avrebbe voluto insegnargli lui il rispetto che gli si doveva. Meno male che ci aveva pensato la duchessa! Che donna! Ma bene, per bacco! Adesso bisognava sottrarla a tutte le seccature della giustizia dovendo aspettarsi che il principe di Geraci non sarebbe rimasto con le mani in mano per vendicare la morte del nipote.

Per tutto il tragitto dalla casa di donna Gabriella al palazzo Butera, il nobile signore non fece altri discorsi, passando per tutti i toni di collera, di sdegno, di ammirazione, di pietà, verso quella nipote, così giovane e già provata da mille disavventure.

Violante taceva e pensava, o almeno pareva che pensasse; dentro invece piangeva. Aveva rinunziato a tutto, quella sera, obbligatavi da qualcosa di superiore, di cui aveva nell'intimo del suo cuore udito la voce solenne e ammonitrice, ma sentiva ora, dinanzi alla garrulità dell'avo, tutta la grandezza del suo sacrificio. Eppure lei non aveva osato mai sperare di conquistare il cuore di Blasco, di esserne amata, di vivere con lui sempre, sempre, come aveva sognato nel primo sbocciare della sua giovinezza; il saperlo amante della matrigna, anzi, aveva quasi soffocato, sotto lo sdegno e l'offesa alterezza del suo carattere, la fiamma dell'amore. Così le sembrava. Invece, ora che aveva solennemente rinunciato, si accorgeva che l'amore era ancora vivo e veemente dentro il suo cuore e che un sogno, una speranza lontana s'era annidata nel profondo del suo spirito. E singhiozzava dentro di sè nel silenzio del suo dolore chiuso e impenetrabile.

Donna Gabriella, dopo la partenza di Violante, trovandosi sola nella sua camera, ebbe paura. Perché mai aveva cacciato Blasco? Non sarebbe stato meglio invitarlo a ritornare? La solitudine della sua camera, piena di tristi e spaventevoli visioni, le metteva un freddo sgomento nelle vene!...

Se avesse mandato a chiamare Blasco?... Sì, era meglio. Sentiva il bisogno di vedersi accanto una persona amica, di udire una parola di conforto, una dolce e tenera parola: di ricevere una carezza, una stretta di mano piena di misteri e di confidenze. Suonò; alla cameriera accorsa, ordinò:

"Manda subito un volante dal signor don Blasco Albamonte; gli dica che l'aspetto, che ho bisogno di lui. Va', corri!" Blasco cenava con Coriolano; era cupo e silenzioso, come oppresso dal cumulo di avvenimenti di quella giornata e il cavaliere della Floresta non aveva potuto destarlo da quell'oppressione. Ma quando un domestico gli trasmise l'ambasciata del volante, balzò in piedi dicendo:

"Vengo subito... Permettetemi, Coriolano."

Giunse in pochi minuti al palazzo di donna Gabriella. La duchessa se ne stava in un angolo della sua camera, rannicchiata in un seggiolone, con gli occhi fissi verso la porta, aspettando in una stato d'animo angoscioso, rabbrividendo nella solitudine ad ogni lieve rumore. Come vide aprire la porta ed entrare Blasco, si levò con le braccia tese gridando come a un salvatore:

"Blasco! Blasco mio!..."

E gli cadde sul petto, singhiozzando in una crisi nervosa. Egli l'adagiò sopra un canapè, le si pose dinanzi seduto su uno sgabello più basso, le prese le mani confortandola con voce dolce e carezzevole.

"Non aver paura!... Hai fatto bene... Nessuno ti torcerà un capello... Qui ci sono io..."

Ella balbettò:

"E non te ne andrai mai più!... non è vero?... Resta sempre qui... Non voglio lasciarti più!..."

"Sì, sì... ma calmati! Dopo tutto hai fatto ciò che dovevi..."

"Sai tutto? Sai come è avvenuto? Andai per te... credevo di sorprenderti... ero una pazza. Mi avevano detto che tu eri lì..."

"Io?... Come? Non so nulla. Narra dunque..."

Allora donna Gabriella, a tratti, interrompendosi, qualche volta esaltandosi, poi, a un tratto, sopraffatta dalla paura, gli raccontò della lettera ricevuta, della sua corsa a Bagheria e della sua irruzione nella camera di Violante.

"Avevo deliberato di uccidervi d'un colpo... Ma invece trovai lui... Violante giaceva sul letto con le braccia legate, così smarrita, sgomenta... Egli aveva attirato me... aveva organizzato una vendetta orribile... Ancora un minuto, e Violante sarebbe stata perduta... perduta... lo compresi... Oh quante cose tristi mi balenarono per la mente!.. Perduta! perduta per sempre, e per tutti!... Egli non l'aveva toccata ancora. Si accostò a me; non vidi più nulla. Colpii. Volevo fuggire subito, ma vidi Violante lì, esterrefatta... Ebbi pietà, la trascinai con me... Quando oggi sei venuto e io non ti feci entrare... lei era qui... ecco perché non ho voluto che tu entrassi. Tu non devi vederla mai più! L'ho salvata... non so perché... non posso spiegarmelo...

Ma se ho fatto cosa grata a te, giurami che non la vedrai più..." Quel racconto, il tono della voce, l'aspetto di donna Gabriella avevano suscitato via via nel cuore di Blasco una tempesta di sentimenti e di affetti. Egli capiva o gli pareva di scorgere attraverso le reticenze tutta la forza del doppio sacrificio compiuto da donna Gabriella, ma soprattutto sentiva verso di lei una profonda riconoscenza per quello che aveva fatto a vantaggio di Violante. V'era per lui, nella fanciulla, qualcosa di più sacro della vita stessa: la purezza inviolata che la rendeva agli occhi suoi una creatura di sogno e la circondava di tutti i fascini delle cose immacolate; e di questo s'era fatta custode armata e vindice donna Gabriella, colei appunto della quale egli aveva impedito e temuto gli impeti insani; colei che aveva veduto sfavillante d'odio a ogni più lieve ombra di sospetto. Come e donde questo mutamento? Quale profonda bontà era dunque annidata nell'intimo mistero di quell'anima così tempestosa? Quale grandezza spaventevole aveva quell'amore, da giungere fino al punto di salvare la rivale odiata e temuta, solo perché questo poteva piacere all'uomo amato?

Blasco era vinto. Strinse le mani di donna Gabriella, gliele baciò con tenera devozione guardandola con una gioia profonda e commovente.

"Oh! Gabriella!" mormorò "chi può ricompensarti per quello che hai fatto? Se io dessi ora la mia vita per te, non giungerei a uguagliare il tuo gesto!..."

Donna Gabriella lo guardò fisso negli occhi come per leggergli in fondo all'anima. Ella sentiva nel tono di quelle parole qualcosa di insolito e di nuovo e nei baci una tenerezza mai provata fino allora. Un'ombra di mestizia le coperse il volto. Quella notte Blasco fu più espansivo e più tenero; si abbandonava sinceramente alla gioia del suo cuore, per il quale nessuna felicità v'era più grande del sapere salva Violante, pensando che con le maggiori sue espansioni, con le più dolci carezze avrebbe fatto felice donna Gabriella. Ma la duchessa invece diventava sempre più malinconica, più fosca, tormentata da un pensiero: "Non sono per me, soltanto per me, queste carezze. Lui non mi ama per me, ma per quello che ho fatto: dunque il suo cuore non è interamente mio; dunque io non lo possederò mai. tutto; pensiero, passione, carezze, hanno bisogno di qualche cosa che li faccia vibrare... Io non sono amata!.. non sono amata!...".

Questo pensiero a poco a poco si impadronì del suo spirito, le agghiacciò il sangue, le spense le fiamme, le disseccò le fonti della gioia. La voce di quel pensiero le diceva crudelmente senza tregua: "È finita! è finita per te! L'anima sua è altrove; l'anima sua ti sfugge, ti sfuggirà sempre!... finita!... è finita!".

In un momento di abbandono, Blasco le disse:

"Amica mia, devo darti un dolore. Non ho avuto il coraggio di dirtelo prima..."

Donna Gabriella trasalì: la voce interiore le sussurrò con un sogghigno di amaro trionfo: "Vedi? Ora ti dirà che è costretto ad abbandonarti...".

Guardò Blasco senza parlare, interrogandolo dolorosamente con gli occhi. Blasco continuò:

"Ho l'ordine di partire per il campo di Francavilla, subito..."

Il primo impulso di donna Gabriella fu di dirgli: "Vengo anch'io con te!...".

Ma le parole le morirono in bocca; chinò il capo in silenzio e solo allora gli occhi le si riempirono di lacrime, alle quali poteva dare una spiegazione apparente. Dopo un attimo di silenzio Blasco disse:

"Questa potrebbe essere l'ultima notte che passiamo insieme..."

La sua voce ebbe la commozione profonda di un ultimo addio e donna Gabriella l'intese e scoppiò in singhiozzi.

"Sì, sì! - ripeteva mentalmente con uno spasimo di angoscia; - questa è l'ultima notte!... l'ultima!...".

Ma Blasco alludeva alla possibile morte in una battaglia che si prevedeva sanguinosa fra le truppe spagnole fortificate a Francavilla e le germaniche che ve le cingevano da ogni parte; donna Gabriella pensava alla morte del suo amore.

"Partirò domani a mezzodì."

Allora lei fu presa da un'idea orribile, i suoi occhi ancora umidi balenarono tutta la fosca luce della passione esclusivamente feroce.

"Se l'uccidessi! - pensò: - lui non sarebbe più di nessun'altra!...".

Ucciderlo?... Ed ecco, dinanzi agli occhi della mente le riapparve l'immagine di Emanuele disteso per terra, con quel buco sanguinante nel petto, le pupille senza sguardo, fermate dallo spasimo della morte in una immobilità spaventevole. L'orrore le percorse il sangue; nell'eccitazione della fantasia, all'immagine di Emanuele si sostituì quella di Blasco: ella vide Blasco ucciso, nella sua camera, e allora, balzando d'impeto in piedi, stendendo le mani, gridò con accento inesprimibile:

"No!.."

E cadde riversa fra le braccia di Blasco.