Beati Paoli

di Luigi Natoli

parte quarta, capitolo 21

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La sera del 21 giugno due uomini ragionavano come due buoni amici, all'angolo di un vicolo che oggi porta il nome di Brugno, dirimpetto il piano della Cattedrale. Passò la ronda: essi si strinsero la mano, si diedero lo arrivederci e si separarono, uno di qua, l'altro di là, salutando anche il caporonda. Mancava poco a due ore di notte; le strade si facevano deserte; il Cassaro buio, lungo, si perdeva nelle tenebre appena rotte dal chiarore del cielo luminoso di stelle. Qualche lanternino ballonzolante a fior di terra attraversava per un momento la oscurità.

La ronda passò oltre, scendendo giù per il Cassaro per sorvegliare se le taverne e le botteghe fossero chiuse, secondo i bandi del Senato; e allora, guardinghi, strisciando lungo i muri senza fare rumore, quei due uomini ritornarono all'angolo del vicolo dove erano stati. Questa volta avevano indosso dei ferraiuoli neri, nonostante il caldo.

Uno di essi sussurrò:

"Vieni. S'è fermato a parlare con la ronda."

Infatti, guardando in giù nel Cassaro, videro la lanterna del cavarretta, ferma, illuminare le guardie e un uomo tutto nero. Poi l'uomo si staccò e la lanterna si mosse.

Allora i due uomini si ritirarono dentro il vicolo buio, e gettati i ferraiuoli dietro le spalle, scopersero le braccia armate di carabine. Si appostarono ai due lati del vicolo, nei vani di due porte con le armi pronte.

Udirono il picchiare d'un bastone sul selciato avvicinarsi a poco a poco; un uomo passò, non si accorse di nulla; l'ombra in quello stretto vicolo era così profonda, che non lasciava scorgere nulla, neppure all'occhio più esercitato.

L'uomo oltrepassò di due o tre passi l'altezza del vicolo; i due appostati uscirono dal loro nascondiglio, raggiunsero l'angolo, mirarono, fecero fuoco.

Le due fiamme squarciarono la notte; due colpi rimbombarono tremendamente: l'uomo stramazzò per terra senza emettere un lamento. I due gli furono sopra, si chinarono sopra di lui, lo guardarono:

"È morto. Andiamo."

Si ricacciarono subito nel vicolo, ma senza fare rumore; pareva non avessero scarpe ai piedi. Quando furono protetti dall'ombra presero a correre fino alla strada dei Biscottari, dove si rimisero a camminare col loro passo ordinario, come due persone che rincasassero pacificamente.

Non avevano più i mantelli nè le carabine. Delle mani misteriose, nell'ombra del vicolo, li avevano fatti sparire; qualunque ronda avrebbe potuto fermarli, senza nulla sospettare.

Essi percorsero la strada dei Biscottari, discesero per Ballarò verso Casa Professa, si cacciarono in un vicoletto.

Uno di essi imitò il canto della quaglia.

Un altro canto simile rispose.

Allora entrarono nella piazzetta dei SS. Quaranta Martiri e sparvero dentro una porticina, che si richiuse misteriosamente dietro le loro spalle.

Intanto i due colpi di carabina, che nella notte sembrarono due cannonate, avevano subito animato e illuminato la strada. Era l'ora della cena, e naturalmente quei due formidabili tuoni, che avevano fatto tremare le vetrate delle case vicine, interruppero la tranquillità raccolta delle famiglie. Gli uomini aprivano i balconi e le finestre; si apriva la porta di qualche bottega; delle teste sospettose si affacciavano, guardavano; tutti dicevano la stessa cosa:

"C'è un ammazzato!..."

Ma nessuno osava uscire, non già per paura di qualche fucilata, quanto per non avere impicci con la giustizia. Dal fondo del Cassaro intanto accorreva la ronda; dal piano del Palazzo Reale correvano tre o quattro soldati mezzo svestiti, che s'andavano agganciando le spade o i farsetti.

La ronda giunse per la prima: allora dalle botteghe, dalle case uscirono i più curiosi, alcuni portando delle lampade a olio o delle lanterne. Si affollavano tutti intorno al caduto che giaceva bocconi, con le braccia distese, aperte, le gambe larghe, in una pozza di sangue.

Il capo della ronda gridava:

"Indietro! indietro!... fate largo."

I birri cominciarono a giocare con le alabarde per fare largo, e subito il caporonda si chinò e voltò il caduto, sul cui volto impolverato cadde la luce della lanterna del cavarretta e delle lampade. Un grido uscì da tutte le bocche:

"Matteo Lo Vecchio!"

"Il birro!..."

Fu uno stupore per tutti, uno stupore nel quale non era difficile sentire una certa soddisfazione. Dalla strada a quelli che stavano ai balconi, ai nuovi arrivati, si dava la notizia con un compiacimento che pareva lo sfogo di vendette aspettate e giunte.

"Hanno ammazzato Matteo Lo Vecchio!..."

"Hanno ammazzato quel pezzo di birro!"

Una voce gli tessè l'elogio funebre con una parola:

"Finalmente!"

E un'altra aggiunse come commento:

"Avevano perduto anche troppo tempo!..."

"È morto. Perdinci! due schioppettate che Dio liberi!... È inutile portarlo all'ospedale. Procurate una scala."

Due birri corsero nel vicino Duomo dove erano sicuri di trovarne quante ne volevano e ritornarono poco dopo con una breve scala a piuoli; vi adagiarono il cadavere e sollevatala, come un cataletto, sopra le spalle, si avviarono per l'Albergheria, seguiti da una folla di gente che rideva, schiamazzava allegramente, andava dicendo a coloro che si affacciavano, a quelli che incontravano:

"Hanno ammazzato Matteo Lo Vecchio!"

"Davvero?"

Era uno stupore, un compiacimento generale; la processione ingrossava; in breve il morto ebbe un corteo che lo accompagnò fino a casa, riempiendo quel vicolo stretto e tortuoso che dalla salita del Banditore conduce all'Albergheria, e che porta ora il nome del birro. Le guardie e il caporonda dovettero usare le picche per impedire che la folla invadesse la casetta.

"Buttatelo!... È una carogna!..."

"Non merita esequie!..."

"È scomunicato..."

"Se vengono le "repitatrici" le accopperemo!..."

Ma una donna si affacciò alla finestra, scarmigliata, piangendo, gridando:

"Non è vero! non è vero! non era più scomunicato. Era stato ribenedetto dal Vicario generale!"

Ma la folla schiamazzava:

"Birro era! birro e infame!..."

Lo schiamazzo durò fino a tarda ora, quando il sonno cominciò a diradare la folla. Allora due o tre donne, vestite di nero, coi capelli disciolti entrarono nella casa. Matteo Lo Vecchio fu spogliato, lavato, rivestito coi vestiti più nuovi, senza scarpe però, non essendo conveniente presentarsi al Signore con le scarpe ai piedi. Lo misero poi sopra il letto, disteso: vi accesero delle candele ai piedi, e sedutesi per terra quelle donne cominciarono a piangere, a lamentarsi, a ricordare i fatti e le bontà del morto.

"Vi ricordate quando venne con le scarpe nuove?"

"Ah, amara me!..."

"Quanto era bello quando andava a cavallo!"

"Ah, amara me!..."

Tutta la notte, sedute per terra, coi capelli disciolti, percotendosi il petto, battendo le mani, le "repitatrici", avanzo delle antiche prefiche, si lamentarono dinanzi a quel morto, steso con le mani incrociate sul ventre e legate da un rosario, il volto contraffatto orribilmente da una smorfia di terrore, reso più spaventevole da un berretto di cotone, tragicamente buffo.

La mattina vennero altre guardie per difendere la casa da possibili aggressioni. Il presidente don Antonino Negri, avvertito dal caporonda, aveva dato ordini in proposito, perché il birro, il più sagace, il più laborioso, il più tremendo dei suoi sudditi avesse esequie cristiane, come ogni altro buon cittadino. Il vicolo fu custodito da guardie che tenevano a freno la marmaglia e i ragazzacci del vicino mercato, che vi si agglomeravano in atteggiamento tutt'altro che benevolo.

All'alba la notizia che Matteo Lo Vecchio era stato ucciso s'era già diffusa per tutto il rione e aveva destato in tutte le anime un vivo senso di soddisfazione.

Il terrore che il birro aveva sparso per la città, gli odi che aveva accumulato in tutto il tempo della sua carriera, le lacrime sparse da centinaia di vittime, la crudeltà dei suoi modi, tutto ciò produceva un sentimento di sollievo e di gioia, come una liberazione desiderata e attesa ogni giorno, e finalmente sopravvenuta.

"Benedette quelle mani!..."

"Benedette quelle schioppettate!"

Poi cominciò a serpeggiare una voce:

"Sono stati i Beati Paoli!..."

"Era stato condannato a morte!"

"Che siano benedetti ora e sempre!"

La strada dell'Albergheria era in fermento: non parlavano di altro che della morte di Matteo Lo Vecchio. Ora aspettavano i funerali; volevano vedere se c'era una compagnia che avesse il coraggio di accompagnare e, come si diceva, "associare" il cadavere di quello scomunicato.

Il Vicario generale l'aveva assolto e ribenedetto? E che importava? Non gli aveva levato di dosso tutte le birbonerie commesse, che gridavano vendetta.

"Vadano a buttarlo nella strada dei Cavallacci.."

"Quello lì, anche morto farà l'ultima "infamità"."

"Neppure S. Michele Arcangelo potè scansarsi dal birro!.."

Il dopopranzo ecco i poveri del Serraglio con la croce e la congregazione della Sciabica per accompagnare il morto. Fu uno stupore generale.

"Come? Come? Si va a seppellirlo come un cristiano dabbene?"

Se ne mostravano scandalizzati e mormoravano tutti con certe facce minacciose e torbide, che mettevano soggezione ai poveri e ai confrati. Qualcuno si scusava. Era stato ordine del presidente Negri; in fondo era carne battezzata ed era stato assolto; questa era la gran ragione che però non accontentava nessuno.

Un drappello di birri e algozini armati di picche, spade e lunghi bastoni nodosi teneva a freno la popolazione, ma non così da impedirne quel subbuglio che preannuncia gli scoppi irrefrenabili.

Venne poi la Parrocchia. Il povero prete gettava intorno degli sguardi sospettosi, con un viso che voleva dire: "Il Signore me la mandi buona!...".

Cominciò il corteo: il cadavere posto sul cataletto con le mani in croce fu sollevato sulle spalle dei facchini, preceduto dai poveri del Serraglio e dalla Parrocchia, seguito dai confrati, circondato dai birri e dagli algozini. Ma appena uscì dal vicolo e discese per l'Albergheria, si levò un bisbiglio, come lo scroscio di un maroso lontano che andò via via crescendo, si tramutò in una tempesta di fischi, di urli, di improperi.

Una turba di ragazzacci seminudi si pose alla testa della lugubre processione, salmodiando in parodia:

"Catameo catameo è morto il birro Matteo!..."

I birri e gli algozini dapprima con le picche e coi bastoni si facevano largo rudemente, braveggiando, ma siccome la folla e il rumore cresceva, la loro baldanza s'andava affievolendo e affiorava in fondo alle loro anime una preoccupazione di prossimi e non ben noti pericoli. Qualcuno mandava a quel paese il presidente Negri, che invece di far trasportare il cadavere di notte, senza apparati, alla chetìchella, aveva voluto onorare il birro d'un funerale.

"Ma sapete che coraggio!" si diceva nella folla; "lo seppelliranno a S. Antonino!..."

"A S. Antonino quella carne da inferno?..."

E allora cominciarono grida minacciose:

"Lasciatelo! lasciatelo!..."

"Spegnete le torce! è una vergogna!"

Ci furono i più arditi che unendo il gesto alle parole soffiarono fortemente e spensero i ceri.

Il capo degli algozini si raccomandava:

"Signori miei, abbiate pazienza... In fine era cristiano; è morto, assolto da monsignor Vicario... Un po' di carità!"

"Carità? Ne ha avuto il birro per tanta povera gente?"

Le grida minacciose crescevano più violente che mai; volò qualche torsolo; la folla cominciò a premere il corteo, cominciarono gli spintoni... All'angolo della strada del Bosco, la congregazione della Sciabica, vista la brutta situazione se la svignò.

"Bravi! bravi!" gridò la folla; "così si fa!... Bravi!..."

Applaudivano, ma gli applausi erano una nuova minaccia per quelli che rimanevano; i birri e gli algozini si videro esposti alla collera del popolaccio che ingrossava: per un pezzo tennero duro, vergognandosi di cedere, ma quando si accorsero che la tempesta era lì lì per scoppiare furibonda, a uno a uno, senza dare all'occhio, chi di qua, chi di là, s'andarono sbandando.

Quando la bara giunse nella via Maqueda non v'era più una guardia; essa rimase in balia della plebaglia imbaldanzita, che intonò un de profundis di improperi e di ingiurie, urtando i facchini che la portavano. Sopra le teste in movimento quella povera bara ondeggiava, come un barca capovolta abbandonata ai flutti.

Arrivati al monastero dell'Assunta, il prete, vista aperta la chiesa, pallido come un morto, si voltò, biascicò due parole latine incomprensibili, trinciò in fretta con l'aspersorio una croce sulla bara e si cacciò nella chiesa, contento di essersela cavata bene e più presto di quello che credeva, e di lasciare gli altri nell'imbarazzo.

Allora gli otto facchini affrettarono il passo; il convento di S. Antonino non era lontano, in pochi minuti vi arrivarono, seguiti sempre dal popolaccio che cantava:

"Catameo catameo, è morto il birro Matteo!" morto quel pezzo d'infame, buttatelo come un cane!..."

La porta del convento era chiusa. I facchini deposta la bara per terra, bussarono; si affacciò un frate che disse:

"Qui non è luogo per seppellire i birri...."

E richiuse la porta.

Era una bricconeria bella e buona; il presidente Negri aveva pagato dieci onze per fare seppellire Matteo Lo Vecchio in quella chiesa; i denari li avevano intascati senza scrupolo i frati; adesso avevano l'obbligo di pigliarsi il morto. Ma sì! I frati gridavano invece di dentro:

"Portatelo via! Portatelo via!..."

Poi, a un tratto, spalancata la porta, uscirono armati di randelli, si gettarono sui facchini menando botte da orbo e ripetendo:

"Portatelo via! Portatelo via!"

A quella furia i facchini fuggirono; e i frati dietro a loro ma non ne raggiunsero che uno solo, e lo trascinarono minacciandolo di rompergli le costole se non portava via la bara.

"Ma io solo non posso!..."

Tra la folla che rideva e schiamazzava vi furono alcuni che ebbero com passione del povero facchino e si offersero per aiutarlo: così la triste bara fu sollevata di nuovo e riprese la via, barcollando sopra le teste. Lì presso, quasi sulla sponda dell'Oreto, dove ora sorgono le officine della ferrovia, c'era un cimitero per la povera gente con una cappelluccia curata da un romito. Si avviarono a quella volta, ma il romito chiuse il cancello con tanto di catenaccio.

"Qui? Volete seppellirmi il birro qui? In mezzo a tanti poverelli di Dio?... Quello scomunicato? Quel birbante? Siete pazzi! Qui non c'è posto per lui!... Andate a buttarlo nel fiume."

I facchini si guardarono; la cosa cominciava a indispettirli: oh, che pretendevano insomma che dovessero andare in giro tutto il giorno con quel morto sulle spalle? Si consultarono fra loro e, aperta la bara, ne trassero il cadavere duro e stecchito, orribile per la sua espressione di terrore, sotto il berretto di cotone. Lo spogliarono degli abiti lasciandolo nudo, e montati sul muro del cimitero, dietro la chiesa, ve lo tirarono su, lo calarono dall'altra parte, e trovato un pozzo asciutto, presero quel miserando cadavere con le reni squarciate e nereggianti per le ferite, e ve lo buttarono dentro accompagnandolo con un osceno saluto.

Si udì il tonfo secco del corpo che si sfracellava contro i sassi del fondo.